«Quando sono diventato padre, ho capito che i genitori hanno due compiti fondamentali. Il primo è quello di difendere il proprio figlio dalla malvagità del mondo. Il secondo è quello di aiutarlo a riconoscere». Ricordo che quando vidi «La mafia uccide solo d’estate», il film diretto e interpretato da Pif, piansi a lungo. Ero alle medie, e i miei compagni mi presero un po’ in giro. C’è una scena in particolare che mi commosse. Quella in cui al figlio (che da neonato vediamo diventare grande un frame dopo l’altro) il protagonista parla di Boris Giuliano, Mario Francese, Rocco Chinnici, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino. Gli mostra i monumenti alle vittime della mafia. Non sappiamo quanto quelle parole incideranno nella vita del bambino. Di certo, nella me spettatrice fecero effetto.
Faccio una premessa. Non ero ancora nata il 19 luglio 1992 quando, a 57 giorni dalla strage di Capaci, un’esplosione uccise in Via D’Amelio Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta. Ho conosciuto Borsellino e chi con lui si oppose a Cosa Nostra fino al sacrificio della vita, dai libri, dai film, e dalle parole di chi ha vissuto quegli anni. Le parole di Giovanni Soldani, per esempio, che nel 1992 aveva ventisei anni.
Autore, autore e regista bergamasco, Soldani ha dedicato a Paolo Borsellino un intero spettacolo. «Sono Stato», produzione di Teatro Minimo diretta da Umberto Zanoletti, ha già fatto tappa in diversi luoghi della bergamasca. Arriverà a « Lazzaretto Estate 2022 » martedì 19 luglio alle 21.30. Lo spettacolo sarà a ingresso gratuito fino a esaurimento posti, dono del Comune di Bergamo alla comunità nel trentesimo anniversario della morte del magistrato.
MM: Parto da lei. So che non è solo attore ed autore, ma anche padre e insegnante di religione. Chi è Giovanni Soldani e come le sue esperienze di vita sono confluite in «Sono Stato»?
GS: In tutti i miei spettacoli, la mia storia e la mia vita si fanno presenti. L’essere insegnante, educatore, attore, autore, padre… tutto questo si concentra sempre nella scrittura. In «Sono Stato», forse ancora di più. Si tratta di un monologo in cui interpreto tre personaggi diversi. I primi due sono Paolo Borsellino e un nipote di Borsellino, che sta pensando al nonno come se fosse ancora presente, come se avesse ottantadue anni e fosse nella stanza accanto. Questo tema nasce dal fatto che per me la generosità e l’amore non muoiono mai, e volevo dare una forma concreta a questa prospettiva temporale. Poi ci sono io, nella mia estate del 1992. All’epoca, prestavo servizio al Cottolengo di Torino e il volontario che condivideva con me la stanza era un ragazzo di Palermo. È stato lui a dirmi che Paolo Borsellino era morto – mi viene ancora la pelle d’oca.
MM: È stato difficile calarsi nei panni di Paolo Borsellino?
GS: Ci è voluto tanto tempo, che mi sono preso per studiare, leggere, conoscerlo, “stare” con lui. Il lavoro di ricerca delle notizie e di scrittura mi ha accompagnato per circa cinque anni, anche perché la cosa più importante per me è stata quella di incrociare più fonti possibili, in modo che tutto ciò che consegnerò durante lo spettacolo, ogni passaggio, sia verificato da almeno tre o quattro fonti.
MM: Cosa ha scoperto “frequentando” Borsellino?
GS: La dimensione umana. Per me, Borsellino raffigura in modo chiaro, puntuale, cosa significhi «essere Stato», cioè mettere in gioco la propria esistenza anteponendo gli altri a sé stesso. Poi io le parlo dal punto di vista di una persona nata nel 1966. Le figure di Falcone e Borsellino hanno accompagnato la mia adolescenza e la mia giovinezza. Seguivo le cronache dei telegiornali o le interviste… e ringrazio il cielo di avere avuto loro come testimoni. Delle persone che hanno segnato la mia esistenza con il loro esempio, passando addirittura attraverso il sacrificio estremo.
MM: Borsellino era perfettamente consapevole di essere «un cadavere che cammina». La perfetta coscienza e la lucidità che, dopo Falcone, sarebbe toccato a lui, e l’andare avanti nonostante tutto è qualcosa di pazzesco.
GS: Sì, Borsellino diceva che Falcone era la sua assicurazione sulla vita. Dopo la morte di Falcone, la domanda non è stata più se sarebbe successo a lui, ma quando sarebbe successo. Se penso che cinque giorni prima della sua morte, Borsellino aveva saputo che era arrivato il tritolo per lui e io personalmente sarei scappato mentre lui non lo fece, chiamò un amico sacerdote per confessarsi lì nel suo ufficio… rimango senza parole.
MM: Per Borsellino, la lotta contro alla mafia non doveva essere soltanto un’opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, che coinvolgesse tutti, specialmente le nuove generazioni.
