Il 25 e il 26 febbraio scorsi, alla Fiera di Brescia si è svolto il «Festival dell’Oriente». Se ci avete già fatto un salto avrete sicuramente notato, fra le mille suggestioni offerte dall’evento, uno stand all’ingresso, proprio vicino all’area induista, dove alcune ragazze erano intente a disegnare tatuaggi temporanei con l’henné. Ho avuto il piacere di fare quattro chiacchere con una di loro, Alice Chioda, bergamasca classe 1996, che davanti a una tazza di tè mi ha raccontato di una passione, nata come lavoretto durante gli studi e divenuta una vera e propria professione.
Alla domanda sugli esordi, mi mostra orgogliosa la foto di una manina con un semplice disegno: è il suo primo henné, fatto a cinque anni durante un’iniziativa organizzata a scuola da sua madre, animatrice culturale, con l’aiuto di un amico marocchino. Quell’esperienza le apre un mondo. Nel 2014, in Turchia, acquista un conetto chimico di bassa qualità: puzzolente, grumoso e con un pessimo colore. Si ricorda dell’amico marocchino che impastava delle foglie e le compra alla macelleria islamica più vicina.
Ci vogliono un paio d’anni per mettere a punto la ricetta perfetta: le materie prime non sono facili da trovare e non si trovano ricette sui social con facilità come oggi, ma dopo tanti tentativi il risultato finalmente la soddisfa. Comincia così a decorare amici e parenti, poi la svolta arriva grazie a un evento organizzato da un bar a Verdello per i clienti. Il suo nome inizia a circolare: grazie al passaparola gli eventi si moltiplicano, non è più un semplice hobby ma un vero e proprio lavoro e Alice decide di lasciare l’università e aprire partita IVA.
Bridal henné : la decorazione delle future spose
Una grossa parte del suo lavoro consiste nel decorare le spose. Nei paesi in cui cresce la Lawsonia inermis, o pianta dell’henné (termine francese, mentre henna è il nome arabo e mehndi quello indiano e pachistano) si è consolidata la tradizione di decorare le spose qualche giorno prima delle nozze: pur essendo culture geograficamente lontane (Marocco, India, Pakistan, Costa D’avorio, Burkina Faso…) hanno questa tradizione in comune. Un po’ come il nostro addio al nubilato, è una festa per sole donne, dove sposa, parenti e amiche si ritrovano per una giornata che è sia una preparazione estetica sia un rituale di famiglia.
Ci sono vestiti e colori appositi per quel giorno, ad esempio in Marocco le spose usano il verde e l’oro e fanno disegni più semplici; in India invece si utilizzano diversi colori e le spose vengono decorate fino al gomito. Nei paesi africani si indossano vestiti tradizionali e gioielli specifici. Si decora prima la sposa, che è la persona più importante della festa, a seguire tutte le invitate, soprattutto la mamma e le sorelle. Poi, tutte insieme, si balla, si canta e si mangia.
Non è stato facile entrare nel “giro” delle spose, perché si basa tantissimo sul passaparola. Alice ha dei colori decisamente mediterranei, e spesso di primo acchito viene scambiata per magrebina o indiana, ma quando poi si scopre che è italiana le prime volte nasceva il sospetto dell’appropriazione culturale e la sfiducia.
Grazie alla sua bravura e alla sua dolcezza, però, ha conquistato le spose per cui ha lavorato, che l’hanno consigliata alle amiche, facendola accedere a un vasto bacino di potenziali clienti. E poi ci sono i social, con cui lavora tantissimo: Instagram e Tiktok, da cui arriva circa il 50% degli ordini online di conetti di henné , che Alice impasta e spedisce. I social sono una vetrina ideale per le ragazze che dall’estero decidono di venire a sposarsi in Italia. Mi racconta che l’estate scorsa è volata in Puglia per matrimonio tra una ragazza svizzera e un ragazzo indiano che vive a Londra, un bel mix di culture insomma! Nota divertente: «Pensa che quando finalmente riesco a convincerli che sono italiana, tutti mi dicono sempre “Ah, ma allora sei del Sud!”. Una bergamasca che fa henné? Proprio non ci crede nessuno».
Henné naturale vs henné chimico
Una cosa su cui Alice e tutte le ragazze della sua rete insistono molto è l’uso di henné naturale per la preparazione dei conetti con cui lavorano. In commercio si trovano tantissimi conetti che costano poco, ma spesso non contengono henné e hanno dei conservanti addirittura vietati in Europa (anche non dichiarati). Sono nati per l’esportazione, ma visto il basso costo si sono diffusi anche nei paesi di origine. Si tratta di impasti istantanei che scuriscono subito (mentre il vero henné impiega 24 – 48 ore) e si lavano via subito. Gli additivi chimici in essi contenuti possono essere cancerogeni, tossici e lasciare brutte cicatrici.
