Atanas Malinov compirà 64 anni il prossimo 22 aprile e come tutti gli sportivi patisce questo eccezionale periodo di stop in cui non può allenarsi e soprattutto non allena. È a casa, ovviamente, e la sua casa ormai è Bergamo a tutti gli effetti, l’ha scelta e non tornerebbe più indietro.
Il suo nome si lega per i più alla grande stagione della pallavolo femminile, quando le star in città non erano come oggi Papu Gomez e compagni ma Maurizia Cacciatori, Antonella Bragaglia e la schiacciatrice Keba Phipps.
Atanas e la moglie, Kamelia Arsenov, infatti, sono arrivati non terra bergamasca nel 1994 direttamente da Sofia, chiamati a lavorare per una squadra di pallavolo femminile appena arrivata nella massima categoria. Era la Volley Bergamo o, come la chiamavamo tutti, “la Foppa”.
“In Bulgaria ho studiato tanto per fare questo mestiere – racconta Malinov – ho finito l’Accademia dello sport che significava un percorso lungo novanta esami. In Italia era ancora molto diverso, gli allenatori sportivi non dovevano studiare così a lungo e così tanto”. In effetti questa grande preparazione, unita alla passione e a una certa dose di talento, ha permesso a Malinov di diventare “grande” in patria prima ancora che fuori, come racconta lui stesso: “In Bulgaria avevamo vinto tutto e a un certo punto avevo bisogno di nuovi stimoli”.
Ecco che arriva, dunque, la chiamata per l’Italia e la decisione da valutare. Sono gli anni Novanta, non tutto è semplice: “Per un lungo periodo la mia vita e quella di mia moglie è stata ‘macchina e girare’. Arrivare in Italia non era semplice, c’erano questioni di visto, la burocrazia era tanta, ma in quegli anni la Bulgaria era sotto il comunismo e l’orbita della Turchia, mentre l’Italia aveva una mentalità diversa, molto più aperta. Ci piaceva, non è stato difficile trovarsi subito bene qui. Per questo abbiamo pensato che poteva essere l’occasione per fermarsi un po’ di più”.
Un Paese nuovo, un mondo nuovo e un’alchimia con una nuova squadra che diventa subito vincente. In quegli anni la Foppapedretti vince tutto e i bergamaschi cominciano a essere veramente orgogliosi della loro squadra e delle loro giocatrici. Nella stagione 1994-95 il volley Bergamo si gioca l’esordio in A1, la massima divisione italiana, arrivando quinta in classifica e qualificandosi per la prima volta in una competizione europea, la Coppa dei Campioni vinta nel 1996, dopo il primo scudetto e la Coppa Italia. Grazie a quei trofei, il viaggio da Sofia a Bergamo si concretizza in un nuovo, esplosivo, inizio. “Mia figlia Ofelia è nata a Bergamo e la portavo con me in palestra quando era piccolissima”.
L’alchimia con la città fa il resto. All’esperienza nel club orobico segue quella in squadre di altre città italiane, ma la scelta alla fine è stata quella di tornare “a casa”, in terra bergamasca, allenando la Lemen Volley di Almenno, che Atanas Malinov ha portato in cima al campionato italiano under 16 l’anno scorso.
Adesso, a conclusione di una carriera ormai metà bulgara e metà italiana il nostro ammette che rifarebbe tutto “e lo dico con grande orgoglio”. D’altra parte fra la città e la famiglia Malinov il sodalizio è effettivo: “Mi dicevano che sono duro, un sergente, ma nello sport ci vuole disciplina e ora credo di essere diventato più bergamasco dei bergamaschi. Credo che Bergamo abbia fatto grandi cose, e io posso dire che ho vissuto e vivo una speciale alchimia con questa città”. Non solo, Malinov aggiunge: “Mi rendo conto che c’è tanta gente che si ricorda quello che abbiamo fatto. Mi fermano quando mi incontrano e vogliono ricordare vittoria per vittoria. È gente orgogliosa della propria città e di quello che ha fatto per la pallavolo italiana”.
Erano gli anni in cui dallo stadio si andava al palazzetto a sostenere le ragazze del Volley che vincevano. Le vere star erano loro, l’orgoglio di una piccola città che arriva in vetta all’Europa per la prima volta. “Quando una squadra vince, il palazzetto è sempre pieno, la gente chiede di emozionarsi con lo sport e se riesci a dar loro questa emozione l’ambiente in cui lavori tutti i giorni diventa qualcosa di speciale”. Anche da ex: “Ricordo una volta in cui sono tornato al palazzetto di Bergamo con una squadra diversa, eravamo gli avversari, ma sono entrato e sono stato ricoperto di applausi. Avevo le lacrime agli occhi. Se tu, la tua squadra e il tuo lavoro riescono a dare alla gente quelle emozioni, le persone non si dimenticano e il posto in cui le vivi diventa speciale”.