GS: Esatto. Rispetto a questo, appena aveva un momento libero Borsellino andava in una scuola a parlare. La mattina del 19 luglio, lui che era solito svegliarsi alle 5 per «fregare il mondo con due ore di anticipo» scrisse una lettera a dei ragazzi di un liceo di Padova, che poi divenne una sorta di testamento spirituale. Dice che è una sua impressione che le nuove generazioni siano più attente a questo tema e li stimola ad esserlo. Mi piace pensare che questa pagina sia una sorta di testamento che lui ha lasciato e tra l’altro con quella pagina andrò a concludere lo spettacolo «Sono Stato».
MM: Lo spettacolo si terrà il 19 luglio, a trent’anni esatti dalla strage. Mi sono sempre chiesta il motivo di giornate della memoria come queste, e mi sono sempre detta che ricordare non serve a nulla se poi non cambia qualcosa oggi. Penso che la memoria non debba andare solo all’indietro, ma anche in avanti…
GS: Ha colto esattamente quello che per me è uno dei fili rossi dello spettacolo e che mi farebbe piacere passasse. Cioè che questo «Sono Stato» è un gioco di parole: non è il verbo essere declinato al passato prossimo, ma un presente assoluto. Io sono «uomo di Stato».
MM: Ecco, Borsellino e Falcone sono sempre stati leali allo Stato e alle sue istituzioni, ma dallo Stato sono stati spesso traditi o abbandonati. Penso alla delusione vissuta da Falcone nel 1988, quando il Consiglio Superiore della Magistratura gli preferì Antonio Meli alla guida dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo. Una nomina che Borsellino definì « l’inizio della morte professionale » dell’amico.
GS: È verissimo. L’amico Falcone in più di un’occasione aveva subito delle bocciature che di riflesso Borsellino avvertiva tutte. Ma questo me li rende ancora più forti, più testimoni. Insomma, hanno messo in conto anche questo, ma non hanno comunque mollato. Così come probabilmente saremmo scappati alla notizia che era arrivato il tritolo, probabilmente avremmo ceduto di fronte a tutte queste bocciature. E invece no, come se ci fosse appunto un valore più alto da custodire: il servizio alle persone – probabilmente anche più fragili.
MM: Anche il rapporto tra Stato e mafia è tutt’ora molto discusso.
GS: Assolutamente. Sono notizie freschissime, rispetto alla prescrizione di alcuni poliziotti che hanno depistato la fase iniziale dell’attentato… Se ne parla sempre, poi naturalmente quando arrivano determinate date se ne parla ancora di più. Sono tutti passaggi molto chiari che non ho voluto eludere nello spettacolo. Ho voluto dare a «Sono Stato», però, un taglio maggiormente prospettico, di stimolo, che raccontasse la dimensione umana di Borsellino, più che quella politica. La proposta che faccio non va a fare un “frontale” con questi temi, ma li raccoglie, li consegna in modo un po’ più lieve – e questa leggerezza emerge soprattutto nei momenti in cui parla Paolo Borsellino, come se Borsellino stesso fosse in una condizione per la quale lui può già adesso leggere e guardare gli eventi da un altro punto di vista.
MM: Questa leggerezza rende Borsellino più accessibile anche ai più giovani?
GS: Esatto. Ho portato spesso lo spettacolo nelle scuole. Superiori, ma anche scuole medie. La bellezza del potersi esibire di fronte ai ragazzi è che prima hai lo spettacolo, poi la possibilità dell’incontro, e allora a quel punto puoi anche allargarti… però intanto inizi a consegnare quello, e a quel livello ci arrivano tutti. E sono contento perché mi fa davvero piacere poter consegnare Paolo Borsellino. Per me, ripeto, è stato un esempio e credo che valga ancora oggi, e possa valere ancora oggi per tanti. Avverto che vale, che sia da sprone per le piccole e grandi battaglie che quotidianamente siamo chiamati a vivere. È come se in piccolissimo cercassi di consegnare il tanto che un uomo come lui mi ha dato, attraverso quella che è la mia arte.
MM: Non è la prima volta che «Sono Stato» viene messo in scena. La pièce è sempre uguale oppure cambia qualcosa?
GS: Lo spettacolo ha avuto la sua prima l’estate scorsa ed è stato replicato più di una ventina di volte. La struttura, piccole variazioni a parte, rimane quella. Le emozioni che vivo e che consegno probabilmente variano. Ci sono momenti di ironia, anche leggeri – perché Paolo Borsellino era veramente un simpaticone in compagnia – e momenti di grossa emozione. C’è tutto un passaggio molto particolare legato ad Emanuela Loi, la donna che a 24 anni – la stessa età di Lucia, la figlia primogenita di Borsellino – chiese di poter entrare nella scorta del magistrato dopo la strage di Capaci. E morì insieme a lui nell’attentato di Via D’Amelio. Lì le emozioni si triplicano, diciamo così… Sono molto curioso di capire quali saranno le mie emozioni martedì 19 luglio!