Immaginare non costa nulla. Immaginare è il modo che abbiamo per pensare e costruire il futuro. Così dopo una settimana di Fase 2 e ancora tanto tempo davanti prima di tornare alla normalità, vi raccontiamo che cosa desidereremo fare quando potremo vivere una vita libera. Piccole grandi visioni da parte di chi ogni giorno scrive per Eppen e di chi lavora dietro le quinte.
Appartenere al mondo
Sono nata in un’epoca in cui, a differenza delle generazioni precedenti, è stato facile percepirsi cittadini del mondo, senza limiti di mobilità, di spostamento, da una nazione all’altra, ma anche da un continente all’altro. Fin da subito a scuola ho potuto studiare e vedere con gli occhi di una bambina passo a passo la nascita dell’Unione europea, la moneta unica. Ho potuto viaggiare per le strade europee senza dogane, limiti o vincoli. Ecco, in questo periodo invece per la prima volta ho interiorizzato il concetto di “confine”, non solo nazionale, ma regionale, provinciale, comunale e, infine, domestico e personale. Non vedo l’ora di ritrovare la sensazione di “appartenere al mondo”, tornando a oltrepassare confini con una nuova consapevolezza. E sarà bellissimo. Lara Abrati (autrice)
Romagna mia
La prima cosa che voglio fare quando tutto sarà tornato alla normalità (o a qualcosa che ci assomiglia) è andare in Romagna. Lo so, non è un obiettivo culturalmente spesso ed eticamente elevato ma voglio chiarire due cose. Primo: non sto parlando della riviera ma di un paesello che si chiama Conselice, provincia di Ravenna. Un gruppo di case in mezzo alla pianura, dappertutto campi da frutto, casolari e cieli aperti. Una pianura calda, materna, per noi disorientante senza punti di riferimento all’orizzonte. Secondo: lì abitano le mie amiche romagnole, conosciute quando studiavo a Bologna. In qualsiasi momento mettessi piede a Conselice troverei una casa che mi accoglie e una nonna che in quattro e quattr’otto mi prepara le tagliatelle al ragù e mi offre un bicchiere di rosso. Garantito! Soprattutto troverei loro: una meravigliosa compagine di donne, sparpagliate tra figli e lavoro, che ogni volta magicamente si riuniscono per accogliere “la bergamasca”. Per cui credo proprio che un bel mattino di giugno (spero) caricherò i miei figli in macchina e partirò alla volta della Romagna. E Covid at salut! Manuela Assolari (segreteria di redazione, autrice)
Un cambiamento
Ci sono tante cose che vorrei fare quando la situazione sarà tornata alla normalità. Ne seleziono tre: 1) ricominciare a viaggiare, ma soprattutto ricominciare mentalmente ad avere la possibilità di viaggiare – a me piacciono le città: Bologna, Parigi, Torino, Vienna; 2) tornare in libreria: lo so che ci posso andare anche adesso, ma il mio desiderio è tornarci liberamente, le librerie sono soprattutto luoghi dove rilassarmi; 3) tornare all’Iper di Seriate (che è anch’esso aperto, ma con tante costrizioni): questo per me è un altro luogo rilassante più che di acquisto. Dall’osservazione delle persone e dei fatti che accadono in uno spazio-generatore di immaginario potentissimo sono nate tante delle cose che ho scritto – tutto ciò vale per ogni centro commerciale, ma solo l’Iper mi rilassa). Più di tutto però desidero un cambiamento, perché il nuovo coronavirus ha fatto venire molti nodi al pettine. E questi nodi dobbiamo affrontarli. Luca Barachetti (coordinatore dei contenuti, autore)
Le ricette di famiglia (a modo mio)
La prima cosa che voglio fare quando torneremo a una vita (abbastanza) normale è cucinare per la mia famiglia le ricette che ho imparato durante la clausura. Mi sono trovata a vivere questi due mesi lontana da casa mia e, quindi, lontana dalle ricette che sanno di famiglia. E allora mi sono messa a farle io, a modo mio, con le mie capacità. Il più che discreto successo che hanno raccolto tra i miei attuali conviventi (il mio ragazzo e sua mamma) mi ha fatto desiderare di farle assaggiare anche alla mia prima insegnante di cucina: mia mamma. E ovviamente anche ai suoi storici giudici, con i quali vado sul sicuro perché, fortunatamente, sono “di bocca buona”: mio papà e mia sorella. Giulia Belotti (autrice)
Nostalgia bibliotecaria
