93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

25 novembre, la dimensione subdola e quotidiana della violenza di genere invisibile

Articolo. La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne e di genere ci ricorda che la violenza non è circoscritta a gesti estremi, ma si annida e germina anche nelle parole, nei comportamenti e nelle dinamiche quotidiane. Per contrastarla, educazione nelle scuole e presa di responsabilità da parte degli uomini hanno un ruolo fondamentale.

Lettura 5 min.

La violenza di genere non è un fenomeno isolato né un insieme di episodi slegati, ma il risultato di un sistema culturale e sociale che discrimina, marginalizza e reprime non solo le donne, ma tutte le persone appartenenti a minoranze. Si tratta di un fenomeno sistemico perché affonda le sue radici in diverse strutture sociali, culturali ed economiche che perpetuano disuguaglianze e oppressioni: dalla violenza domestica agli abusi sessuali, dal controllo economico alle molestie sul lavoro e negli spazi pubblici.

Quando si parla di violenza di genere, spesso l’immaginario collettivo si sofferma sulle forme più evidenti, come abusi fisici o violenze sessuali. Tuttavia, esiste anche una dimensione subdola e radicata nella quotidianità, fatta di gesti, parole e atteggiamenti che contribuiscono a perpetuare la discriminazione e la subordinazione. Questi comportamenti, seppur sminuiti perché considerati “minori”, hanno un impatto profondo sulle dinamiche di potere e sulla percezione di sé di chi subisce.

La violenza invisibile: alcuni comportamenti che alimentano la discriminazione di genere

Spesso percepiti come ordinari o non gravi, sono parte di una cultura che normalizza la violenza di genere, individuarli e denunciarli è il primo passo per decostruire un sistema che alimenta le disuguaglianze. Cambiare significa non solo riconoscerne l’impatto, ma anche educare le nuove generazioni a rispettare i confini, il consenso e l’equità.

La maggior parte delle donne ha subito catcalling . Fischi, commenti espliciti o sguardi insistenti rivolti a donne che semplicemente esistono non sono complimenti, ma gesti di dominio. Sono atteggiamenti che dimostrano come lo spazio pubblico non sia neutro, ma condizionato dalla presenza maschile e possono trasformare il quotidiano in un terreno di disagio e insicurezza, fino a spingere a modificare percorsi o abbigliamento per evitare commenti. «Non ho mai detto questo. Te lo sei inventato», ma anche «Ma sei seria? Nessuno ti tratta male, smettila di drammatizzare» sono forme di gaslighting. Si tratta di manipolazione psicologica subdola e spesso difficile da riconoscere in cui la vittima viene portata a dubitare della propria percezione, memoria o sanità mentale. Spesso presente nelle relazioni personali, questa dinamica si manifesta anche nei contesti lavorativi o sociali. È un modo sottile e devastante per mantenere il controllo, riducendo la capacità di difendersi o reagire.

Foto 2

«Te lo spiego io». A quante sul lavoro è capitato di trovarsi di fronte a un uomo, magari anche meno preparato, che spiega come si fa? Il mansplaining, ovvero l’atto di spiegare qualcosa in modo paternalistico, è un altro comportamento radicato nella cultura patriarcale. In questo caso gli uomini danno per scontato che le donne nello stesso campo abbiano meno conoscenze o competenze, indipendentemente dal loro livello di esperienza o conoscenza. Anche esprimere giudizi sul corpo di una donna, che sia per il peso, l’altezza, l’abbigliamento o qualsiasi altro aspetto fisico, è una forma di controllo che si esercita attraverso la vergogna. Così il body-shaming non è solo un attacco personale, ma un riflesso di standard estetici che colpisce l’autostima e limitando la libertà.

Il sessismo si nasconde anche dietro parole apparentemente innocue o atteggiamenti che sembrano benigni. Frasi come «Sei troppo emotiva» o «Non è un lavoro adatto alle donne» sono esempi di misoginia velata, alimentano la narrazione secondo cui le donne sarebbero meno razionali o meno indicate per a certi ruoli, legittimando la discriminazione. Anche toccare una persona senza il suo consenso è una forma di molestia, pur non essendoci un’aggressione fisica considerata evidente, sono gesti che violano i confini personali e il diritto all’autodeterminazione. Ci sono poi comportamenti tossici basati sul potere all’interno delle relazioni sentimentali, di controllo economico o personale, altri strettamente legati all’ambiente di lavoro. Tutti questi comportamenti, spesso minimizzati o giustificati, trasmettono un messaggio chiaro: limitare azione e autodeterminazione femminile.

