93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

«Inumana». Le voci della guerra in Medio Oriente in scena a «Molte Fedi»

Articolo. «Cos’è un uomo senza la libertà?». Se lo chiede il fantasma di un tunnel, mentre traghetta verso la morte cinque anime di Gaza. Se lo chiedono anche Laura Silvia Battaglia e Rossella Spinosa, che porteranno il loro melologo «Inumana» il 6 ottobre alle 20.45 nella Chiesa di S. Andrea in Città Alta

Lettura 5 min.

Ci sono dei momenti storici in cui il linguaggio intellettuale, da solo, non basta. Dei momenti in cui serve che questo tipo di linguaggio ne incontri un altro: quello emotivo. «È la forma di comprensione più alta che ci sia, perché è quella più completa per l’essere umano. Noi non pensiamo soltanto col cervello: noi sentiamo con il nostro corpo, con i nostri sensi».

La maggior parte delle volte, l’incontro tra i due linguaggi avviene nell’arte. Ne è convinta Laura Silvia Battaglia, giornalista e documentarista siciliana, reporter in aree di crisi specializzata in Medio Oriente e docente in diverse istituzioni italiane ed europee. Ma anche musicista “silente”, come si definisce sorridendo, diplomata in pianoforte al Conservatorio e mezzosoprano. Tra un reportage e l’altro, il suo passato musicale è tornato a emergere quando Rossella Spinosa, pianista e compositrice comasca, le ha chiesto di lavorare con lei per provare a rispondere alla domanda: «In cosa si trasforma un uomo se viene privato della libertà?».

Lo scorso 7 ottobre, giorno dell’attacco sferrato da Hamas contro le comunità di Israele attorno alla striscia di Gaza, dare una risposta è diventato ancora più urgente. «Da una parte c’erano migliaia di ostaggi israeliani nelle mani di Hamas, privati improvvisamente della loro libertà, uomini, donne, anziani, giovani, bambini, addirittura un neonato. Dall’altra parte, la contropartita richiesta erano i prigionieri palestinesi, dove ci sono migliaia di ragazzini, minorenni».

È allora, in stretto dialogo con la tragica complessità del presente, che nasce « Inumana. Cos’è un uomo senza la libertà ». Un melologo per voce e pianoforte che, raccontando la guerra in Medio Oriente, narra in realtà la guerra in tutta la sua brutalità, in tutta la sua – appunto – inumanità. Lo spettacolo, che ha debuttato lo scorso marzo al Collegio Gallio di Como, andrà in scena per « Molte fedi sotto lo stesso cielo » domenica 6 ottobre alle 20.45 nella chiesa di S. Andrea in Città Alta.

Cinque anime in un tunnel

Il pianoforte di Rossella Spinosa e la voce recitante di Laura Silvia Battaglia interagiscono sulla scena come “un corpo unico”. Al centro della storia, c’è un tunnel. È un tunnel vero, che corre sotto la striscia di Gaza, dove il soldato israeliano si muove per stanare il nemico, e dove a sua volta il miliziano di Hamas si appresta a colpire il soldato israeliano. Ma è anche la via d’accesso a una dimensione ultraterrena, su cui si muove un ghost of the channel, un fantasma.

«Un po’ tutte le tradizioni culturali e religiose, al di là delle tre religioni monoteiste, si sono confrontate con il tema della morte – spiega Laura Silvia Battaglia – Ci sono dei pattern molto comuni, per cui si crede che l’anima del defunto crei un legame tra quello che noi non vediamo e quello che ancora vediamo. Pensiamo per esempio al Messico, all’idea di una notte durante l’anno in cui i morti tornano e ti indicano la strada, ti dicono delle cose. Nella tradizione islamica esiste il jinn, una creatura che non è semplicemente un defunto, e nemmeno un angelo. È un essere “di mezzo”, che in qualche modo c’è stato, ha frequentato il mondo terreno, e che ha una funzione di spinta o di disturbo delle azioni degli esseri umani».

Come un Virgilio dantesco, il jinn è una guida, un traghettatore di anime, che unisce il mondo dell’Aldiquà con il mondo dell’Aldilà. «È una figura necessaria allo sviluppo della storia. Mi serviva una voce che si elevasse super partes di fronte alle disgrazie, alle rabbie, alle memorie, e alle paure di tutte le persone che possono capitare in quel fazzoletto di terra che è Gaza». Il “fantasma del tunnel” è testimone delle sorti di cinque persone: la prima è una giovane donna ebrea, fatta ostaggio di Hamas durante un rave party. Una figura ispirata a una donna e a una situazione reali: il festival musicale «Supernova Sukkot Gathering» è stato tra i primi obiettivi dell’attacco a sorpresa lanciato da Hamas nelle prime ore del 7 ottobre.