Presto mi dovrò costituire. Come quella volta in cui Charlie Brown smarrì il libro della biblioteca. Con la sola differenza che io non ho smarrito un bel niente, ma tra tutti gli appuntamenti mancati di questo periodo, c’è stato anche quello con la restituzione dei libri in scadenza alla biblioteca. Ogni volta che lo sguardo cade sui volumi presi in prestito (ormai mesi fa), non posso fare a meno di pensare che avrei potuto consegnarli prima che fosse troppo tardi. Ecco allora crescere dentro di me un senso di impotenza, di colpa e un desiderio inespresso: la voglia di tornare in biblioteca e restituirle ciò che è suo. Di passeggiare tra gli scaffali e vedere gli studenti chini nelle aule studio. Di ricordarmi il profumo delle stanze, la leggera vibrazione del vecchio edificio comunale, la vista dei gatti fuori dalle finestre, il volo pazzo dei merli nel viale alberato sottostante. Il fiume placido in lontananza. Non pensavo mi sarebbe mancata così tanto. Non vedo l’ora che arrivi il 18 maggio. Marta Belotti (autrice, social media editor)
Tornare in montagna, e poi a casa
C’è una parte di me attratta dalla montagna. Quella parte non sa resisterle, non sa fare senza, non sa essere felice fino in fondo in nessun altro tipo di ambiente sia esso mare, pianura, lago. Quella parte di me non sa essere soddisfatta. In pace. Capiamoci. Non parlo della montagna estrema anche se un paio di 4000 li ho fatti e le sensazioni che si provano quando si giunge in vetta, dopo essere partiti con il buio, aver camminato per ore ed essere saliti per un dislivello di migliaia di metri, sono fantastiche. Intendo l’essere su di un sentiero. A grande distanza da tutto e tutti, immersi nella natura montana. Dove gli unici colori che si vedono sono tonalità di marrone, verde, blu e grigio – quando non si ha la fortuna di avvistare animali ancora più colorati. Dove i soli rumori che si sentono sono quelli dei nostri passi che calpestano la terra, urtano i sassi, le radici e piegano rami di arbusti o fili d’erba. Ricordo ancora dopo la maturità quanto è stato semplice decidere di preparare lo zaino pur non avendo pianificato nulla, e partire per camminare alcuni giorni sulle nostre Orobie. Giorni che poi sono diventati diciassette, camminando per oltre dieci ore al giorno, da solo. Godendo ogni minuto di solitudine, ma essendo felice allo stesso tempo di rivolgere un saluto a chi incrociavo sulla via. Per questo non ho dubbi: appena vi sarà la possibilità di farlo è in montagna che andrò. A prendermi qualche ora di nutrimento per la parte di me che ho appena raccontato. Solo qualche ora però! Oggi a differenza del neodiplomato, ho due meraviglie a cui tornare ed alle quali non vedo l’ora di tornare ogni volta che mi allontano. Alessia e Filippo. Fabrizio Fustinoni (capo-progetto)
Un vestito rosso (comprato ai saldi)
Grazie alla Fase 2 sono tornata a camminare molto. Vorrei anche andare a trovare mia nonna, ma non so se sia prudente. Mi piace pensare alle fasi successive, quando ci sarà restituita un po’ di socialità: una passeggiata per un gelato in una sera d’estate, il cinema all’aperto, un “party privato”. Non so quale sarà la prima cosa che farò, ma sto già immaginando come sarò vestita. Questi sono stati mesi di tuta, al massimo di jeans per uscire a fare la spesa (non volevo correre il rischio di essere scambiata per una runner). Adesso voglio tirare fuori dagli armadi i sandali dorati col tacco, il vestito rosso comprato ai saldi e mai messo, il tailleur fucsia, la maglietta con le paillette, gli orecchini grandi, le gonne svolazzanti e altre buone cose di pessimo gusto. Ci saranno momenti duri, e vorrei affrontarli con la giusta armatura. Marina Marzulli (autrice)
Uno sguardo
Mi ha sempre stupito la mia piccola per lo sguardo talvolta agghiacciante, talvolta stupito, talvolta interrogativo… Quando tutto sarà veramente passato, vorrei tornare liberamente a viaggiare e passeggiare in luoghi conosciuti o ancora da scoprire vicini e lontani, vorrei andare in Malawi da mia zia a salutare la sua tomba che ho visto solo in un video alcuni anni fa. Poi vorrei rispondere agli sguardi di Eva con leggerezza e senza paure, senza non doverle più negare gli abbracci ai suoi amici o dei gesti di gioco e condivisione che minano la sua sicurezza. Vorrei rispondere ai suoi posso? con un convinto SÌ.
