«I cuori battono nelle uova» si sviluppa intorno a tre donne in attesa del loro primo figlio. I loro corpi, avvolti in lunghi camici che celano ogni forma tranne le pance piene e tonde, rappresentano le uova, simboli di forza e fragilità. Muovendosi con amore cieco, queste donne si immergono in azioni, paure e dinamiche oscure, delineando un viaggio nel lato più buio dell’animo umano. L’amore disperato, il vuoto incolmabile, l’esplosione di gioia si intrecciano in uno spettacolo che celebra la vita.
Les Moustaches , nati a Bergamo come compagnia teatrale under 30 e già vincitrice di festival italiani e internazionali, presentano il loro nuovo spettacolo. La regia è di Ludovica D’Auria e Alberto Fumagalli, in scena Elena Ferri, Matilda Farrington e Grazia Nazzaro. Le scene e le luci sono di Eleonora Rodigari, il movimento scenico di Alberto Bellandi, Tommaso Ferrero è assistente alla regia. La produzione è di Società per Attori e Accademia Perduta Romagna Teatri.
La messinscena è alimentata da tre elementi chiave: il corpo, la luce, e il ritmo. Tre corpi gravidi dominano lo spazio, definendolo e trasformandolo. La scenografia è un’estensione delle pance, che crea una visione circolare infinita, simbolo del ciclo di vita. La luce si fa punto di connessione tra sogno e incubo, mentre il ritmo del cuore guida la creazione scenica. La drammaturgia delinea con maggiore teatralità lo stile de Les Moustaches, inserendo le parole in un pentagramma drammaturgico. Parole dense e poetiche, che contribuiscono a un racconto variegato, tra il ferocemente diretto e il fiabesco.
L’appuntamento è per giovedì 14 dicembre, con inizio alle 21 presso il TNT-Teatro Nuovo Treviglio, la sala programmata da Teatro de Gli Incamminati per incarico del Comune (Piazza Garibaldi 7). Per informazioni sui biglietti, contattare [email protected] o visitare il sito.
A presentarci il progetto sono i due registi: Ludovica D’Auria e Alberto Fumagalli.
CD: Questo nuovo lavoro segue i vostri precedenti: «Il Giovane Riccardo», «L’ombra lunga del nano» e «La difficilissima storia della vita di Ciccio Speranza». Come siete arrivati qui?
AF: Il nostro primo spettacolo effettivo, intitolato «Il Giovane Riccardo», ha segnato l’inizio del nostro percorso nel mondo teatrale, posizionandoci gradualmente nel mercato grazie alle vittorie in alcuni festival e alla partecipazione a bandi. Questa rappresentazione è stata una rilettura di «Riccardo III», affrontata con una prospettiva adolescenziale unica. La compagnia è formata da cinque persone, ognuno di noi ha intrapreso un percorso di specializzazione accademica: alcuni si sono dedicati a drammaturgia, regia e recitazione, come nel caso mio e di Ludovica. Altri, come Giulio Morini, hanno focalizzato la loro professionalità nei costumi e nella direzione di scena. Tommaso Ferrero è aiuto regia nella parte teatrale, oltre a essere responsabile del reparto audiovisivo. Infine, Pietro Morbelli si occupa dell’organizzazione. Dopo il successo ottenuto con «Il Giovane Riccardo» nel 2019, la compagnia ha consolidato la sua presenza artistica con «La difficilissima storia della vita di Ciccio Speranza». Questo spettacolo è diventato un piccolo cult, superando abbondantemente le cento repliche e incarna perfettamente la nostra cifra stilistica distintiva.
LD: Siamo estremamente lieti e orgogliosi che la compagnia, all’interno del panorama teatrale italiano, abbia ottenuto un notevole successo nel far circolare uno spettacolo. In un contesto in cui molte produzioni teatrali debuttano e si esauriscono quasi simultaneamente, questo risultato rappresenta per noi motivo di grande soddisfazione.
CD: Secondo voi perché? Cosa avete creato di speciale?