L’henné naturale costa di più e va tenuto in freezer, ma ha una qualità decisamente migliore e soprattutto vengono sempre dichiarati gli ingredienti, che sono: foglie di henné tritate in polvere, zucchero, olii essenziali e acqua. Alice usa solo l’olio di lavanda perché è adatto a tutti i tipi di pelle e può essere usato in sicurezza anche in gravidanza, da chi sta facendo sedute di chemioterapia, sui bambini e sulla pelle delicata. In alternativa, si possono usare anche altri olii essenziali che danno la stessa resa. L’unica controindicazione dell’henné naturale è per chi è affetto da favismo.
Ma come si riconosce un henné naturale? «Innanzitutto il profumo: se ha un odore sgradevole e non sa di olio essenziale lasciate perdere. Ad esempio, in Marocco viene usato il dullio (acquaragia) come solvente al posto degli olii essenziali. A livello chimico funziona uguale, ma per la pelle ha un impatto diverso: basta annusarlo, quando passi accanto alla bancarella senti subito l’odore simile alla benzina. Poi i conetti naturali sono trasparenti, mentre quelli chimici hanno un aspetto da prodotto industriale. L’importazione impiega molti giorni, mentre l’impasto naturale è molto deperibile perché sono foglie tritate e non si conserva a temperatura ambiente. Soprattutto, chiedete all’artista gli ingredienti che sta usando: se non ve lo sa dire meglio lasciar perdere per evitare brutte esperienze».
Consigli per giovani artisti
La storia di Alice ci parla di una passione artistica divenuta professione, ma non è facile e ci vogliono alcuni ingredienti specifici per creare questo tipo di successo. «In un lavoro come il mio, se non usi i social non esisti: è un passaparola con un bacino di utenza grandissima. Ma attenzione a non usarli come sola pubblicità: devi creare dei contenuti interessanti. Ad esempio, io condivido la mia ricetta dell’henné. Se dai delle informazioni che le persone possono usare senza per forza dover comprare qualcosa, ti vedranno come persona affidabile. Uso molto questi canali per spiegare la differenza tra henné chimico e naturale, perché nei laboratori ho visto bambini con le cicatrici degli henné fatti in spiaggia, ed è utile che io condivida queste informazioni con il mio pubblico. Se vuoi ti aiuto anche a trovare qualcuno vicino a te che faccia il mio stesso lavoro, grazie alla mia rete di contatti, poi puoi comprare da me i conetti, ma ti ho dato un contenuto interessante prima di ricevere qualcosa in cambio».
Ci vuole poi tanta perseveranza: «Io sono stata fortunata, perché ho iniziato quando ancora stavo studiando e non avevo scelto la mia strada. Farlo diventare una professione è stato reso possibile dalle persone che mi hanno chiesto di disegnarle e si sono fidate, ma è fondamentale fare pratica tutti i giorni e non volere tutto subito. In questo, i social possono essere deleteri, perché fanno sembrare tutto facile, ma io ho impiegato due anni solo a mettere a punto la ricetta. Bisogna mettersi nell’ottica di spendere tanta energia e non buttarsi giù se dopo tre giorni non si hanno già dei risultati».
Tanti stili per tante culture
Ci sono diversi stili di henné. Chiedo ad Alice se ne ha uno preferito. «In realtà no: i diversi stili dipendono dal paese, dalla regione e dalla città di provenienza, ma anche dai diversi strumenti usati per distribuire la pasta di henné sulla pelle. In Marocco si usa molto la siringa, a cui viene spezzato e poi limato l’ago, mentre in India inizialmente si usavano dei rametti e poi si sono sviluppati i conetti. Avere strumenti diversi e gusti diversi ha dato poi origine ai differenti stili. Ad esempio a Fes si è sviluppato uno stile geometrico molto caratteristico, fatto di linee, pallini, quadrati e triangoli, che richiama lo stile delle ceramiche e dei tessuti prodotti lì».
«Ho imparato i vari stili inizialmente dalle persone e poi ho seguito dei corsi a Budapest e in Marocco – continua Alice – Ma la cosa che preferisco è quando la persona mi dice “fai tu”, perché non mi piace copiare e ogni mio disegno è fatto apposta per quella persona, inserendo elementi specifici. Qualcuno viene da me anche per fare le prove dei tatuaggi, per vedere come stanno prima di passare dal tatuatore».
Il tè è ormai finito e anche la nostra chiacchierata volge al termine. Prima di andare Alice mi chiede se voglio un henné. Posso forse rifiutare? Prima, però, le mostro una foto dal telefono: è un suo henné del 2017, di quando lavorava “per la gloria” nei parchi, chiedendo un’offerta libera. È lì che l’ho conosciuta e ho iniziato a seguirla sui social. Lei si schernisce, si lamenta che disegnava proprio male e si scusa addirittura. Poi, mentre la osservo muovere sicura il conetto di henné sulla mia mano, non posso fare a meno di pensare che proprio grazie a quel disegno siamo qui oggi.
Mi chiede se voglio anche un conetto da portare a casa, per provare a fare i disegni da sola, ma le rispondo che sono negatissima nel disegno e che sarebbe davvero sprecato. La mia arte sono le parole, e spero con esse di essere riuscita a “dipingere” bene la sua, di arte, fatta di sapienza antica e spirito di intraprendenza, unite al talento per il disegno e alla passione.