Il racconto di Laura Silvia Battaglia dà voce anche a un’altra donna, una giovane palestinese, modellata a sua volta sulla figura di una persona che la giornalista conosce bene. «Le due figure femminili sono quelle positive, se così vogliamo dire. Sono le vittime di una situazione più grande di loro, nella quale si trovano immerse e rispetto alla quale ne vedono sia gli aspetti incomprensibili, sia quelli comprensibili. Capiscono ciò che sta succedendo loro e hanno comunque una posizione molto umana».

Le figure negative, invece, sono due uomini: un soldato ebreo israeliano e un combattente di Hamas, musulmano. Nella costruzione di questi personaggi, Battaglia ha attinto dalla lingua ebraica, dall’arabo e dai testi sacri delle rispettive religioni. «Sono due persone giovani, inclini alla violenza, che vogliono in qualche modo vendicare quello che è successo a coloro che li hanno preceduti, i nonni, oppure i padri, le madri. E quindi scelgono questa strada, convinti che sia quella giusta e che uccidere il nemico sia qualcosa che viene dettato da Dio».

Il quinto protagonista della storia è un bambino di tre anni, sospeso tra la vita e la morte sulla lettiga di una sala operatoria improvvisata. Tra tutte le anime accompagnate dal ghost of the channel, il bambino è l’unico a interagire direttamente con lo spirito. Non è un caso, come sottolinea l’autrice. « L’infante è la figura più pura, quella che è più vicina a un’anima che ancora non ha avuto il tempo di formarsi, di entrare pienamente nella realtà del mondo e che quindi è più intitolata di chiunque altro a ritornare al Creatore, a non essere giudicata per nessuna azione». La volontà della giornalista e della compositrice, nella costruzione dello spettacolo e dei suoi personaggi, è stata proprio quella di porre l’attenzione sull’innocenza, che nella brutalità della guerra paga il prezzo più alto.

«Io credo che l’arte ci permetta di fare i conti con tutto questo in modo estremamente naturale ed estremamente empatico – continua Battaglia – nel senso che è proprio entrando nell’umanità di ogni persona che possiamo capire le ragioni di quella persona e vedere anche un pezzo di noi. Tutti noi siamo meravigliosi e orridi nello stesso tempo; siamo capaci di pensare alle cose più orrende, ma siamo anche capaci di elevarci alle cose più belle e più qualificanti per un essere umano che esistano».

Il problema principale consiste nel fatto che nel corso di un conflitto è difficile, se non impossibile, riconoscere l’umanità del nemico, fare un passo indietro. «Per fare una guerra c’è un processo lento, inesorabile, di disumanizzazione dell’altro», spiega Battaglia, che ha potuto entrare a Gaza per l’ultima volta nel marzo del 2023, per girare un documentario per una ONG italiana prima che l’accesso, già difficile, fosse del tutto impedito ai reporter. «Questo processo di disumanizzazione avviene ormai da anni. Ho tenuto in mano i sussidiari della scuola di Gaza nel 2013: ti insegnavano a odiare. La stessa cosa accade nell’educazione del ragazzo israeliano: è un’educazione imposta per creare il senso di terrore. Generazioni di giovani crescono pronti a combattere, a eliminare l’altro. Chi sta al governo ovviamente alimenta tutto questo».

Il potere e l’amore

Per Laura Silvia Battaglia e Rossella Spinosa dare voce alle donne palestinesi, israeliane, ai bambini di Gaza è una sofferenza. Una sofferenza che nasce dal vestire ogni volta i panni delle vittime di una guerra che anziché cessare si allarga. Una guerra che pesca nella nostra storia, nelle colpe dell’Europa e nei silenzi che hanno l’hanno preceduta. «Le guerre accadono sistematicamente perché nessuno ha avuto il coraggio di guardare in fondo al problema e di porre il problema come urgente. E poi il problema diventa impellentissimo, quando una guerra è già scoppiata».

Ma da cosa nasce, davvero, una guerra? Dopo anni di lavoro come cronista di nera nella sua Sicilia, e poi come reporter nelle aree di crisi («ho sempre avuto una curiosità antropologica nei confronti dell’essere umano, mi sono sempre chiesta come l’uomo si rapporta di fronte agli eventi eccezionali» rivela), Battaglia si è data forse una risposta: il motore scatenante è la fascinazione che l’essere umano ha nei confronti del potere.

«Noi diciamo sempre che vogliamo l’amore, vogliamo essere amati. In realtà quasi sempre gli esseri umani scelgono il potere. Se non fossero innamorati del potere in un modo mostruoso, non ci sarebbero le guerre, i dittatori, non ci sarebbe uno che decide di uccidere un altro. Ecco, questo è un discorso dal quale sono abbastanza ossessionata, ed è in fondo la matrice dello spettacolo: questa riflessione, questo elastico tra il potere e l’amore. E l’essere umano si muove altalenando tra i due».

Approfondimenti