Scrive Cesare Pavese in una celebre citazione da “La luna e i falò” (1950): “Un paese ci vuole. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei, resta ad aspettarti”. Una frase che allude all’identità, alle radici, al nostro essere nel mondo. E anche una bella definizione di cosa può essere una comunità, là dove la comunità è appunto un paese, un luogo dove stare e dove tornare.
A cosa servano le comunità è presto detto: a costruire il bene comune. Sono una rete di azioni, di pensieri e di visioni che concorrono al benessere (fisico, psicologico, spirituale) di tutti. Di chi “c’era già” e di chi è arrivato. Per questo una comunità è cangiante, non è mai fissa: va avanti insieme e insieme affronta i problemi, anche i più drammatici. Se le persone si chiudono in casa, se i paesi diventano solo un dormitorio, se l’individualismo prevale allora la comunità si sbriciola. È quel movimento silenziosamente tellurico a cui abbiamo assistito negli ultimi decenni. In cui le comunità sono state messe a dura prova dalle vite sempre troppo di fretta delle persone, dall’indifferenza, dall’astio, dalla mancanza di un’idea buona dell’Altro, chiunque egli sia.
Eppure le comunità esistono ancora, grazie al vitalismo di tante persone in ogni paese. Il comune, le associazioni, la storia e la bellezza, l’identità vissuta con orgoglio senza che ciò coincida con la chiusura: tutto questo fa comunità e costruisce il bene comune. Se perdiamo questa idea, magari vittime di un’omologazione culturale sempre più pressante, perdiamo noi stessi come animali sociali. Non siamo automi individuali, siamo parte di un qualcosa che, alla base di tutto, ci fa uomini.
Per questo un’iniziativa come L’Eco cafè è utile. Perché racconta le comunità, la cultura, lo sport, la solidarietà e tutto quello che trasforma un paese in una comunità. Quest’anno L’Eco cafè, fra necessità di distanziamento e divieti di assembramento, è tornato sul territorio bergamasco in una versione differente, più improntata ai social e attenta alla sicurezza di tutti. In giornate dove le persone si ritrovano, si guardano negli occhi e magari, senza neanche volerlo, fanno comunità.
Lo sappiamo tutti che i mesi scorsi per il territorio bergamasco sono stati difficili: oltre alle tante persone che la pandemia ha colpito, oltre ai danni all’economia, il codiv-19 è andato a colpire le comunità. Accelerando quel processo di disgregazione delle reti sociali laddove la comunità non era sufficientemente strutturata.
Non è il caso di Scanzorosciate, paese visitato da L’Eco cafè domenica scorsa. Una realtà frizzante, ricca di iniziative legate al territorio e alle sue potenzialità – il Moscato ad esempio, che non è solo un vino, ma un simbolo in cui riconoscersi e di cui essere fieri. Così accade in tanti paesi della provincia di Bergamo, dove l’etica del lavoro tipicamente bergamasca mantiene una tensione costruttiva anche nel modo di vivere il territorio, creare occasioni e mettere a frutto le possibilità. Sono tante le testimonianze di solidarietà raccolte dal nostro giornale nei mesi più difficili del contagio.
Se è vero che il covid ha duramente colpito le nostre zone, è altrettanto vero che tanti paesi non erano del tutto impreparati e, per quanto possibile, hanno reagito. A riemergere sono stati i valori di solidarietà ed aiuto reciproco che, partendo dal basso, sono tornati al centro del discorso politico. In una parola, la comunità. Che anche grazie a L’Eco cafè si ritrova, in un piccolo gesto di rinascita.