Sembra assurdo parlarne proprio ora, in tempi in cui tutto il circuito musicale e artistico soffre la più grave assenza dalle scene mai provata in tempi moderni, ma sembra ancora più incredibile ripensare a quella stagione, dai contorni totalmente sfumati, vedendo cosa è ora quel piazzale. Sembra di essere diventati grandi, sembra che il pallone che rotolava sul cemento, le serate con gli amici e la musica, abbiano lasciato posto solo alla praticità: un supermercato, un parcheggio ordinato, un silenzio accettabile rispetto al frastuono della festa. Il quartiere Celadina continua in equilibrio fra le sue bellezze e le storture, un po’ come quei figli costretti a crescere da soli, il Luna Park resiste ancora anche se più piccolo e decentrato, ma la Festa dell’Unità… quella non c’è più da una dozzina d’anni più o meno, anche se ricostruire le date precise è difficile anche per chi ci lavorava.
“Forse il 2008 è stato l’ultimo anno a Celadina ma era già la Festa del PD – ricorda Filippo Schwamenthal, in quegli anni segretario provinciale della sinistra giovanile – poi siamo andati a Seriate, nella zona industriale e infine in Malpensata credo, ma ormai economicamente era un disastro”. In effetti nel 2009 i Club Dogo annunciavano la Festa democratica di Seriate fra le tappe del loro tour e pian piano il ricordo di quella stagione torna ad offuscarsi e la Festa dell’Unità di Bergamo vive il declino di una tradizione simile a quello delle altre feste nel resto d’Italia.
Eppure quel decennio compreso fra il “prima” di una festa con i soliti nomi e il “dopo”, con uno spazio giovani sempre più grande e importante, resta indelebile nella mente di chi l’ha vissuto. Per averlo fatto occorre aver avuto fra i 18 e i 30 anni a cavallo degli anni Duemila. Non era necessario essere iscritto alla sinistra giovanile o al PDS (partito democratico della sinistra) per partecipare alle serate. Come ricorda Sergio Gandi, attuale vicesindaco di Bergamo: “Erano serate in cui chi arrivava aveva delle idee oppure no, veniva per iniziare la serata o finirla, raggiungeva la festa per gli amici, per la musica, per un senso di condivisione”.
Sergio Gandi apparteneva a quel gruppo di ventenni, la maggior parte dei quali universitari, che quella stagione l’hanno organizzata e gestita in prima persona. A osservare adesso con lo sguardo dei ricordi quel gruppo di una ventina di volontari, fa sorridere trovarci tra gli altri un senatore (Antonio Misiani), un ex ministro (Maurizio Martina), un consigliere comunale (Alberto Vergalli), direttori di enti (Filippo Caselli), e anche un medico (Carlo Quarenghi) e un creativo fra i più noti e ricercati del panorama musicale italiano (Paolo De Francesco), giusto per citarne alcuni.
Filippo Schwamenthal ha vissuto direttamente la trasformazione della Festa dell’Unità di Bergamo. A poco a poco nell’appuntamento estivo del partito, agli incontri e ai dibattiti, si sono aggiunte le voci della musica, di quei gruppi che erano riferimento non solo per chi militava nella sinistra giovanile, ma per una generazione intera che si riconosceva nella musica alternativa e in quelle band. La racconta così: “Tutto è cambiato quando un amico, Paolino, ha iniziato a lavorare con noi. Lui collaborava già con alcuni artisti e con lui abbiamo iniziato a ‘svecchiare’ la festa portando a Bergamo concerti di una certa caratura. Ricordo molto bene il primo anno: decidemmo di chiamare a suonare gli Africa Unite ed eravamo tutti incerti su come sarebbe andata a finire. Il rischio economico c’era, gli Africa avevano un cachet più alto rispetto alle piccole band che avevamo chiamato fino a quel momento. Tanti militanti ci dicevano che il nostro era uno sbaglio, un azzardo, se il pubblico non fosse arrivato sarebbe stato un disastro”.
