La prima volta che ebbi modo di conoscere “da vicino” l’Opera dei Pupi fu diversi anni fa e quasi per caso. Mia sorella fece un reportage nel cuore di Palermo, per la precisione al numero 95 di via Bara all’Olivella, sede di quello che ben presto scoprii essere il teatro dell’Opera dei Pupi della Compagnia Figli d’Arte Cuticchio.
Un piccolo teatro fondato nel 1973 da Mimmo Cuticchio: oprante, erede della tradizione dei cuntisti (o contastorie) siciliani, regista, attore, maestro puparo, oltre che uno dei più importanti artefici di quella che viene considerata la rifondazione dell’Opera dei Pupi in Sicilia.
Sarà proprio lui l’ospite del Museo del Burattino di Bergamo sabato 22 agosto (ore 17), con il terzo incontro del calendario di “A Regola d’Arte”. Un’intervista trasmessa in diretta streaming al museo e online, guidata da Paola Serafini e Luì Angelini della compagnia La Voce delle Cose.
A presentarci l’appuntamento è il direttore artistico del museo Luca Loglio: “La chiacchierata che abbiamo costruito con Mimmo è stata pensata da lui, Paola e Luì, che sono amici dalla prima metà degli anni Ottanta. Gli argomenti affrontati partiranno da come lui nasce come oprante nel teatro dell’Opera dei Pupi”.
Un’occasione straordinaria per approcciarsi a questa forma d’arte e capire come trovi dei punti di contatto anche con la geograficamente lontanissima tradizione del teatro di figura bergamasco.
Piccola introduzione (incompleta) all’Opera dei Pupi
Pensare di trattare in modo esaustivo e in poche righe l’evoluzione, i linguaggi, i personaggi, la storia e più in generale quello che ha rappresentato (e rappresenta) l’Opera dei pupi in Sicilia (e non solo) è pura utopia.
In generale, il fascino innegabile di questa forma di teatro di figura risiede in un’innumerevole varietà di elementi, linguaggi e colori insiti in ogni elemento formale, ma soprattutto “spirituale” oltre che nei retroscena del genere. Ciò che è certo è che non bisogna cadere nel tranello di considerarla come materia museale o folclore riservato al diletto di turisti o bambini: una concezione figlia della crisi della metà del Novecento, quando il pubblico tradizionale andò disgregandosi in favore di curiosi e villeggianti di passaggio. Un’idea oggi (per molti versi e per fortuna) superata, grazie a un’opera di rifondazione e innovazione, di cui Mimmo Cuticchio è per l’appunto uno dei principali artefici.
Le tematiche che animano le vicende delle marionette ad asta sono poi tra le più disparate: si va dai soggetti cavallereschi del tradizionale ciclo carolingio alla cronaca, passando per rappresentazioni sacre, opere shakespeariane, poemi antichi e moderni e molto altro. Tutti temi in cui l’elemento drammatico si intreccia alle vicende, talvolta lasciando emergere anche un impegno civile. Caratteristiche che ne fanno a tutti gli effetti un genere per adulti e con ancora molto da dire anche al pubblico odierno, come nel caso di Cuticchio.
E se l’Opera dei Pupi nasce per una fruizione rituale, dove l’immedesimazione e la partecipazione diretta del pubblico sono parte integrante dell’appuntamento – con tanto di risate, imprecazioni, pianti, dialoghi con le marionette e in alcuni casi addirittura con vere e proprie incursioni (si pensi agli oggetti scagliati in scena contro personaggi malevoli o traditori) – oggi continua a trovare una sua dimensione. Sebbene in un nuovo sviluppo pensato non più come una serialità, ma come fruizione singola e secondo nuove linee che camminano fianco a fianco con l’evoluzione culturale del pubblico.
Mimmo Cuticchio: tra tradizione e innovazione
L’argomento della storia della famiglia Cuticchio e dell’evoluzione apportata da Mimmo dopo l’inaugurazione del suo teatro, saranno uno dei punti chiave del dialogo del 22 agosto. Una storia che, insieme allo stesso Mimmo, nasce nel 1948 sul retro del palcoscenico di quello che allora era un teatro itinerante.
Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale infatti il padre Giacomo Cuticchio era divenuto un puparo “camminante”, che viaggiava cioè con il suo teatro tra l’entroterra siciliano e le coste, adattandosi ai diversi ritmi stagionali e del lavoro.
Durante l’infanzia di Mimmo, teatro, casa e famiglia finiscono così per coincidere, divenendo un luogo dove la famiglia vive, dorme e lavora in una sorta di grande “famiglia allargata”: “Mimmo nasce all’interno del teatro e fin da piccolo conosce da vicino i principali protagonisti dell’opera, tanto che Orlando, Rinaldo, Bradamante, Astolfo e gli altri paladini e personaggi finiscono col divenire suoi zii, nonni, fratelli. È interessante perché è un aspetto che rende la sua esperienza molto simile al lavoro dei burattinai bergamaschi, che dormivano nella sala dove montavano lo spettacolo, così come faceva anche Ravasio”.
Dopo vent’anni però Giacomo decide di tornare a Palermo e lì fondare un teatro stabile. È la fine degli anni Sessanta e il pubblico è ormai cambiato lasciando spazio a una platea di turisti. Questo si traduce in un pubblico occasionale e spettacoli sempre uguali, in cui Mimmo non trova la sua dimensione: decide così di staccarsi dal teatro paterno e cercare la sua strada: “Come afferma Mimmo durante la nostra chiacchierata, ‘tradire’ e ‘tradizione’ sono figlie della stessa etimologia. La sua abilità è stata prendere un linguaggio, capirlo profondamente, capirne le dinamiche drammaturgiche e portarli in modo personale in un complesso socio-culturale completamente diverso”.
Ecco allora che, dopo l’apprendistato di tre anni presso il laboratorio di Peppino Celano e aver inaugurato il nuovo teatro, introduce un nuovo repertorio di storie e copioni innovativi, oltre a nuove sperimentazioni come la scena aperta, la manovra a vista e commistioni con il cunto, l’opera lirica ed altre opere musicali.
Il teatro di figura oggi: tradimento o tradizione?
Durante l’incontro ci sarà anche spazio per approfondire l’aspetto prettamente evoluzionistico della tradizione e del suo significato. Ancora oggi il (più o meno presunto) tradimento del passato e la reinvenzione del linguaggio del teatro di figura accendono i dibattiti più disparati.
Una cosa certa è che la lettura di Mimmo durante l’incontro al Museo del Burattino sarà qualcosa che va ben oltre la pura ripetizione formale di forme precostituite: un concetto di innovazione dove lo studio del passato e della tradizione va compreso, per poi essere coniugato e riadattato ai linguaggi che cambiano.
Lo riassume Luca Loglio: “A Mimmo non interessa che una marionetta venga mossa perfettamente: a lui interessa che il teatro sia vivo, sappia raccontare qualcosa. Per renderlo possibile ha inventato un nuovo modo di fare teatro che incrocia cunto, opera dei pupi, momenti attoriali e teatrali. Linguaggi e dinamiche che si uniscono e danno vita a questa miscela meravigliosa”.
Un universo che trova punti di contatto con il macrocosmo di pupi, burattini e marionette, aprendo inevitabili domande: “La metafora che sta dietro a ogni racconto e agli archetipi di qualsiasi personaggio nel teatro di figura non cambiano mai. Ma possiamo declinarle nella contemporaneità? Alcuni ci riescono con apparati scenici nuovi, come Mimmo, che ha campito l’elemento invariato dell’essere umano per raccontare bellezze e meschinità dell’uomo odierno”.
Un approccio che in ultimo sembra invitare il teatro di figura in generale e quello dei burattini in particolare a “riappropriarsi del loro senso profondo, poiché la banalizzazione che accomuna il teatro a forma d’intrattenimento è malsana. Il burattinaio viveva nel pubblico e raccoglieva tutti gli input per poter tessere la drammaturgia, dalla microdinamica del paese a quella macro, nazionale. Vediamo chi riuscirà a farlo per i burattini come c’è riuscito Mimmo per i pupi”.
In estrema sintesi dunque: “all’interno della struttura rigida e didattica i rivoluzionari sono coloro che sono stati in grado di scardinare un rapporto rispetto agli insegnamenti ricevuti: i maestri esistono per essere ascoltati, riconosciuti, superati”.