Il dilemma più antico del mondo, ovvero lo spazio tra il Bene e il Male, tra ciò che è giusto e ciò che è violenza: questo racconterà Sandro Lombardi attraverso il testo di Luca Doninelli in un appuntamento speciale di deSidera Teatro Festival, venerdì 17 settembre alla Basilica di Sant’Alessandro in colonna.
Ne “Il mormorio del vento”, questo il titolo dello spettacolo, Doninelli ha scelto Elia, figura dalla storia poco narrata nei libri sacri. Secondo le Scritture egli apparve con Mosè durante la trasfigurazione di Gesù, il primo a rappresentare i profeti e l’altro a rappresentare la continuità di Cristo con la legge. L’episodio più conosciuto della storia profetica di Elia si svolge nel primo libro dei Re: dove egli si contrappose a centinaia di devoti di Baal per convertirli. La presenza di Elia è sempre rappresentata in maniera tutt’altro che amorevole, la forza del profeta è a tratti sanguigna e temeraria, ed è da qui che nasce l’umana incertezza, la necessità di spiegazione. È così che Sandro Lombardi, attore straordinario tra i grandi nomi del teatro italiano, diventa interprete di una narrazione di umano dubbio.
Una partita a scacchi tra il Padre Eterno e Lucifero, dove il secondo sta perdendo e accusa il primo di giocare sporco. Il diavolo sostiene che la storia sia disseminata di inganni e sotterfugi con i quali Dio farebbe tornare i conti anche se non tornano. Ed è qui che entra Elia, che il Vangelo mette addirittura in fianco a Mosè. Nella sinossi di Doninelli leggiamo: “Chi era Elia? L’Antico Testamento ne parla pochissimo. Lucifero lo descrive come uomo rude, sanguinario, un depresso cronico con istinti suicidi. E si chiede come Dio, che aveva affidato a Mosè la sua legge, abbia potuto affidarsi a un uomo come lui. Ma Dio non perde tempo a rintuzzare le accuse del diavolo, non si impegna in una discussione sterile”. Della messinscena, che verrà presentata in anteprima esclusiva al Festival, ma anche di come si rappresenti un tema tanto complesso, ce ne parla l’attore.
CD: Qual è la genesi di questo lavoro?
SL: Il testo è un’opera molto interessante di Luca Doninelli, che stimo molto per il suo lavoro e con il quale ho lavorato più volte in passato, perciò quando mi è stato proposto di interpretarlo ho accettato di buon grado. Si tratta di un reading, una lettura con l’aggiunta di elementi scenici. Questa sorta di dialogo, che però si risolve in un monologo, trae immagine da un vecchio film ancora attuale: “Il settimo sigillo”, del 1957, diretto da Ingmar Bergman.
CD: La sfida con la morte.
SL: Da lì abbiamo ripreso la famosa scena della partita a scacchi, in cui il protagonista gioca contro la morte. Quello che viene rappresentato ne “Il mormorio del vento” è però un dialogo tra il Demonio e il Padre Eterno, dove la parola è lasciata solamente al primo. Dare voce alla forza del male, per un essere umano è possibile; dare voce alle forze del bene è pressoché impossibile, se non per i profeti dell’antico testamento. Nella partita a scacchi il demonio scalcia il Signore, scena che si rifà anche alle prime parti del “Faust” di Goethe.
CD: Si parla quindi di dilemma esistenziale?
SL: Il lavoro calca sui temi dell’umano pensiero, sostanzialmente il bisogno e desiderio di infinito che tutti noi abbiamo. Elia pone allo scrittore moderno, il lettore di oggi, un problema mai risolto nei confronti di alcune figure dell’Antico Testamento. Ovvero di come Dio possa aver permesso, o addirittura autorizzato, tanto spargimento di sangue. Elia fa uccidere centinaia di sacerdoti di Baal, la ferocia è uno dei tanti misteri che ci pone l’Antico Testamento.
CD: Cosa resta al pubblico?
SL: Di risposte non ce ne sono e se ce ne fossero sarebbe azzardato darne. Il nostro compito è porre le domande, affinché ognuno di noi possa trovare la sua verità nel proprio intimo. Sicuramente né il testo, né lo spettacolo daranno questa risposta.
CD: Lei ha una lunga carriera da interprete, come crede sia cambiato il ruolo dell’attore nel teatro contemporaneo?
SL: È necessario parlarne dividendo il tempo in pre e post pandemia. Il lavoro dell’attore mi sembrava cambiato già prima del 2020, quello che è successo ha accelerato alcuni processi di evoluzione. Credo che la figura dell’attore stia riprendendo un suo spazio all’interno di quella che possiamo definire “gerarchia delle arti dello spettacolo”. Questo mestiere ha beneficiato di uno strapotere fino alla seconda guerra mondiale, ovvero prima dell’invenzione della regia critica che dobbiamo a grandi registi come Visconti e Strehler.
CD: Dal centro delle scene al ruolo di interpreti.
SL: Prima degli anni ’40 l’attore ha goduto del capocomicato, il “primo attore” decideva qualsiasi cosa, aveva totale potere di scelta, di contro c’era anche molta approssimazione nella costruzione degli spettacoli. D’altra parte, l’avvento del teatro di regia, oltre ai pregi che ha portato con sé soprattutto in fatto di qualità delle opere, aveva anche un grosso limite: ridurre l’apporto intellettuale dell’attore, fino al pretendere dall’interprete quasi esclusivamente una performance psico-fisica.
CD: Ed è qui che nasce il teatro contemporaneo, il cambiamento?
SL: Mi sembra che negli ultimi dieci/vent’anni la situazione stia cambiando. La figura dell’attore sta riprendendo una posizione di centralità che, per quanto subordinata alla regia, mantiene con essa un rapporto in dialettica costante. La pandemia ci ha trovato tutti impreparati, obbligandoci a sperimentare nuove possibilità e nuovi linguaggi attoriali indipendenti dalla presenza fisica. Portando l’attore a sperimentarsi positivamente con nuovi strumenti come i supporti video o audio, fino ad arrivare a tutto ciò che è possibile creare con un semplice smartphone.
CD: E il teatro?
SL: Anche riguardo al teatro nella sua accezione più generale, mi sento ottimista. Sebbene sempre tenendo conto della misura in cui, nel nostro Paese, il livello d’importanza culturale del teatro, soprattutto di un certo tipo di teatro, sia considerato l’ultima ruota del carro. I media parlano continuamente delle categorie penalizzate dalla pandemia, lo fanno parlando di calcio, di locali notturni, e capisco che questi muovano molto più della piccola realtà economica che è il teatro dal vivo, però è pur vero che un paese non vive di solo pane.