La prospettiva di una tregua tra Israele e Hamas , dopo 467 giorni di conflitto, è realtà, anche se il futuro della Palestina è quantomai incerto. Il Libano ha un nuovo Presidente e un nuovo Primo Ministro: sono Joseph Aoun e Nawaf Salam, quest’ultimo assai sgradito a Hezbollah (e assai apprezzato dalle Nazioni Unite, dal momento che ne presiede la Corte Internazionale di Giustizia). In Siria, il regime di Bashar al-Assad è crollato e il sentimento generale sembra essere quello di una palingenesi nazionale, per quanto i dubbi sui suoi nuovi governanti restino, sia tra i siriani che da parte degli osservatori internazionali. Nel giro di poche settimane, l’Iran ha perso molti dei suoi alleati in Medio Oriente, l’asso israelo-americano sembra essersi rafforzato e lo stesso vale per le posizioni della Turchia, che sta ottenendo risultati strategici in Siria.
Per alcuni analisti, il Medio Oriente si sta avviando verso una nuova stabilità. Per altri, invece, si tratta solo di una (relativa) quiete prima dell’ennesima tempesta. Quali sono le prospettive per la Terrasanta e per il Levante? Ne abbiamo parlato con Lucia Capuzzi, inviata della redazione esteri di Avvenire, appena ritornata da un viaggio in Siria, Palestina e Israele e che sarà relatrice domani, venerdì 17 gennaio, dell’incontro «Medio Oriente epicentro del ciclone bellico», promosso dall’Associazione Mutuo Soccorso di Bergamo.
Il Medio Oriente, «emblema delle guerre contemporanee»
Nonostante la - presunta, fragile, difficoltosa - spinta verso la pacificazione del Levante, la conferenza in programma venerdì alla Sala del Mutuo Soccorso di Bergamo parlerà del Medio Oriente come dell’«occhio del ciclone» del turbinio di guerre e conflitti che caratterizzano l’età contemporanea. Si tratta di una visione in linea con quella di Papa Francesco, che più volte negli ultimi anni ha parlato di una «terza guerra mondiale a pezzi», ma che pone Gerusalemme, Damasco e Beirut nel cuore dell’instabilità globale.
La scelta del titolo dell’incontro non è casuale: «quello in Medio Oriente è un conflitto che va avanti da sette-otto decenni ormai ed è l’emblema delle guerre contemporanee. Ha attraversato buona parte del Novecento e ora accompagna l’inizio del XXI secolo, se possibile in una maniera ancor più cruenta che in passato», esordisce Capuzzi, che aggiunge: «la questione israelo-palestinese è uno dei grandi nodi irrisolti del secolo scorso. Essa continua a impattare sulla politica mondiale, per aggiunte successive e con un’escalation che rischia di estendere la destabilizzazione a tutto il Medio Oriente. Perché i problemi, nel Levante, sono tanti: non c’è solo la Palestina, ma ci sono anche il Libano, la Siria, l’Iraq, l’Iran e l’Afghanistan. La deflagrazione del conflitto tra Israele e Hamas rischia di coinvolgere tutta la regione: Siria e Libano, in una certa maniera, sono già stati colpiti. Ora occorre capire quanto si estenderà l’impatto della guerra».
Nel tempo, l’assetto politico della Terrasanta è diventato un problema apparentemente irrisolvibile, destinato a riproporsi ciclicamente con ondate successive di violenza, per giunta sempre più cruente: «Il consenso generale attorno al conflitto israelo-palestinese è che si tratti di un problema senza soluzione, che il Governo di Tel Aviv cerca di “gestire” come meglio può. Lo stesso avviene in Ucraina, dove pare che non ci sarà mai una ricomposizione delle ostilità. Ma la storia ci dimostra che i conflitti si risolvono - anche quelli più complicati. Ci sono degli strumenti per risolverli. Si tratta solo di avere coraggio e audacia per applicare questi strumenti», spiega la corrispondente di Avvenire.
Dalla Terrasanta a Washington D.C.
Lucia Capuzzi è appena rientrata dal Medio Oriente, dopo aver visitato la Siria del post-Assad e la Terrasanta dilaniata dal conflitto. Il clima che si respirava a Damasco era del tutto diverso da quello della Palestina, ci racconta: «in Siria si percepisce un grande entusiasmo popolare, che va al di là dell’evoluzione che la politica nazionale potrà prendere in futuro. Nessuno sa come andranno le cose, e un po’ di preoccupazione c’è. Però, per il momento, quello che prevale è il sollievo della popolazione che si è liberata di un regime ormai intollerabile. La dittatura di Assad aveva fatto il suo tempo. Era estremamente corrotta e altrettanto repressiva: non c’è famiglia siriana che non abbia uno scomparso tra i parenti, gli amici o i conoscenti. A tutto ciò si aggiunge un servizio militare che formalmente durava 18 mesi, ma che in realtà poteva estendersi fino a un decennio - o finché non pagavi per farti mandare a casa».
Dalla Siria, l’inviata di Avvenire ha attraversato la Giordania ed è entrata in Israele e in Palestina. « Ho visto il Natale a Betlemme , completamente vuota, priva di luci e di viaggiator i», ricorda la giornalista. «È una situazione triste, che d’altro canto è la stessa che si vive in tutto Israele e in tutta la Cisgiordania: i pellegrini non ci sono più. L’entusiasmo che si respirava in Siria, qui, cede il passo a una tremenda stanchezza. Quindici mesi di guerra hanno provato la popolazione, e l’assenza di prospettive fiacca ulteriormente gli animi. Ora sembra che qualcosa si muova, ma il clima era quello di sfinimento reciproco, sia tra i palestinesi che tra gli israeliani. Non ce la facevano più».
