Una scenografia in cui domina il bianco. Come nelle pagine dei libri che accolgono i versi del poeta statunitense Walt Whitman “O capitano! mio capitano!”, rimasti nella memoria di tutti coloro che hanno visto il film cult “L’attimo fuggente” del 1989, diretto da Peter Weir e con l’indimenticato Robin Williams nei panni del professor Keating.
Una storia potente, profonda, che parla di poesia, di libero pensiero, di amore per la vita, di testimonianze significative, di incontri che cambiano gli uomini nel profondo. Una pellicola senza tempo, nota anche alle generazioni successive per la forza di quanto racconta.
A trent’anni dall’uscita nelle sale è diventato uno spettacolo teatrale, grazie all’adattamento firmato dallo stesso Tom Schulman, premio Oscar per la sceneggiatura originale del film. Lo spettacolo sta girando l’Italia e il 29 novembre alle 21 sarà al Creberg Teatro Bergamo con la regia di Marco Iacomelli.
Per l’occasione, abbiamo intervistato l’attore Ettore Bassi, che interpreterà il professore Keating.
“Quando avevo visto il film mi aveva lasciato un senso di grande speranza, di leggerezza nel cuore, di entusiasmo, di gioia. È una storia incredibilmente attuale e potentissima ancora oggi perché ricalca temi che sono universali, eterni e che ci riguardano tutti come l’autenticità, la scoperta e l’ascolto della propria identità, del proprio destino. Ecco perché la storia è sempre contemporanea, è un grande classico come Omero o Dante. Fa rabbrividire per quanto sia urgente di questi tempi”.
MV - Come è stato interpretare un ruolo reso immortale da Robin Williams?
EB - Williams è stato sicuramente un’ispirazione. Il mio intento è stato da subito non di imitarlo o eguagliarlo, ma di onorarlo, anche rispettando a grandi linee la traccia che lui ha segnato con questo personaggio in un modo così potente e mirabile anche nel ricordo e nelle emozioni del pubblico. Il professor Keating, quindi, ha i tratti salienti che tutti ricordano: mi sono attenuto alla traccia che Williams ha dato e poi ho messo l’autenticità che ogni attore ha, essendo una persona diversa dall’altra. Per me è stato un viaggio bellissimo che si rinnova ogni sera perché ogni sera si ripetono emozioni e parole incredibili.
MV - Il film è ricordato per alcune frasi significative, tra cui “carpe diem, rendete straordinaria la vostra vita” o “guardare le cose da angolazioni diverse” con la celebre scena del professore che sale sulla cattedra. Ci sono altre frasi che lei indicherebbe?
EB - “Dovete combattere per trovare la vostra voce”, “Dovete credere che i vostri pensieri siano unici e vostri anche se ad altri possono sembrare impopolari”, “La poesia, la bellezza, l’amore sono queste che le cose che ci tengono in vita”. Ci sono tante frasi e ogni passaggio è un passaggio denso. Bisognerebbe vedere lo spettacolo due o tre volte perché in una volta sola arriva tanta di quella emozione, tanti di quei messaggi che è difficile contenerli un’unica esperienza.
MV - Come può essere inteso l’invito del Carpe diem oggi?
EB - È in parte il trovare il proprio posto nel mondo. Ma è anche, in modo più letterale, vivere il presente qui e ora, un’estensione del cogliere l’occasione al volo, concentrarsi sul presente per renderlo unico. Noi viviamo sempre di più, soprattutto i ragazzi, proiettati in un non-presente, in un altrove. Basta guardare ai social che ti proiettano da un’altra parte, che non è il qui e adesso, ma è in un altro tempo.
È un rimandare continuamente fuori dal momento presente che porta i ragazzi a confondersi, a perdersi perché poi la vita reale si fa nel presente e solo nel presente: costruendolo, alimentandolo, ascoltandolo, guardandolo.
MV - Una storia di trent’anni fa che parla a tutte le età, trattando di poesia, amore per la vita, incontri significativi. E ai giovani di oggi piace.
