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L’avventura estrema di Marco Prosperi che si perde durante una maratona nel deserto racconta anche un po’ di noi

Intervista. Nel 1994 Marco Prosperi si perde nel deserto del Marocco durante una maratona estrema. Per dieci giorni non ha accesso ad acqua e cibo. Nel nulla scopre un altro sé. La sua storia viene interpretata da Cosimo Frascella che ha attraversato la stessa solitudine (e astinenza da palco) durante il Covid. Le loro storie diventano metafora della vita di tutti noi

Lettura 4 min.

Prosegue la seconda parte della stagione Abboccaperta 2024 - 2025, rassegna curata da Teatro Caverna nel quartiere di Grumello. Tra gli appuntamenti del mese di marzo ci sarà «Marathon des sables» di IAC - Centro Arti Integrate di Matera.

Cosa succede se ci perdiamo? Cosa rimane di un attore quando non può più esibirsi? Il deserto come metafora teatrale dello spazio di resistenza, solitudine e scoperta. È in questo scenario che prende vita in «Marathon des Sables», spettacolo diretto da Andrea Santantonio con Cosimo Frascella, in scena domenica 23 marzo 2025 alle 21:00, presso Teatro Caverna.

Una messa in scena della vicenda, a tratti epica, di Mauro Prosperi, atleta che nel 1994 si perse nel deserto del Marocco durante una maratona estrema. Dieci giorni senza cibo né acqua, un’impresa ai limiti della sopravvivenza che diventa il cuore di una narrazione teatrale intensa e coinvolgente. Una storia di resistenza e smarrimento, tra sfida fisica e riflessione interiore.

La drammaturgia, firmata da Frascella e Santantonio, intreccia due percorsi paralleli: quello di Mauro, l’atleta disposto a spingersi oltre il limite per superare se stesso, e quello di Cosimo, l’attore che vive il teatro con la stessa determinazione. Due uomini, due destini che si incontrano in scena, riflettendo sul senso profondo sulla necessità di non arrendersi.

Non è solo una storia di sport estremo, ma un’indagine sulla condizione umana: il deserto diventa metafora di smarrimento e rinascita, un luogo di lotta interiore dove il protagonista si confronta con la propria solitudine e riscopre una connessione più profonda con il mondo che lo circonda. L’allestimento visivo e sonoro è fondamentale per restituire questa esperienza: il disegno luci di Joseph Geoffriau e le creazioni video di Lorenzo Bruno amplificano la dimensione evocativa dello spettacolo, immergendo il pubblico in un viaggio sensoriale che si muove tra realtà e immaginazione.

Attraversare il deserto, nella corsa come nella vita, è una prova che mette alla prova il corpo e lo spirito. «Marathon des Sables» porta in scena questa tensione, spingendo il pubblico a interrogarsi sul significato della paura e della scoperta di sé. Un’esperienza teatrale che non si limita a raccontare un’impresa sportiva, ma si fa specchio di ogni percorso umano in cui l’importante non è solo arrivare, ma trovare un senso nel viaggio. Il regista Andrea Santantonio ci racconta il lavoro.

CD: Come è nata l’idea di raccontare la storia di Mauro Prosperi a teatro? È una scelta piuttosto insolita.

AS: Lo spettacolo è nato all’inizio della pandemia. Trovandoci improvvisamente con molto tempo a disposizione, io e Cosimo Rascella abbiamo iniziato a cercare storie che potessero raccontare uno stato d’animo di ricerca interiore. Cosimo aveva letto della vicenda di Mauro Prosperi, il maratoneta che si smarrì nel deserto durante la Marathon des Sables, e l’aveva trovata particolarmente singolare. Mauro ha accolto la nostra idea con grande entusiasmo: gli piaceva che la sua storia potesse essere raccontata in quel modo, soprattutto perché per noi non era solo una vicenda sportiva, ma un racconto universale sullo smarrimento e sulla resistenza, qualcosa che poteva risuonare anche nei giovani e negli adolescenti.

CD: Cosa vi ha colpito in particolare di questa storia?