Nel corso del suo viaggio in Medio Oriente, Capuzzi ha visitato anche Trump Heights, una comunità di coloni israeliani sulle alture del Golan – territorio conteso tra Israele e Siria – che è stata dedicata all’ex- (e ora neo-) Presidente americano Donald Trump. Sull’insediamento ha scritto un reportage pubblicato sulle pagine di Avvenire, che vi consigliamo di leggere se volete conoscere la storia di Trump Heights, la vita quotidiana delle persone che ci vivono e il futuro che li aspetta ora che il regime di Assad è stato abbattuto. L’assegnazione del nome del tycoon statunitense a un villagio israeliano tradisce il fortissimo coinvolgimento americano nella politica israeliana. Coinvolgimento che si farà ancor più forte ora che il «trumpismo» - strenuo sostenitore dell’ultradestra di Tel Aviv - si è reinsediato alla Casa Bianca. «Il ritorno di Trump a Washington rappresenta un grande cambiamento per lo scacchiere mediorientale», conferma Capuzzi, che sottolinea: «Il primo effetto che ha prodotto è stato quello di accelerare un accordo di pace, o quantomeno una tregua, tra Israele e Hamas. Trump vuole presentarsi come il Presidente che fa finire le guerre, e non certo come quello che le inizia o che le continua. Il punto, semmai, saranno i contenuti di questo accordo tra Israele e Hamas, sui quali al momento non si sa quasi nulla».
La variabile Trump in Palestina e in America Latina
Trump è una variabile «imprevedibile» nello scacchiere mediorientale, secondo Capuzzi. Il suo desiderio di pacificazione in Palestina potrebbe avere dei risvolti positivi nell’immediato, ma occorre anche ricordare che « l’ottica trumpista sulle guerre è di brevissimo periodo: a lui, in questo caso, interessa dimostrare di essere un paciere, e non sembra avere particolare considerazione per quello che succederà in futuro. Si tratta di un problema tanto più grave se guardiamo alla Cisgiordania: la vicinanza tra l’amministrazione Trump e l’estrema destra israeliana potrebbe portare all’avvio di nuovi progetti di colonizzazione, proprio come “Trump Heights”, nel territorio palestinese. La presenza di coloni israeliani in Cisgiordania, però, ha dei gravi effetti collaterali. In primo luogo, ostacola la formazione di un vero e proprio Stato palestinese. Poi, incrementa e perpetua le tensioni tra israeliani e palestinesi, anche al di fuori dei territori occupati. In tal senso, dunque, Trump si sta dimostrando capace di sedare i conflitti, più che di risolverli».
Specie per quanto riguarda il Medio Oriente, il Presidente neo eletto ha dimostrato – già nel corso del suo primo mandato alla Casa Bianca – di ragionare in un’ottica di breve periodo. In primo luogo, è Trump che ha firmato l’accordo con i Talebani in Afghanistan, che ha portato alla disastrosa ritirata dell’esercito americano e alla riconquista del potere da parte degli estremisti. E poi c’è il caso dell’accordo USA-Iran sul nucleare, da cui Washington si è ritirata nel 2018, spingendo Teheran a prendere posizioni sempre più aggressive proprio in Medio Oriente, sostenendo alleati come Hamas, Hezbollah e gli Houthi in Yemen.
Le recenti dichiarazioni di Trump sul canale di Panama e sull’annessione della Groenlandia (che al momento fa parte, non senza qualche spinta separatista, della Danimarca) hanno però riacceso l’interesse geopolitico sulle Americhe . Molti esperti hanno già bollato la direzione intrapresa dal tycoon come una riproposizione della «Dottrina Monroe», che nel XIX secolo sanciva l’egemonia incontrastata degli Stati Uniti sulle Americhe e invitava le altre potenze a non invischiarsi nella politica del «giardino di casa» di Washington.
Capuzzi, che per anni si è occupata di America Latina – è il suo «grande amore» ci ha confidato – ha descritto la rielezione di Trump come « una brutta notizia per il resto delle Americhe. I Paesi sudamericani hanno già affrontato il trumpismo in passato: esso ha prodotto degli sconquassi politici, che solo in un secondo momento sono stati arginati. Le recenti dichiarazioni roboanti su Panama e sulla Groenlandia fanno parte di una strategia retorica del Partito Repubblicano, che vuole distrarre l’opinione pubblica dalla situazione in Medio Oriente e in Ucraina. Poi, con ogni probabilità, gli USA non si prenderanno nessun territorio, ma quanto detto su Panama ha un peso simbolico importantissimo». Il canale è stato infatti restituito a Panama solo nel 1999, in virtù di un trattato firmato dal Presidente Jimmy Carter nel 1977: «Nell’immaginario simbolico dell’America Latina, la restituzione del canale doveva segnare una nuova forma di relazione tra gli Stati Uniti e i Paesi vicini, non più in chiave imperialista ma con una partnership paritaria. Accampando nuove pretese su Panama, insomma, Trump vuole tornare a un sistema di rapporti che guarda al passato, dove gli Stati Uniti sono al centro e il resto del continente prende ordini».