Ulisse è un uomo che ha molto vissuto, viaggiato e sofferto, da più di vent’anni lontano da casa. Un eroe diventato calzolaio e montanaro, che però non perde la sua astuzia. Marco Paolini da più di tre lustri esplora la figura di Odisseo e sabato 25 gennaio alle 21 sarà al Creberg di Bergamo con “Nel tempo degli dei – il calzolaio di Ulisse” (28 euro il secondo settore, 33 il primo, alcuni biglietti ancora disponibili).
Il primo lavoro su Ulisse risale al 2003, nel sito archeologico di Carsulae, con Giorgio Gaslini e Uri Caine e la scena di Arnaldo Pomodoro. Poi, dopo un decennio, una rilettura di quel lavoro a Milano, fino a giungere all’attuale “Nel tempo degli dei”, scritto assieme a Francesco Niccolini, per la regia di Gabriele Vacis. La sua Odissea tascabile è cresciuta nel tempo, nei suoni e nello spazio: è diventata olimpica. E quasi alpina.
MM: Sono 17 anni che lei esplora la figura di Ulisse, perché questa fascinazione?
MP: Accade di rimettere gli occhi su una scrittura del passato e pensare che non sia invecchiata. La mia prima versione era una sorta di bignami dell’Odissea, dopo averci messo mano con Francesco Niccolini abbiamo deciso di dare più spazio all’iterazione con il divino, che è il potenziamento delle facoltà dell’umano.
MM: Mi racconta il suo spettacolo come farebbe con un bambino?
MP: Da una scena astratta con lastre di metallo e fumo escono i personaggi del Coro e Ulisse, che marcia con un remo in spalla, come sta facendo da dieci anni. Questo perché l’indovino Tiresia ha previsto che dopo la strage dei Proci debba pagare una pena e andarsene in esilio da Itaca. In questo viaggio gli dei lo fermano per l’ennesima volta e gli presentano il conto della sua vita. Il confronto dura una giornata e serve a rievocare la sua storia. Tutto questo nasconde uno scopo segreto. Gli dei vogliono qualcosa da lui: è una sfida di furbizia fra Ermes e il suo bis-nipote Ulisse.
MM: Quindi Ulisse è astuto come sempre?
MP: Lo spettacolo è una scusa per raccontare l’Odissea ma anche per dimostrare che Ulisse non è schiavo del destino. Il fato è uguale per tutti, una livella come lo è la morte, mentre il destino è modificato dal capriccio degli Dei, ed è a questo capriccio che Ulisse si oppone, giocando le sue carte. Anche se non è più l’eroe delle vicende omeriche, dà filo da torcere a tutti.
MM: Ma perché il suo Ulisse fa il calzolaio?
MP: La frase trova riscontro in un dettaglio dell’Odissea. Ci piace immaginare che Ulisse, non più comandante, nella sua vita dopo il ritorno a casa si confonda con gli umili e faccia un mestiere ambulante.
MM: C’è dell’ironia nel fatto che, dopo avere salpato i mari, ora sia un “montanaro”?
MP: Un montanaro ai piedi dello Chalet Olimpo. C’è tanta ironia, divertimento e musica.
MM: Possiamo definire “Nel tempo degli dei” addirittura un musical?
MP: Sì, è lo stesso regista, Gabriele Vacis, a chiamarlo musical. Sul palco ci sono musicisti e cantanti, prima che attori. Saba Aglana (che interpreta i principali ruoli femminili), Lorenzo Monguzzi, il vecchio aedo Femio, Elisabetta Bosio, una frizzante e un po’ dark Atena, e Vittorio Cerroni, il giovane pastore che infine si rivelerà il dio Ermes, antenato di Odisseo.
MM: Ermes è un adolescente, con tanti riferimenti alla cultura pop di oggi. Perché parlarne al presente?
MP: Gli dei non muoiono, attraversano il tempo e arrivano dritti fino a noi. Ermes è il più arrogante e intrigante degli dei, la caricatura di un teenager. In qualità di messaggero degli dei è anche il simpatico protettore degli sms, oltre che delle api e degli attori. C’è anche un interessante scambio generazionale: io, un Ulisse di più di sessant’anni, racconto la mia storia a un ragazzo di diciassette, che è insensibile all’aura dell’eroe. Ciò che gli interessa del racconto sono le donne, il sangue, le scene forti.
MM: Tra i riferimenti alla nostra contemporaneità la presenza sul palco di coperte isotermiche, quelle date agli immigrati quando scendono dalle navi.
MP: C’è una scena con le coperte isotermiche che fa parte della grammatica dello spettacolo. Usiamo degli elementi associati al contemporaneo e alla cronaca, ma con consapevolezza.
MM: È questo il tempo degli dei?
MP: Noi tutti oggi abbiamo superpoteri che un dio dell’Olimpo ci avrebbe invidiato. Parlo della tecnologia, ma anche, un domani, della biologia, che ci permetterà di allungare la vita, potenziare mente e corpo, diventare semi dei. Ulisse però non è un ingenuo, ha una certa familiarità con gente che ha questi poteri e non si addomestica facilmente. Non è trendy e non segue la massa.
MM: Come è cambiato negli anni il rapporto col pubblico?
MP: Io non sono più lo stesso e credo che anche il pubblico sia cambiato, però continuiamo a ritrovarci. Valuto l’attenzione che riesco a mantenere dalle luci dei cellulari accesi che ci sono in sala.
MM: E se il cellulare squilla?
MP: Ormai non squilla più, il cellulare si usa per scrivere e messaggiare. Solo qualche volta, se uno lo dimentica nella borsa. Allora ci vuole tempo per recuperarlo e quando succede provo più pena che fastidio.
MM: Come vede la situazione del teatro in Italia?
MP: Per la mia esperienza dove riesco ad arrivare faccio bellissimi incontri, ma non è più facile come un tempo girare l’Italia. L’ultima riforma della legge sul teatro penalizza la distribuzione e i cartelloni hanno meno titoli. Io sono riuscito ad avere una bella tournée, ma ci sono intere regioni d’Italia in cui non riesco a mettere piede, nemmeno a Roma.
MM: E del Creberg cosa mi dice?
MP: È enorme e quindi bisogna arrivare fino alle ultime file. Fra le strutture di quel tipo è al top, ce ne sono al massimo altre due in Italia così curate.