La rassegna «Altri Percorsi» della Fondazione Teatro Donizetti prosegue giovedì 16 febbraio alle ore 20.30 – eccezionalmente al Teatro Donizetti, anziché come di consueto al Sociale – con uno spettacolo che presenta i testi dell’ultimo canto della «Divina Commedia» in un inedito connubio con l’arte del suono e della visione: «Paradiso XXXIII» . Ne sono autori e protagonisti l’attore e regista Elio Germano e il musicista e compositore Teho Teardo, con la regia di Simone Ferrari e di Lulu Helbaek.
«A l’alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e ‘l velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa,
l’amor che move il sole e l’altre stelle».
Dante Alighieri (Paradiso XXXIII, 142 -145)
«Paradiso XXXIII» viene descritto come uno spettacolo divulgativo senza che niente sia spiegato. Dante Alighieri, nel canto conclusivo dell’opera, si trova nell’impaccio dell’essere umano che prova a descrivere l’immenso, l’indicibile, nel tentativo di raccontare l’irraccontabile. Questo scarto rispetto alla “somma meraviglia” viene messo in scena creando un’esperienza unica, quasi fisica per lo spettatore al cospetto dell’immensità. Elio Germano e Teho Teardo sono voce e musica per dire la bellezza e avvicinarsi al mistero, l’immenso, l’indicibile ricercato da Dante nei suoi versi.
Teho Teardo, compositore, musicista e sound designer, nonché uno dei più originali ed eclettici artisti nel panorama musicale europeo racconta così il suo lavoro: «La creazione di colonne sonore e la composizione per il teatro sono ogni volta un’esperienza diversa, non esiste un processo comune. La cosa interessante è ritrovare sé stessi nella diversità: dare sempre una propria lettura alla storia, rispettandone la narrazione».
Dal suono avvincente ed “eterno” dei versi danteschi germoglia la musica inaudita e imprevedibile del compositore d’avanguardia: «Dante lo si può guardare anche dalla nostra epoca, anche semplicemente per tutte le opere che la “Divina Commedia” ha lasciato nel mondo – spiega il compositore – Basti pensare a quanti dipinti, racconti, brani musicali rappresentano i versi di Dante Alighieri: abbiamo un bagaglio, un archivio emozionale di settecento anni dal quale attingere oggi. Perciò, quando si vuole parlare di “Divina Commedia” non si guarda soltanto al suo autore, ma anche a tutto quel lascito storico che abbiamo a disposizione».
Nello spettacolo in scena al Teatro Donizetti, insieme alla musica nasce la regia visionaria e impalpabile di Simone Ferrari e Lulu Helbaek, poeti dello sguardo, capaci di muoversi tra cerimonie olimpiche, teatro e show. Grazie alla loro esperienza crossmediale, accade qualcosa di magico e meraviglioso, di inspiegabile, trascendendo qualsiasi concetto di teatro, concerto o rappresentazione dantesca, attraverso una contaminazione di linguaggi tecnologici e teatrali.
Esploratore sonoro curioso e sempre attento agli stimoli che vengono da altre forme artistiche, Teho Teardo nella sua carriera si è dedicato all’attività concertistica e discografica pubblicando album che indagano il rapporto tra musica elettronica e strumenti tradizionali. Quella con Elio Germano è un’intesa professionale ormai consolidata: «Tra di noi c’è alla base una forte sintonia umana e artistica. Mi ritengo molto fortunato ad aver incontrato un attore capace di uscire dalla propria zona di sicurezza per entrare in quella della musica. Grazie a questo, Elio permette lo scambio. Permette a me di entrare nel suo universo, creando una sorta di apertura che porta entrambi ad evadere dalle nostre comfort zone».
Nel trentatreesimo canto ci troviamo di fronte al «Mistero», probabilmente nel più ardito tentativo compiuto dall’immaginazione poetica. Ma è proprio in questo «Mistero» che accade la meraviglia e i versi emergono in un quadro comprensibile a tutti. L’ultimo del Paradiso è un Canto di costruzione perfetto nel suo insieme e in ciascun particolare: gli elementi narrativi ed esplicativi sono completamente assorbiti in un impeto d’inno, sicuro e continuo pur nella varietà dei toni. Un inno che non finisce col finire dell’iniziale preghiera alla Vergine, ma si divide in due parti: nella prima San Bernardo si rivolge a Maria perché interceda presso Dio e consenta a Dante la visione finale della Sua essenza; nella seconda si sviluppa la descrizione della Visione stessa, che si conclude con la “folgorazione” mistica che permette a Dante l’appagamento di tutti i suoi desideri.
Nell’introdurre lo spettacolo, l’attore Elio Germano specifica: «La materia è arricchita con aspetti visivi e sonori che non sono solo la parafrasi del testo, ma accentuano i contenuti in modo appariscente, condivisibile e circolare. Vogliamo tentare un “dispiegamento”, cioè provare a eliminare quelle pieghe che ci rendono difficile entrare fino in fondo nel Canto. Il XXXIII Canto del “Paradiso” rappresenta un viaggio in sé stessi, è simbolico dell’esistenza, racconta l’arte in generale e i suoi limiti». Il compositore Teardo aggiunge: «Non vogliamo spiegare nulla: se non ha saputo farlo Dante per primo, esposto alla divinità, perché dovremmo farlo noi? Come spiega Germano, quello che vorremmo fare è consentire diverse vie d’accesso».
Teardo vanta importanti collaborazioni internazionali e negli ultimi vent’anni ha composto numerose colonne sonore per registi come Sorrentino, Vicari, Salvatores e molti altri, aggiudicandosi anche un «David di Donatello», il «Ciak d’Oro» e il «Premio Ennio Morricone». In «Paradiso XXXIII» il lavoro del compositore si esprime in una drammaturgia sonora che comprende tutto, non soltanto la musica. All’interno di quel suono succedono cose che si sviluppano, come la voce e il testo con il significato.
Una drammaturgia sonora è un tavolo pieno di strumenti diversi che formano una mappa in comunicazione con gli altri linguaggi presenti nello spettacolo, dalla parola alle tecnologie audiovisive: «Non si tratta di narrazioni che si legano tra loro, ma di una nascita comune – Spiega il musicista – È un processo di mutua germinazione in cui una cosa innesca l’altra, una sorta di staffetta: il suono porta il pensiero in un punto e le immagini lo vanno a raccogliere e lo restituiscono con le parole. Al contrario, la giustapposizione di immagini e musica farebbe più pensare a un lavoro di sonorizzazione, che non ha niente a che vedere con questo progetto. Qui, noi eravamo davanti a un testo che ha inventato un linguaggio e in alcun modo ci saremmo permessi di “appiccicargliene” sopra un altro».