EB - Parla al pubblico abituato ad andare a teatro, ma abbiamo visto che quando abbiamo fatto gli spettacoli nelle scuole c’era un’emozione forse ancora più forte. Si sente una partecipazione sorprendente dai primi minuti: i ragazzi capiscono immediatamente che si stanno tuffando in una storia che li riguarda in modo profondo. Mi hanno dato le emozioni più forti, ho vissuto dei momenti di commozione personale mentre recitavo davanti a loro sul palco: i ragazzi colgono esattamente il senso delle cose, sono molto più attenti e sensibili di quello che si vuole credere o che si vuole far credere. Ai giovani piacciono gli argomenti, ma anche il modo in cui è esposta la storia. Ed è anche un insegnamento per chi si trova dall’altra parte.
Il professor Keating è un estemporaneo perché guarda l’insegnamento da un altro punto di vista. Lui è il è il primo esempio di quello che dice: afferma che bisogna rispettare la propria autenticità e guardare le cose da un altro punto di vista ed è quello che lui fa come insegnante. Rispetta la sua natura, la alimenta e a volte la fa anche imbizzarrire e insegna con un metodo che parte da diversi punti di vista, non da quelli istituzionali, canonici.
MV - Nella storia emergono temi come cultura, scuola, il ruolo del professore. Un pensiero guardando al presente?
EB - La scuola è un po’ lo specchio della nostra società oggi. La società e quindi la scuola appaiono come un’istituzione in parte abbandonata a sé stessa e che, in qualche modo, sopravvive grazie ai singoli talenti e alla loro passione individuale.
Ecco perché ho sentito che questo spettacolo fosse tremendamente urgente: perché si deve indicare la strada nel cercare il proprio destino e farlo nella maniera più forte, più convinta e più audace possibile seguendo le proprie inclinazioni. Solo in questo modo si potrà essere ascoltati e ci si potrà realizzare, trovando un posto nel mondo. La forza e l’entusiasmo che il professor Keating ha nel valorizzare l’individuo, credo che sia una forza da augurare a chiunque.
MV - Ha trovato delle affinità con il personaggio che interpreta?
EB - Sicuramente una tenerezza nei confronti dei giovani, perché ormai sono dall’altra parte della barricata essendo padre di tre figlie. Provo grande tenerezza nei confronti dei ragazzi e anche senso di premura, protezione rispetto alle violenze che subiscono e dentro cui si trovano a vivere ogni giorno. È stato anche il motivo per cui mi è venuto in mente questo titolo quando un anno fa ero la ricerca di uno spettacolo che andasse nel solco del mio precedente spettacolo intitolato “Il sindaco pescatore”, che parla di Angelo Vassallo: una storia di teatro civile, di legalità, di omicidio ancora irrisolto, dove lavoro con dei ragazzi in scena. Avevo voglia di rapportarmi ancora con i ragazzi, portare loro un messaggio che potesse scaldarli e gli mostrasse qualcosa di nuovo di loro stessi.
MV - C’è un professor Keating oggi?
EB - Sicuramente ce ne sono tanti e in quanto tali vivono isolati, sempre visti come dei pazzi o come simpatici saltimbanchi. Secondo me uno di questi è Roberto Vecchioni, mio grande idolo. Sono anche convinto che ci siano pezzettini di professor Keating in tante persone che incontriamo e dentro ognuno di noi. Dovremmo solo tirarlo fuori.
MV - Il sindaco pescatore e il professor Keating: due figure significative. Cosa li accomuna?
EB - Hanno una qualità comune ossia essere degli umanisti: persone che si occupano dell’umano. La grandezza di tutte le persone che fanno in qualche modo la salvezza degli altri sta nell’essere persone dirette, che guardano al senso profondo e autentico della vita. Angelo Vassallo e il professor Keating hanno questa qualità in comune: mettono a servizio degli altri la loro semplicità e autenticità senza paura di giudizi, convenzioni, schemi o di essere tacciati da folli. Anzi, quello potrebbe essere un vanto.