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Cultura, spontaneità, creatività: la città vibrante di Stefano Cozzolino

Intervista. Quello urbano è uno spazio che è reso vivo da cittadini attivi e propositivi. Questa la visione dell’urbanista bergamasco trasferitosi a Dortmund. La città è un luogo da immaginare e non solo una realtà di cui essere utenti

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Durante i giorni più scuri della pandemia di un anno fa, Stefano Cozzolino si trovava in Germania, dove vive stabilmente, lasciata Bergamo dove è nato, per la carriera accademica in ambito urbanistico a Dortmund. “Era impossibile muoversi per rientrare in Italia e vivere la situazione da lontano era straziante – spiega il ricercatore – L’unico modo per poter stare meglio era concentrarsi su qualcosa di positivo, così ho avviato una ricerca sulla bellezza nelle città. Il risultato: “C’era la bellezza delle cose progettate come edifici, aree urbane, parchi, ma c’era anche un’altra bellezza, associata alla manifestazione della vita, quella data dall’insieme delle piccole cose che creano il bello, che ognuno può creare dove vive: una persona che fa la facciata di casa, il lavoro di una piccola associazione di quartiere, un commerciante che cura gli esterni del proprio negozio. Queste manifestazioni estetiche spontanee, che dietro hanno chi la città la vive, contribuiscono alla creazione di una bellezza che è vibrante. Se manca questo la città ben progettata sarà bella, ma mancherà di vita”.

Questa ricerca, a un anno di distanza è diventata un articolo, “On the spontaneous beauty of cities: neither design nor chaos. (Sulla spontanea bellezza delle città: né design, né caos)” in corso di pubblicazione sulla rivista Urban Design International. Un altro tassello del percorso di Stefano, focalizzato sul tema della città spontanea e sui metodi per favorirne lo sviluppo. Nato e cresciuto a Bergamo nel 1988, dal 2018 è ricercatore associato dell’ILS – Research Institute for Regional and Urban Development – con sede a Dortmund. Inoltre insegna urbanistica e progettazione urbana all’università Tecnica Aquisgrana RWTH. Nel 2017 ha conseguito il titolo di dottore di ricerca presso il Politecnico di Milano svolgendo parte della sua ricerca al Purchase College di New York. A Bergamo ha contribuito alle attività dell’associazione Boccaleone Open Space.

Tra le sue ricerche ce n’è anche una commissionata da Confindustria sul tema della rigenerazione urbana attraverso le attività creative, condotta poco prima della pandemia; ricerca che con l’arrivo del Covid-19 è stata ridefinita includendo l’impatto dell’accaduto sulle industrie creative e sulla cultura: “il nostro focus è stato più sull’attore privato, che non su istituzioni pubbliche – racconta – abbiamo cercato di capire come queste persone avessero tentato di reindirizzare il loro lavoro: certo molto è passato all’online, ma senza essere ovviamente risolutivo. Quello che più pesa è che è stato fatto gran poco per cercare di mettere le persone in condizione di potersi esprimere, qualcosa che dopo un anno comincia davvero a incidere troppo: non sappiamo che impatto potrebbe avere a lungo termine tutto questo”. La soluzione è che “dobbiamo sperimentare di più, potremmo ad esempio utilizzare i grandi spazi aperti che ci sono nelle nostre città, pensando a qualcosa da fare in sicurezza.

Quanto sia stretto il legame tra la creatività e la città è emerso proprio in questi mesi di pandemia, quando l’assenza della cultura e degli spettacoli si è fatta davvero sentire. Questi aspetti infatti secondo Cozzolino sono caratteristici della città ed è il contesto urbano a favorirne la generazione. “La città è un contesto percepito favorevolmente da chi produce servizi per la cultura e la creatività ed è importante che le realtà istituzionali riconoscano questo e lo sostengano, per avere un contesto vibrante e vivo”.

Creativa però non è solo la cultura, ma anche l’approccio al vivere e al lavoro: “ogni azione può essere creativa nel momento in cui genera qualcosa di artistico o culturale, lo è anche quando porta innovazione e questo può avvenire in qualsiasi settore: la città creativa non è solo arte e cultura, ma è anche innovare su prodotti e idee. Il quadro regolativo che disciplina la creatività in un’area urbana può favorirla o limitarla, intervenendo anche sugli spazi privati e sulle loro destinazioni d’uso o su come si disciplinano gli spazi pubblici”.

Nella visione di una città viva, creativa e vibrante, i singoli e le piccole realtà giocano un ruolo fondamentale, non solo per la generazione di nuove idee e prospettive, ma come custodi della conoscenza del territorio. “Si parte da un principio fondamentale: la città è un sistema complessissimo dove è impossibile avere una macro-conoscenza completa ed esatta dei dettagli, perché questa è distribuita localmente nella mente dei cittadini. Si tratta di una conoscenza ordinaria, locale: più le scelte politiche si distaccano da questa conoscenza quotidiana più avremo uno scollamento tra i provvedimenti delle istituzioni e i bisogni reali. Insomma molto viene dal basso, ma non tutto: “anche perché tanti provvedimenti devono essere presi da chi governa e amministra, ma è importante che ci sia ascolto e attenzione in questa direzione”.

Se pensa a Bergamo, in questo senso Cozzolino rileva un tentativo lodevole, quello delle reti di quartiere, “strumenti fondamentali, che possono ancora crescere molto”. In più ogni zona della città secondo lui dovrebbe avere un urbanista di riferimento, “che faccia un po’ di sintesi tra le istanze sociali, spaziali e architettoniche, cercando di portare situazioni da integrare all’interno di una visione più ampia”.

L’immagine è quella di un’opera d’arte: “non puoi avere un quadro di una certa caratura se ogni pennellata non è fatta come si deve. Alla fine, l’opera è l’insieme di tutti questi piccoli dettagli, così come la città deriva dall’insieme di micro-scelte e micro-azioni, non solo di macro-interventi. Qui entrano in gioco le singole persone”.

Proprio il ruolo del singolo nello spazio urbano è un altro aspetto che il ricercatore ha approfondito, sottolineando lo stretto legame tra politica e iniziativa personale: “veniamo da anni di regole prescrittive, abbiamo perso un po’ di spirito di iniziativa e siamo abituati a pensare che siano sempre gli altri a dover fare. Il cittadino medio non pensa di poter fare delle cose, ma è convinto che tutto sia un servizio o qualcosa che si può richiedere. Ciò vale anche per il pensiero creativo: “tanti non credono nella possibilità di alterare lo stato di fatto e di contribuire alla bellezza della città e al suo funzionamento con la propria azione”.

Questo ragionamento è poi strettamente connesso all’idea del dono e al valore del fare disinteressato, o meglio, di un interesse che non sia solo il proprio ma quello di tutti: “C’è il mondo associativo, che agisce e poi genera qualcosa che viene goduto da tutta la città, è un qualcosa che ho sperimentato con l’associazione Boccaleone Open Space di cui ho fatto parte a Bergamo, ma in realtà anche il piccolo commerciante con il suo negozio che abbellisce il quartiere è altrettanto importante”. Si tratta di concepire il nostro abitare lo spazio urbano come un vivere attivo, propositivo e vederci come qualcosa di più di utenti di luoghi o servizi. Alla fine la parola chiave forse è cittadini attivi.

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