Riconoscerò ancora i miei fratelli?
Quando potremo finalmente essere liberi di muoverci, spero di poter respirare le montagne di casa mia. Per tutta la vita ho desiderato andarmene, ma stare lontana dalla mia famiglia per cinque mesi significa poter conoscere le nuove rughe che si disegnano sul volto di mia madre, solo attraverso uno schermo. E pensare che comunque rimarrà la più giovane di tutte. Significa vedere i miei fratelli che diventano ragazzi e non riconoscere più il loro tono di voce. Quindi quando finalmente potremo stare insieme spero che non siano diventati abbastanza uomini da considerare proibitivo l’affetto di una sorella maggiore. Con mia sorella ho perso le speranze: si considera già una single per scelta (degli altri). Carmen Pupo (autrice)
Una palla a spicchi con gli amici
Una volta superata questa emergenza, sarà molto difficile non correre nel campetto più vicino per giocare a basket con compagni di squadra e amici di una vita. Quella per la palla a spicchi è una passione (per chi scrive anche una professione) che è stata completamente – e inevitabilmente – messa in pausa dalla pandemia: niente allenamenti, niente campionati, nemmeno la TV ci ha potuto dare grandi compensazioni, con Serie A e NBA fermi a loro volta. Noi “malati” di basket ci siamo potuti consolare in questo periodo di astinenza forzata solamente con qualche replica storica e l’ottima serie Netflix “The Last Dance”. Poter finalmente riprendere in mano quella palla, stando con altre persone che condividono la nostra passione e praticare lo sport che ci unisce e ci appassiona da sempre sarà qualcosa di veramente liberatorio. Luca Roncoroni (autore)
Pollo fritto
Oggi posso solo immaginare che una giornata ideale nel futuro si svolga come una delle peggiori nel passato. Svegliarsi troppo presto, sentire la pioggia, intuire una giornata grigia, fredda, spenta. Deambulare tra bagno e cucina. Colazione scarsa e trangugiata per la fretta. Lasciare casa con lo scoramento di un addio. Passare una giornata d’inferno, rimbalzare di qua e di là senza il tempo di fermarsi un minuto. Rientrare che è già buio, a sera inoltrata, con una fame boia ma con un pacchetto del pollo fritto di Berni Kebab sul sedile passeggero, prodromo di un epilogo raggiante. Aprire il cancelletto, salire il pianerottolo. Varcare la soglia e poter dire: “finalmente a casa”. Mirco Roncoroni (autore)
Il valore di una sala cinematografica
La prima cosa che vorrei fare è quasi certamente una delle ultime che sarà consentita: tornare al cinema. Perché il cinema è per sua natura uno dei gesti sociali più spontanei e diffusi, ma anche uno di quelli che più degli altri rischia di scomparire. Forse questi lunghi mesi di isolamento ci hanno aiutato a ricordare l’unicità e il valore della sala cinematografica e quanto cose semplici come uscire di casa per raggiungerla, sprofondare nelle sue poltrone e guardarci un film al buio in mezzo agli altri, siano azioni quasi irrinunciabili. Speriamo non irripetibili… Lorenzo Rossi (autore)
Un amore di baita
Stufa a legna accesa, brasato che cuoce nel forno, l’aria frizzantina di prima mattina e i prati bagnati di rugiada: la cosa che non vedo l’ora di poter fare è passare qualche giornata nella baita in montagna del mio ragazzo, Giovanni, insieme a lui e alla mia cagnolina Annie. Spegnere il cellulare, fare lunghe passeggiate, concederci ogni sfizio culinario che ci passa per la mente, bere buon vino, arrenderci alla siesta pomeridiana, improvvisare aperitivi, arrabbiarci per le partite a carte che a turno perdiamo, giocare a Pictionary ridendo fino alle lacrime e crollare, a sera, esausti, sul divano, con appena la forza di trascinarci a letto. Marta Semperboni (autrice)