Invece…
“Invece finimmo tutte le scorte di cibo e di bevande. C’erano migliaia di persone. Tra tutti i ristoranti quello del pesce è sempre stato quello più costoso e meno giovanile, eppure, anche quel ristorante, il meno tradizionale di tutti, quella sera fece un milione di lire di incasso in più rispetto all’anno precedente. Questo successo ci permise, l’anno successivo, di moltiplicare le serate con i gruppi che amavamo”.
Gli Africa Unite divennero degli habitué della festa, tornavano quasi ogni anno, intrecciando con i giovani organizzatori delle serate un rapporto di amicizia. “Me li ricordo bene, a me piacevano tantissimo gli Africa – racconta Sergio Gandi – ma mi ricordo anche di un pomeriggio assurdo e una partita di pallone con la Bandabardò che avrebbe suonato la sera stessa”.
A detta di tutti questi ragazzi del ’90, il vero responsabile della svolta è stato Paolo “Paolino” De Francesco, oggi apprezzato grafico proprio all’interno della scena musicale italiana, autore delle copertine dei dischi di Luciano Ligabue, Tiziano Ferro, Renato Zero, Samuele Bersani e tanti altri.
“Io all’epoca lavoravo al Triangolo a Ranzanico dove si facevano i concerti, perciò mi sono detto, perché non iniziare a farli anche alla Festa”. Qui entra in gioco un’altra figura fondamentale, un giovane promoter bergamasco, oggi addetto ai lavori fra i più affermati della scena musicale italiana come Claudio Ongaro, manager di Diodato per citare uno degli artisti che segue attualmente. “Claudio ci ha dato una grande mano perché lui lavorava già con i gruppi e sapeva consigliarci – spiega Paolo – Quello che per me è stato veramente il concerto della svolta fu il live dei Casino Royale. Erano appena usciti con un disco bellissimo, il concerto fu meraviglioso e mi ricordo che avevamo spostato le transenne in fondo alla piazza per far stare tutti”.
Africa Unite, Casino Royale, Bandabardò, e poi Mau Mau, Afterhours, Modena City Ramblers, Meganoidi, Punkreas, La Famiglia Rossi, e più tardi Marlene Kuntz, Verdena, Tre allegri ragazzi morti e Baustelle. La stagione della Festa dell’Unità contava sempre – ci sono le locandine a testimoniarlo – un cartellone di tutto rispetto.
“Ricordo soprattutto il bel clima, un gruppo veramente unito e lo si vede nel rispetto e nella simpatia che c’è ancora fra noi, anche se non ci vediamo da tempo. Mi ricordo le notti nella roulotte per controllare lo spazio, le discussioni con i ‘vecchi’ della festa, per ottenere determinati nomi e fare i concerti. È stata una stagione molto viva, durante la quale forse per primi abbiamo portato a Bergamo una serie di nomi nazionali. All’epoca le feste in giro per la provincia erano più piccole, ora invece sono loro, gli altri festival che resistono e portano avanti questa musica” conclude Paolo.
“Se ci ripenso era faticoso ma era anche una vera goduria, avevamo fatto un salto di qualità incredibile, avevamo alzato il livello e la gente arrivava” spiega Alberto Vergalli, che all’epoca aveva venticinque anni circa ed era nel gruppo che animava lo spazio giovanile della Festa: “C’era tanto fermento anche nel pomeriggio, facevamo il giornale, c’erano i writers, un anno abbiamo anche montato un canestro ed era partito un torneo di basket. Poi però c’erano anche i dibattiti e l’impegno, anche se la cosa che non mi scorderò mai erano i turni di notte per la sorveglianza, con le incursioni in cucina a cercare del pane e salame da mangiare a un orario improponibile”.
Sergio Gandi ricorda: “Lavoravamo tutti come una comunità vera, fianco a fianco, con un forte senso di fraternità e condivisione. Oggi i ruoli che hai devi tutelarli in qualche modo, mentre all’epoca facevamo semplicemente una cosa che ci piaceva e la stavamo facendo bene”.
“Eravamo felici perché eravamo riusciti a portare la nostra musica e ad avere un peso tale da influenzare alcune scelte della Festa – conclude Filippo Schwamenthal – i concerti erano tutti gratuiti e i giovani tornavano a vivere quelle occasioni di incontro e nonostante la fatica e le notti insonni quel periodo ha creato forti legami e una stagione indimenticabile”.