AS: Non tanto il gesto atletico in sé – il fatto che Mauro sia sopravvissuto – ma il senso più profondo di quell’attraversamento. Per lui non è stata solo una prova fisica, ma un’esperienza di solitudine estrema, un confronto con sé stesso. Il deserto è diventato uno spazio di introspezione, di resistenza mentale ed emotiva. Mauro era un campione olimpico, abituato a inseguire il successo, ma quell’esperienza gli ha cambiato completamente la prospettiva, facendo emergere una dimensione più umana e vulnerabile, spesso trascurata nel mondo dello sport. È questo che ci interessava.

CD: Lo spettacolo intreccia due piani narrativi: la storia di Mauro e quella di Cosimo, l’attore in scena. Come avete costruito questo dialogo tra i due? E che ruolo ha il deserto nel contesto teatrale?

AS: Durante la pandemia ho chiesto a Cosimo di raccontarmi il suo stato d’animo. Come attore, si trovava in un momento di grande incertezza: veniva da anni di spettacoli con grandi compagnie, poi all’improvviso tutto si era fermato. Questo lo ha portato a interrogarsi su chi fosse al di là del suo lavoro: cosa rimane di un attore quando non può più esibirsi? Abbiamo intrecciato questa riflessione con la vicenda di Mauro, perché entrambi hanno vissuto una crisi di identità nel loro percorso. Nel deserto, Mauro non si è perso, ma si è ritrovato. Cosimo, allo stesso modo, ha dovuto attraversare un proprio “deserto” per ridefinire sé stesso.

CD: In che modo la resistenza fisica e mentale del maratoneta diventa una metafora per l’attore?

AS: In scena, Cosimo corre davvero. Inizialmente avevamo pensato di usare un tapis roulant o della sabbia sul palco, ma poi abbiamo deciso di eliminare tutto e di lasciare il corpo come unico strumento espressivo. Il teatro ha spesso sperimentato con il portare l’attore a un punto di sforzo fisico estremo, perché questo altera il modo di parlare, di muoversi, di esprimersi. Cosimo raggiunge uno stato di fatica autentica, simile a quella di un maratoneta, e questo lo porta a una presenza scenica più intensa e vera.

CD: Anche il video e la musica hanno un ruolo importante nello spettacolo. Come avete lavorato su questi elementi?

AS: Lo spettacolo è tratto da un libro scritto dall’ex moglie di Mauro Prosperi, una sorta di diario biografico che abbiamo adattato in forma teatrale. I video e le musiche sono vere e proprie presenze sceniche. Le immagini proiettate sul fondale non mostrano il deserto in modo realistico, ma evocano stati d’animo, visioni, così come le musiche. Sono segni, tracce, elementi astratti in bianco e nero che accompagnano il viaggio interiore del protagonista.

CD: Che tipo di coinvolgimento vi aspettate negli spettatori?

AS: Abbiamo notato reazioni molto diverse a seconda del pubblico. Gli appassionati di sport e maratone si concentrano sulla dimensione dell’impresa atletica, sulla resistenza fisica. I più giovani, invece, sono colpiti soprattutto dal tema dello smarrimento e della ricerca di sé. La cosa interessante è che lo spettacolo non dà risposte nette: non dice che esiste una strada precisa per ritrovarsi, ma lascia spazio all’incertezza, all’attesa. Ed è proprio questo che sembra colpire di più i ragazzi: l’idea che attraversare il disorientamento sia necessario, e che la risposta possa arrivare anche per caso, con un po’ di fortuna.

La rassegna «Abboccaperta» prosegue ad aprile allo Spazio Caverna con «Una domenica da fiaba» (13 aprile), dedicata a narrazioni interetniche per bambini, e con «Il discorso di Matteotti» (26 aprile), lettura scenica sul celebre intervento parlamentare. La stagione si concluderà il 3 maggio con «Batracomiomachia», rilettura dell’antichissima parodia “La battaglia delle rane e dei topi”, in cui il mito e l’ironia si intrecciano in un’avventura epica.

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