Cose semplici e banali
Non ho mai amato troppo gli Afterhours, ma alcune loro canzoni sì. Anche solo certi titoli mi sono sempre sembrati geniali e illuminanti. Come “Cose semplici e banali”. Perfetto per quello che vorrei fare nei prossimi mesi: bici, cane nel cestino, amore e affetti, pomeriggi di sole e farmi abbracciare dai colli di Città Alta, arrivare all’Adda e seguirlo finché non incontra il lago. Acqua, un sacco di acqua, torrenti e se fosse possibile, ma so che ancora non è, amici, ancora amici e mangiare insieme, musica dal vivo e i festival. Magari un’amaca, da attaccare tra due alberi. E poi scrivere e fare progetti in gruppo. Ecco qua. “Naufragio sull’isola del tesoro”. Non li amo troppo gli Afterhours, ma anche questo è perfetto di titolo. Dopo questi due mesi, come naufraghi ci ritroviamo dove eravamo già. Serena Valietti (autrice)
Voglio stare a casa!
Ad essere sinceri, io appartengo a quella categoria di persone che di uscire non ha tutta questa voglia. Sì tende a non dirlo ad alta voce per paura di sembrare pazzi e, allo stesso tempo, si leggono articoli su articoli di psicologi cercando di capire che sia vero, cercando di rispondere alla domanda “Non sarò pazzo?”. Per questo ho capito che per alcuni specialisti la questione sta nel concetto di tana e mi spiegano che la mia casa è diventata per me come un rifugio nel quale ho le mie certezze. Altri scomodano addirittura l’ancestrale protezione dell’utero materno. Non lo so, io non vivo in una reggia, non ho il giardino che “fortunati quelli col giardino”, ma ho passato anni a curare la mia casa in modo che potesse essere accogliente e bella da vedere e in questi giorni lei mi ha ripagato di tutte queste attenzioni. Per cui per me non c’è stato nessuno start, nessun 3,2,1, via! Sono uscita il 5 maggio, più prudentemente e in tarda mattinata, per la classica visita ai congiunti e lo farò ancora… ma senza nessuna fretta a quanto pare. Astrid Serughetti (autrice)
Il movimento è una forma di apprendimento
Potrei dire che mi mancano gli amici, qualche cena al ristorante con relativa chiacchierata fiume, il cinema Capitol, il Conca Verde, gli incontri culturali, la corsa. Mi manca il programma delle vacanze a Londra, organizzare un salto a Milano a vedere una mostra al Mudec o a Palazzo Reale, il fine settimana a Firenze a vedere il Rinascimento. Detto questo, cosa farò quando saremo liberi? Smetterò di pulire i vetri e gli armadi per uscire e andare a suonare il campanello degli amici per prendere il caffè insieme. Smetterò di disinfettare i pavimenti per salire su un treno che porta verso il Sud o su un aereo che porta verso il Nord. Andrò a vedere cosa fanno gli altri festival, che frequento per passione e per lavoro, perché sono curiosa, perché la gente mi piace, perché ho voglia di imparare. Con questa quaratena sono arrivata alla conclusione che il movimento è una forma di apprendimento: si impara con le gambe, con i piedi che fanno male e con la schiena stanca. E io che pensavo che tutto fosse nella testa… Daniela Taiocchi (direttrice)
(immagini di HappyAprilBoy)