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A «Palosco e… ghera öna olta» con gli zoccoli della nonna e la bici del marengù

Articolo. La prima edizione della manifestazione ha immerso il paese in un tempo in cui si lavorava nei campi fin da bambini, si stava nel cortile a giocare e davanti al focolare per fare il pane. Un’occasione per riscoprire la cultura contadina bergamasca e lo stile di vita dei nostri nonni, con lo sguardo rivolto alla sostenibilità

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«Una volta era proprio così!» è stato il commento più diffuso a «Palosco e… ghera öna olta », l’iniziativa che domenica 6 ottobre ha avuto per molti visitatori il sapore dell’infanzia. Tradizioni e mestieri della vita contadina hanno preso vita nelle piazze e per le vie di Palosco per far rivivere ai più anziani i loro ricordi e trasmettere ai più giovani come vivevano. «Quando si dice “la terra l’è baha” - ha spiegato il sindaco di Palosco Mario Mazza - è perché davvero la gente si abbassava per lavorarla a mano. Era una vita molto dura quella della mezzadria. Il benessere di oggi deriva anche dal lavoro dei nostri nonni e bisnonni».

A convincere delle fatiche che si consumavano nelle campagne sono stati i vecchi strumenti per lavorare la terra, esposti in piazza. A spiegarli c’era Sandro, in sella a un trattore da quando aveva 6 anni: «Quello, in italiano, sarebbe “il rullo”, ma in bergamasco è “il borlot”, quella invece è la “pulidura”, cioè la pulitrice della semente», ha raccontato indicando gli attrezzi a lui famigliari. Ogni citazione è stata declinata nella “lingua ufficiale” che si utilizzava in campagna, l’unica in grado di dare veramente il nome a cose come la sgranadura o il granahi, ovvero il dialetto. Sandro era circondato da altri uomini che, come lui, hanno vissuto l’infanzia in mezzo al fieno delle cascine: «Quando ero piccolo – ha esordito uno di loro – andavo con i miei fratelli a piantare il granoturco, poi si dava la “zapadura”, si toglieva l’erba con lo “scarpì” e si facevano dei solchi nella terra. A seguire si portava a casa il raccolto e veniva il momento di “scarfogliare” la pannocchia, anche con le “gratarole”, la si faceva seccare nell’aia e dopo si metteva nei sacchi e si vendeva».

Vecchia quotidianità per qualcuno, nuova scoperta per qualcun altro: macinare i chicchi di mais e tagliare la legna è diventato un gioco mai visto per i bimbi di domenica a Palosco, meravigliati da quegli strumenti così grandi. Lo stupore dei più piccoli ha contraddistinto anche la visita alla vecchia aula scolastica, allestita con gli oggetti utilizzati negli anni Trenta, nella sala consiliare presso il centro civico di Palosco. «Che scarpe strane!», il commento di un bimbo alla vista degli zoccoli. Erano i tipici calzari di sua nonna. «Mi ricordo che era proprio così!», le parole di una signora mentre guardava i banchi in legno con le cartelle in pelle appese. «Guarda, quella era la bacchetta del maestro!», il sussulto di un nonno al nipote. Le sorprese per i più piccoli però non sono finite nella ex scuola: tanti infatti i laboratori allestiti per loro, come quello sulla bachicoltura o sulla creazione delle bambole di lana.

Camminando tra le vie del paese, si sono potute vedere anche le bici utilizzate tra il 1800 e il 1900 dagli artigiani e dagli ambulanti che si spostavano di cascina in cascina portando con sé le loro mercanzie e gli utensili del mestiere. C’erano gli scalpelli, le lime per il legno e la còla gereèla (la colla di pesce) sulla bici del falegname, il marengù in bergamasco, e le stoviglie, il sapone, le mollette su quella dello straccivendolo, una figura attiva fino agli inizi degli anni ’60 e a cui si dava ciò che doveva essere eliminato in cambio di pochi centesimi. Tanti altri erano i mestieri in bicicletta parcheggiati lungo la stradina, come quello dell’impagliatore, del pollivendolo, dell’elettricista, detto eletricista o dello zolfataro.

Ma la realizzazione più riuscita della giornata è stata «La vecchia fattoria», ovvero la ricostruzione di una corte contadina sopra quattro carri, per un totale di 60 metri di lunghezza. «Le cascine erano delle piccole comunità – spiega il segretario dell’Associazione Roberto Festa, descrivendo gli spazi ricreati fedelmente con materiale di recupero - c’erano una chiesetta, il cortile con gli animali, un fuoco dove si cuocevano le ribollite. Poi la stalla davanti alla quale c’era sempre un piccolo porticato dove le persone si ritrovavano per stare insieme o giocare a carte. Nella cucina invece le donne “sgarzavano” e rammendavano per esempio le calze, con il focolare acceso per il pane, la cui farina veniva dal granoturco raccolto, seccato, sgranato e macinato nel mulino. Questa era la vita rurale di circa 60 anni fa. Noi portiamo in giro quella che era la tradizione contadina. Io ho vissuto quell’infanzia», conclude. Come lui, tanti figuranti presenti hanno rivissuto i tempi in cui erano piccoli: «Io sono nato in cascina – ha ricordato un altro – e ne sono orgoglioso perché i veri valori della vita vengono dalla terra».

Una terra dunque che ha dato tanto agli abitanti della zona e che quindi va preservata ancora oggi. Per questo, domenica in piazza c’era anche la cooperativa sociale Ecosviluppo, partner della tappa di Palosco de L’Eco café. «Siamo una cooperativa sociale che si occupa principalmente di inserimenti lavorativi – spiega il direttore generale, Pietro Riganti il nostro scopo è utilizzare il lavoro per promuovere i nostri valori: sostenibilità e inclusione». Una sostenibilità dunque che sia non solo ambientale ma anche sociale: «Diamo possibilità di lavoro e seconda chance a persone fragili che hanno avuto percorsi di vita particolarmente impegnativi, legati a storie di tossicodipendenza, di detenzione o di problemi a livello psichiatrico – ha proseguito Marco Serantoni dell’Area inserimenti lavorativi –. Cerchiamo di inserirli nel mondo del lavoro e dagli una mano anche nella loro vita e sfera personale e sociale».

Per conoscere i valori dell’ecologia, «che non è fare solo la raccolta differenziata» ha specificato Marco, Ecosviluppo ha predisposto per i più piccoli il gioco «PowerShift»: una sorta di “labirinto” tutto da creare. «Per noi la sostenibilità vuol dire fare un lavoro di squadra sapendo che ognuno ha il potenziale per fare la propria parte – racconta Marta Brighenti, educatrice, per spiegare il gioco – “PowerShift” si basa sull’idea che ogni azione conta sia per il singolo sia perché è in una collettività e un insieme che lo rende forte». «Ognuno di noi costruisce il proprio percorso verso la sostenibilità- aggiunge Nicole Personeni (Area ESG), indicando le tessere che ogni bimbo poteva disporre per creare la propria “strada” verso la tappa finale - è un percorso individuale, fatto di scelte e di svolte. Alla fine si arriva a un tesoro che rappresenta l’ingrediente magico: ognuno di noi può fare davvero la differenza. Tanti percorsi singoli vanno a creare un impatto comune che dà l’effetto finale».

Tradizione e sostenibilità: a «Palosco e… ghera öna olta» si sono visti sia le radici che i frutti del passato.

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