Potenza dei vent’anni e pulsione della nostalgia. Forza di un qualcosa che era così avanti da non invecchiare nel presente. Leggi alla voce canzone d’autore, aggiungici una visione sonora che rifugge dall’idea del cantautore chitarra-voce, mescola tutto con la poesia, il cinema sperimentale e il teatro. Ne vengono fuori i La Crus: Mauro Ermanno Giovanardi la voce, Cesare Malfatti i campioni e la chitarra, Alex Cremonesi nelle retrovie i testi. I primi due di nuovo insieme per “Mentre le ombre si allungano”. Non un concerto né uno spettacolo teatrale vero e proprio. Ma una performance sul confine, laddove il confine riluce, evoca e non racconta. Bensì sperimenta, prova una soluzione innovativa che non è astrusa ma emozionale.
È la fine degli anni Novanta, i La Crus hanno pubblicato il loro terzo disco “Dietro la curva del cuore”, quello del singolo “Un giorno in più (insieme a te)”, “fino alla fine del mondo almeno”. E invece del classico tour, bazzicando gli ambienti del Teatro dell’Elfo e dialogando con Ferdinando Bruni, arrivano a questa miscellanea evocativa, che li conferma come gruppo di culto di una scena musicale in grande fermento. Due decenni dopo “Mentre le ombre si allungano” torna sul palco: qualche data proprio all’Elfo, dei passaggi in alcuni splendidi contesti estivi e domani sera al Bloom di Mezzago (ore 20.30, ingresso 17 € su mailticket.it, 15 € in cassa).
Parlare di tutto questo con Cesare Malfatti, l’anima sonora del progetto milanese, è un piacere. Riflessivo, pacato e mai sopra le righe, è uno dei personaggi determinanti degli ultimi trent’anni di rock in Italia, nonostante per indole stia quasi sempre nell’ombra. Tenco e Ciampi sì, ma anche i beat dell’hip-hop e i Portishead: questa in estrema sintesi l’intuizione dei La Crus allora, ovvero l’intuizione di Malfatti, perfettamente rappresentata da queste ombre di nuovo estese, ancora di più dopo anni di esperienze e maturazione.
“A dare il là è stato il festival ‘La mia generazione” ad Ancona, di cui Joe (Mauro Ermanno Giovanardi, ndr) è il direttore artistico. Nel calendario c’è sempre uno spazio per dei concerti legati all’audiovisivo. L’anno scorso ci fu una sonorizzazione dei Marlene Kuntz. Quest’anno Joe ha pensato di riproporre ‘Mentre le ombre…’. Rimettendolo insieme abbiamo pensato che per il ventennale potevamo riproporlo”.
Sono tante le peculiarità dell’atto unico di un’ora e venti circa che la coppia mette in scena: “lo spettacolo è molto strano, la parte sonora viene fatta con due giradischi che fanno girare due vinili stampati allora dalla Wea: uno con le basi delle nostre canzoni e l’altro con le orchestrazioni. Il gioco è tenere i due vinili a tempo e aggiungere la chitarra”. Il tutto per fare da appoggio alla voce di Giovanardi e ad alcuni testi di Pasolini, Pagliarani, Bufalino, Salinas e Tenco (che canta “Angela”) ripassati in uno walkman e incatramati dai segni del tempo che passa. A completare l’opera i filmati di Francesco Frongia , un alternarsi di riprese sperimentali di Man Ray, frammenti di testi e altre visioni.
Per chi vent’anni fa ne aveva sedici come il sottoscritto le curiosità si sprecano: “rispetto alla versione del 1999 le differenze sono pochissime. Abbiamo inserito ‘Nera signora’ al posto di ‘Dov’è finito dio’. Nuovi sono anche alcuni video e poesie. Ma la sostanza rimane quella”.
La genesi dello spettacolo dice molto sul contesto di allora. “Eravamo al terzo disco e cercavamo qualcosa di diverso per i nostri live. La casa discografica ci sosteneva senza dire nulla sulle modalità con cui salivamo sul palco. Decidemmo allora di provare questa formula: non fu mai veramente difficile, se non perché riducemmo la formazione a due e il resto della band ne risentì un po’. Noi però eravamo contenti: stavamo facendo una cosa bella, nei teatri, che univa tutti i nostri interessi”. Immaginare di farla oggi “è più complicato. Per un giovane come eravamo noi allora c’è una situazione diversa, senza un sostegno importante delle etichette e con l’esigenza di fare risultati subito. È un contesto che non agevola la sperimentazione”.
C’è anche un discorso di mentalità da considerare: “Prima dei La Crus noi e tante altre band simili eravamo abituati a cantare in inglese e lo facevamo per passione. Il successo per molti era un aspetto secondario, anche perché eravamo abituati a suonare davanti a quattro gatti”. Oggi invece contano i numeri, che sono certamente uno sprone che spesso influenza fortemente le scelte artistiche. In più è cambiata radicalmente la modalità di fruizione: “Il suono dei La Crus nasceva da tantissimi ascolti, da cui estraevamo i campioni che più ci piacevano come suono e atmosfera, quindi costruivamo l’arrangiamento. Nel primo disco prendemmo quello che ci attirava. Andando avanti i campioni venivano rifatti perché era pericoloso prenderli senza autorizzazioni”.
Nascevano così quelle atmosfere scure tipiche dei primi lavori dei La Crus: il campione girava circolarmente creando un effetto tanto ipnotico quanto trascinante e sopra si appoggiava la voce livida di Joe. Era canzone d’autore, ma diversa.
La campionatura veniva usata anche per creare alcuni dettagli degli arrangiamenti: “li chiamavamo campioni di confidenza. Venivano tirati fuori soprattutto dai cd, erano suoni che ci sembravano stessero bene con quello che stavamo costruendo. Dopo averli campionati li distribuivamo su una tastiera per creare delle piccole situazioni sonore che coloravano il pezzo”.
Ma quali campioni usavano i La Crus? “Tante cose differenti. Gli U2, i Depeche Mode e in generale tutto quello che ci piaceva, anche brani molto meno conosciuti”. Sequenze sonore che passavano sul giradischi “che orgogliosamente mi piace usare ancora molto. Lavorare sui vinili è molto gratificante, permette di fare tante cose e mi dà sicurezza. Questa pratica di mettere dei segni in un punto preciso del disco, ad esempio dove inizia una parte di archi, è una cosa facile da fare ma dà soddisfazione. Perché c’è sempre un poco di imperfezione che rende il brano più vivo, più bello. E in ogni caso quando capita di sbagliare la sincronizzazione fra i due vinili è sempre possibile recuperare e in questo recupero possono nascere soluzioni sonore nuove”.
“Mentre le ombre si allungano” significa andare a recuperare il passato “ed è una cosa che mi dà un effetto positivo. Una delle soddisfazioni più grandi è avere i complimenti dai figli delle persone che ci seguivano vent’anni fa. Gente abituata ad ascoltare altre cose che però riconosce una qualità e una modernità nei nostri suoni fatti vent’anni fa. Eravamo all’avanguardia e non siamo invecchiati male, anzi siamo proprio contemporanei”.
Inevitabile che alla fine di ogni data arrivi qualcuno a chiedere se “Mentre le ombre si allungano” è il preludio a una reunion dei La Crus. “Per noi è già un grosso piacere ritrovarsi sul palco e fare queste cose. Fino ad ora non abbiamo in programma nient’altro e non so bene se succederà mai, insomma non so se faremo un disco nuovo come La Crus. Però ci stiamo riavvicinando”.