Affrontare il Giro d’Italia nel 1924 è una scelta folle. Non esistono assistenza tecnica o ammiraglie al seguito, le biciclette sono letteralmente dei ferri pesantissimi, mentre le strade sono spesso dei sentieri sterrati pieni di buche. Chi decide di prendere il via da Milano è un vero e proprio temerario, pensate se a farlo fosse una donna. Quasi una blasfemia per l’epoca dove, complice anche il Fascismo, la donna è considerata l’«angelo del focolare», destinata a prendersi cura della casa e dei figli. Immaginare una donna che si alza sui pedali con gambe e braccia scoperti è pura fantasia, anzi, uno scandalo, eppure a Castelfranco Emilia c’è una ragazza che non ha paura degli stereotipi e della fatica.
Si tratta di Alfonsina Rosa Maria Morini, nota a tutti come Alfonsina Strada, prima donna a prendere parte al Giro d’Italia. Questa storia di rivoluzione e passione ha colpito Federica Molteni, protagonista dello spettacolo teatrale «Ruote Rosa», in scena il prossimo 16 marzo alle 20.30 al Cineteatro Gavazzeni di Seriate.
«Lo spettacolo è nato da una mia lettura casuale di un fumetto intitolato “Cattive ragazze”, dove si ripercorrevano le storie di quindici ragazze che, a modo loro, sono state “cattive”. In questo volume c’è l’episodio riguardante Alfonsina Strada che, nel corso dell’ottava tappa fra L’Aquila e Perugia, deve far i conti con la rottura del manubrio a causa di una caduta. A quel punto, vedendola in difficoltà, una contadina accorre verso di lei e le tende un manico di scopa che le consente di terminare la corsa – racconta l’attrice della compagnia Luna e Gnac Teatro di Bergamo – Da qui ho iniziato a documentarmi sulla sua storia ed è nata l’esigenza di coinvolgere altri colleghi come Michele Eynard e Laura Mola, che sono in scena con me, e come Carmen Pellegrinelli che è la regista dello spettacolo».
Se è vero che la vicenda che ha spinto Federica a realizzare lo spettacolo riguarda il Giro d’Italia, l’opera è principalmente incentrata sul percorso che ha condotto Alfonsina alla «Corsa Rosa» non solo per passione, ma anche per la necessità di sostenere le spese per il ricovero del marito Luigi, ospitato all’interno del manicomio di San Colombano al Lambro. Le doti in bicicletta espresse prima in pista, dove nel 1911 realizza il record mondiale di velocità, e poi su strada con due partecipazioni al Giro di Lombardia, diventano fondamentali per prendere parte alla gara ciclistica più attesa da un intero popolo che ormai conosce Alfonsina e la sostiene, nonostante i molteplici pregiudizi che pesano su di lei.
«Nessuno ha mai impedito effettivamente a una donna di salire su una bicicletta e sedersi su un sellino, però all’epoca rimaneva una faccenda sconveniente, tanto più perché era necessario scoprire gambe e braccia. Per questo motivo l’opinione pubblica considerava Alfonsina una “cattiva ragazza – osserva Molteni – Inizialmente avremmo voluto affiancare la sua storia a quella delle suffragette inglesi, ma ci siamo accorti che la storia di Alfonsina era molto più eversiva perché, a differenza loro, lei non arrivava da una condizione economica e culturale elevata. Anche se non avevano potuto frequentare i college e le università, le suffragette comunque avevano avuto accesso agli stessi libri che leggevano padri e fratelli. Semplicemente dovevano farlo in casa oppure radunandosi in gruppo, ma nonostante ciò si trattava comunque di donne dell’alta borghesia e dell’aristocrazia».
Alfonsina è diversa, lei ha scelto realmente di ribellarsi ai luoghi comuni e a quella mentalità che vede l’uomo dominare in tutto e per tutto. Lei decide di essere padrona del proprio destino, tanto da lasciare la famiglia a sedici anni per trasferirsi a Torino per continuare le gare e poi inserirsi in un gruppo stupefatto di vedere una donna giocarsi le proprie carte al pari dei colleghi. Un aspetto che non è passato inosservato agli occhi della compagnia Luna e Gnac che ha deciso di dare un segnale attraverso la storia dell’atleta emiliana.
«Le suffragette avevano un background astratto di ricerca dei diritti e dell’uguaglianza, ma che nelle tematiche civili andava nella direzione che volevano gli uomini. Alfonsina invece era diversa perché decise di liberarsi attraverso il suo corpo. Salendo su questo strumento molto raro per l’epoca come la bicicletta, ha dato prova di avere piacere nel liberare il proprio corpo e dando da lì nascita a un moto di liberazione. Il tutto raffigurato da quel suo modo di correre e dal vento che le sfiorava il viso», continua l’attrice.
Per valorizzare ulteriormente questa storia, Federica e i suoi colleghi hanno pensato di utilizzare un metodo più innovativo di raffigurazione teatrale: l’utilizzo di disegni che accompagnano gli attori in un ambiente ancor più affascinante: «Sfruttando le doti di Michele che è anche un disegnatore e un fumettista, durante lo spettacolo inseriamo le proiezioni di alcuni disegni. Questi a volte, utilizzando la lavagna luminosa, possono esser realizzati in diretta. Tutto ciò ci consente di creare delle interazioni con quanto viene creato – sottolinea Molteni – Ciò che ci ha sorpresi maggiormente è la visibilità che il nostro spettacolo ha avuto all’estero, tanto che siamo stati invitati anche all’Istituto Italiano di Cultura di Nizza. Talvolta non ci accorgiamo, ma le storie italiane interessano anche gli altri e la dimostrazione è arrivata in Francia, dove abbiamo ricevuto molti riscontri positivi sulla storia di Alfonsina. Dopotutto vedere una ragazza affrontare il Giro d’Italia nel 1924 fa brillare gli occhi di ogni donna, non solo di quelle del nostro Paese».
Nonostante sia passato ormai oltre un secolo, la storia di Alfonsina Strada ha ancora tanto da dirci, facendoci riflettere su quale sia la posizione della donna nel mondo dello sport e quanti progressi siano ancora necessari per raggiungere una vera parità di genere: «Oggi – conclude Molteni – dobbiamo ancora fare riferimento alla storia di Alfonsina perché, se allora il mondo le andava contro insultandola pubblicamente attraverso giornali e riviste sportive, attualmente la situazione non si è completamente risolta. Ci sono alcuni aspetti nello sport da risolvere (a volte spinti dagli sponsor per aumentare la visibilità), ma che spesso non vengono presi in considerazione. Insomma non si può abbassare la guardia».