Un Cambiamento Necessario

Secondo l’«Organizzazione Mondiale della Sanità», una donna su tre nel mondo ha subito, almeno una volta nella vita, una forma di violenza fisica o sessuale. Questi numeri sono l’apice di una realtà più ampia, in cui la violenza non è un atto isolato. Riconoscere la natura sistemica della violenza di genere significa comprendere che non si tratta solo di atti individuali, ma di un problema radicato in un sistema complesso che coinvolge cultura, istituzioni, economia e relazioni sociali. Affrontarlo richiede un cambiamento profondo e collettivo, in grado di trasformare le fondamenta stesse della società.

Il patriarcato (sociologia) è un sistema di potere che pone l’uomo in una posizione di potere e privilegio, negarne l’esistenza non solo non aiuta, ma mette tutte in pericolo. Le norme sociali e gli stereotipi di genere giocano un ruolo cruciale giustificando la subordinazione delle donne e normalizzando comportamenti violenti, visti spesso come manifestazioni accettabili di potere maschile. Ma non sono solo le donne a subire: persone appartenenti a minoranze etniche, o appartenenti alla comunità LGBTQIA+, migranti o disabili subiscono forme di violenza multiple e sovrapposte. Il fenomeno, definito intersezionalità, evidenzia come il problema sia intrecciato con altre strutture di oppressione, come razzismo, abilismo e omofobia.

FOTO 3

Nel 2024 in Italia, fino ad oggi, si sono registrati 96 femminicidi. Tra queste, 82 sono state uccise da qualcuno che conoscevano bene, familiari, partner, o ex. I numeri spaventosi dovrebbero essere sufficienti a spingere ad una presa di responsabilità collettiva, ma perché non accade? La violenza di genere si nutre di una matrice culturale profonda, che comprende stereotipi, pregiudizi e una rappresentazione distorta dei ruoli di genere giustificata da un sistema che perpetua e normalizza la discriminazione attraverso il linguaggio, i media, le leggi e i comportamenti sociali.

I dati

In Italia, le statistiche confermano quanto ogni anno migliaia di donne denuncino episodi di violenza, ma molte altre rimangono in silenzio, fermate dalla paura delle conseguenze, dallo stigma o dalla mancanza di supporto. Questo silenzio è il risultato di una struttura sociale che, anziché proteggere le vittime, le colpevolizza, rafforzando un ciclo di oppressione e invisibilità.

Il 4 settembre 2024 l’Istat ha pubblicato i dati sulla violenza del I e II trimestre 2024. Quello che ne emerge è che, in continuità con il 2023 e in aumento rispetto ai due trimestri di riferimento, per circa la metà delle vittime il tipo di violenza subita è quella fisica (39,8% nel primo trimestre e 42,9% nel secondo), seguita da quella psicologica (37,9% e 36,7%). Osservando il totale delle violenze subite, oltre alle violenze fisiche e psicologiche, le forme più diffuse sono le minacce e gli atti persecutori. In merito poi al luogo dove avviene la violenza, le mura domestiche restano la costante nei due trimestri del 2024 per un’alta percentuale di vittime (74,3%).

Educare per prevenire

L’educazione è uno strumento fondamentale per contrastare la violenza e modificare i comportamenti che la perpetuano. Attraverso percorsi scolastici e dialogo costante, è possibile insegnare a riconoscere le molteplici forme, anche quelle meno evidenti e psicologiche.

Insegnare il rispetto e il consenso già a partire dalla scuola primaria: bambine e bambini devono comprendere che ogni individuo ha il diritto di stabilire i propri confini personali e che violarli, con parole o gesti, rappresenta una forma di abuso. Il lavoro sulla decostruzione degli stereotipi di genere, per riconoscere visioni e atteggiamenti tossici attraverso letture, discussioni e attività creative, serve a favorire una visione inclusiva e equa.

FOTO 4

È essenziale iniziare dalle scuole a promuovere una maggiore consapevolezza emotiva, aiutando le nuove generazioni a gestire le proprie emozioni in modo sano, imparando a comunicare in maniera rispettosa e a risolvere i conflitti sviluppando empatia. Ma l’educazione non deve limitarsi al contesto scolastico, semmai da lì partire per coinvolgere famiglie, luoghi di lavoro, media e istituzioni come strumento di cambiamento culturale capace di trasformare mentalità radicate e di costruire una comunità che non tolleri più alcuna forma di violenza, esplicita o subdola.

manifestazione a Bergamo il 25 novembre

La «Rete bergamasca contro la violenza di genere», nata per contrastare femminicidi e violenza di genere, invita persone, associazioni, gruppi, collettivi, istituzioni di qualsiasi natura, pubbliche e private, che condividono questa necessità, ad unirsi alla manifestazione che si svolgerà lunedì 25 novembre, a Bergamo, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne e di genere. Il corteo partirà alle 18 da piazzale Marconi, per poi snodarsi tra le vie della città fino all’arrivo in piazza Pontida. La Rete invita a sottoscrivere l’appello che ha già raccolto diverse centinaia di firme tra istituzioni, realtà e soggetti singoli.

Approfondimenti