Tenere viva la memoria e l’eredità morale di Paolo Borsellino non deve diventare un esercizio di rappresentanza, un automatismo, una liturgia laica e stanca o peggio ancora una coccarda con cui all’occorrenza fregiarsi il petto o darsi un tono istituzionale. La memoria, come la tradizione, è un processo, qualcosa di vivo e che può continuare a vivere solo riflettendosi nel presente, attualizzando continuamente, a dispetto dei tempi che cambiano, i valori che intende celebrare. È questo il senso: continuare a mettere in relazione presente e passato.
Anche per questo serve ricordare come Paolo Borsellino e di più ancora Giovanni Falcone siano stati vittime del discredito, della squalifica di grande (troppa) parte delle istituzioni e della stampa del nostro paese, prima ancora che dello stragismo mafioso. Quasi incredibile a dirsi, oggi, in un tempo di sacralizzazione – il più delle volte del tutto opportunista – di quelli che (solo oggi, appunto) sono diventati incontestabilmente “eroi”.
Eppure entrambi, da vivi e operanti, hanno conosciuto l’isolamento, l’accusa di arrivismo e carrierismo, di protagonismo e opportunismo, di fare della lotta alla mafia uno strumento di affermazione personale. Qualcosa di cui si sente parlare molto meno, nella retorica fine a sé stessa che fa della memoria una scatola vuota. Curioso che ancora oggi chi parli approfonditamente di mafia – ma anche di neofascismo o neonazismo – e per questo ne abbia fatto un lavoro, si veda spesso ricoperto delle stesse accuse.
È forse anche nel segno di questa consapevolezza che in questi giorni, per il 32esimo anniversario dalla strage di via D’Amelio avvenuta il 19 luglio 1992, a Palermo è comparso il volto sorridente di Paolo Borsellino proiettato nel cortile Maqueda del Palazzo dei Normanni, sede della Regione Sicilia. Un’iniziativa di commemorazione organizzata dal presidente della commissione Antimafia, Antonello Cracolici, d’intesa con il presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana, Gaetano Galvagno, e in collaborazione con l’Associazione “La casa di Paolo”.
È un’installazione luminosa realizzata da un’azienda bergamasca, la Clay Paky, che ha creato un cosiddetto “gobos” (una specie di filtro di vetro) con l’immagine del volto sorridente di Borsellino, e ne ha fatto dono all’associazione che mantiene “viva” la casa natale di Borsellino, oggi un centro di socialità dedicato soprattutto ai giovani. Proprio quei giovani su cui tanto faceva affidamento il giudice, nel considerare la lotta alla mafia non tanto un’attività repressiva ma innanzitutto – come disse nel suo discorso al funerale di Giovanni Falcone – «un movimento morale e culturale che coinvolgesse tutti, specialmente le giovani generazioni». E non a caso raccolse un suo intervento in una scuola nel libro « Cosa Nostra spiegata ai ragazzi ».
Insomma, in questi giorni lo spazio pubblico palermitano è di nuovo travolto dal volto di Borsellino: il suo sorriso si riprende la città, l’attenzione della gente. È un appiglio utile anche a invitare chi non lo conoscesse (ancora molti) ad approfondire la sua vicenda: non quella di un eroe, ma di un uomo di grande determinazione e spessore civile e morale.
Proprio oggi, 19 luglio, quel volto darà luce – è proprio il caso di dirlo – a via D’Amelio, nel luogo in cui 32 anni fu brutalmente assassinato, insieme ai cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina. L’augurio è che, dopo tanto tempo, si riesca a gettare luce anche sulle zone d’ombra che ancora sopravvivono dentro questa tragica vicenda italiana. Per giungere, finalmente, a una verità.