LD: Esiste un discorso di natura artistica, poiché stiamo trattando una storia, ossia un’idea che si estende attraverso il pubblico, riuscendo a coinvolgere ed emozionare in modo trasversale. Inoltre, come compagnia, abbiamo partecipato attivamente a numerosi festival dedicati al pubblico under 35, ricevendo riconoscimenti che hanno significativamente incrementato la nostra visibilità. Certamente, abbiamo beneficiato del sostegno di partner produttivi che hanno creduto in noi e ci hanno supportato nella promozione e diffusione dello spettacolo. In risposta alla tua domanda su quale sia la nostra peculiarità, direi che consiste nel fatto che, se avessimo ceduto ai nostri personalismi, la nostra esistenza come gruppo non sarebbe durata più di un giorno.
AF: Un altro aspetto rilevante è la resistenza del gruppo, il costante impegno quotidiano nei confronti del nostro mestiere e della compagnia. Pertanto, per me, la resistenza è rappresentata dall’intero percorso, un cammino che include anche sfide difficili e “porte in faccia” che ci siamo trovati ad affrontare.
CD: All’inizio parlavamo di cifra stilistica, vi sentite di averne una o siete in esplorazione? E se l’avete, in che cosa si caratterizza?
AF: Attualmente, ritengo che la nostra identità artistica sia abbastanza chiara, sebbene non lo fosse fino a poco tempo fa. Nel processo di semina interno alla compagnia abbiamo cercato di comprenderci reciprocamente dal punto di vista dell’espressione. Pur adottando approcci diversi, la nostra cifra è sempre stata presente, costituendo un filo conduttore in tutte le nostre creazioni e spettacoli. Dall’esordio fino al più recente lavoro, il nostro stile distintivo si mantiene costante, nonostante gli spettacoli siano pietanze diverse.
CD: Pietanze diverse con un ingrediente comune?
AF: Sì, la scrittura è determinante: con ciò intendo la drammaturgia e la sperimentazione linguistica. Abbiamo cercato di plasmare un linguaggio che trovasse la sua dimora, la sua vitalità e la sua esaltazione esclusivamente sul palcoscenico, che potesse abitare in modo privilegiato all’interno della scatola teatrale come forma d’espressione. Questo linguaggio è un elemento magico che rappresenta il nostro sforzo di superare un’immagine e un’espressione strettamente ancorate alla realtà, introducendo un ingrediente estraneo.
CD: Come sviluppate il processo di scrittura e come è stato, nello specifico, per quest’ultima produzione?
LD: La peculiarità distintiva dei nostri spettacoli risiede nel non partire mai da un tema che intendiamo affrontare. È quasi il contrario: nascono immagini delle quali ci innamoriamo, che danno vita a lunghi brainstorming, conversazioni e confronti. L’aspetto autoriale è collettivo, con cinque menti che contribuiscono al processo creativo. Dalle immagini nascono storie. Il nostro interesse per l’immagine delle donne incinte ci ha portato a esplorare la connessione con la condizione della gravidanza. Abbiamo condotto uno studio approfondito e intervistato donne gravide o neo-mamme e abbiamo esplorato la trasformazione del corpo femminile, che ha rivelato aspetti sia tragici che comici.
AF: La gravidanza rappresenta veramente uno stadio, uno stato che si discosta quasi completamente dall’umanità. La donna gravida è quasi una creatura mitologica nel senso più romantico, erotico, interessante e narrativo del termine. È una creatura che come un serpente sta cambiando pelle e sta donando la vita, che si trova ad essere sempre un passo avanti rispetto alla morte. Questo è stato il motore, il motivo che ci ha permesso di sviluppare i tre profili che, a differenza dei nostri precedenti spettacoli, non raccontano una sola storia, ma più di una. È uno spettacolo che ha un carattere universale, perché tramite quest’immagine della gravidanza, della vita che contiene vita, cerchiamo di raccontare ciò che riguarda tutte e tutti.
CD: In scena Elena Ferri, Matilda Farrington, e Grazia Nazzaro: non sono attrici interne alla compagnia, giusto?
LD&AF: Scegliamo gli attori per ogni spettacolo attraverso provini. Per noi è molto importante cercare gli interpreti più adatti a raccontare ogni nuova storia. Conduciamo provini nazionali, come recentemente accaduto per «I cuori battono nelle uova», con l’obiettivo di trovare attori e attrici che possano veramente incarnare e comunicare al meglio la narrazione.