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#fuoricasa: Matteo Marchesi, quando la danza è un mezzo d’esplorazione

Intervista. Bergamasco nato nel 1987, cresciuto con una formazione scientifica, ha scoperto il mondo della danza in età adulta. Oggi è performer e coreografo e tiene laboratori con adolescenti in tutta Italia

Lettura 4 min.
Matteo Marchesi

#fuoricasa non significa soltanto trovarsi in un luogo lontano dalle proprie radici. A volte, spostarsi è allegoria del continuare a cercare nuove domande che siano in grado di distruggere i confini, attraverso la mescolanza di esperienze e la messa in discussione delle proprie certezze. Per fare questo, è necessario riconoscere i limiti naturali del proprio sentiero e individuare nuove traiettorie possibili.

Dopo gli studi di danza e di scenografia e costume a Brera, Matteo ha continuato il personale percorso di ricerca con grandi nomi della danza contemporanea. Oggi, lavora come performer per Silvia Gribaudi e sviluppa progetti multidisciplinari di cui la danza è il perno. I laboratori e i progetti con la comunità sono parte fondante del suo processo artistico.

CD: Come e quando ti sei avvicinato alla danza?

MM: Ho iniziato a studiare a ventuno anni in un’accademia milanese, l’approccio era basato su diverse discipline, dalla danza classica alla contemporanea. Essendomi avvicinato tardi al mondo della danza, non avevo aspettative troppo alte riguardo alla mia ammissione, invece andò bene, così ho iniziato a danzare, parallelamente agli studi di scenografia all’Accademia di Brera. Ho sempre provato un forte interesse per la scena artistica in generale, sebbene io provenga da una famiglia con carriere scientifiche, e in un certo momento si è resa chiara in me la volontà di dedicarmi alla danza. Sono fortunato perché ho un corpo ben predisposto all’adattamento e al lavoro fisico, questo mi ha permesso di poter studiare molto senza rischiare di farmi male.

CD: Quindi non è vero il mito che per essere danzatori professionisti bisogna iniziare da bambini?

MM: No, anzi, approcciandosi in età adulta, è diverso il rapporto che si ha con le prospettive personali e la gestione della concorrenza. Vivi le audizioni con una mentalità più serena e con più consapevolezza. Quando passi dalla dimensione amatoriale a quella professionale, è fondamentale trovare la propria strada, e dopo il percorso di studi sapevo di volermi dedicare al metodo contemporaneo. Non mi sentivo ancora pronto per lavorare, così ho scelto di approfondire la mia formazione attraverso workshop con artisti il cui metodo mi interessava. Da lì in poi hanno iniziato a concretizzarsi opportunità di lavoro e ho iniziato a “girare”.

CD: C’è un luogo in cui torni?

MM: Sto per trasferirmi tra i boschi in Piemonte. Amo le valli del biellese, sono molto legato a quelle zone per motivi artistici e personali. Ci arrivai per caso la prima volta grazie ad una compagnia di danzatori che credevo non avrei mai incontrato, tra i quali Roberta Mosca e Cora Bos-Kroese, ex danzatrici della The Forsythe Company e del Nederlands Dans Theater. Organizzavano un piccolo festival nei boschi, si viveva ospiti di persone nei borghi e nei dieci giorni la piccola comunità artistica creava performance da restituire al pubblico durante gli ultimi due giorni. Grazie a questa occasione, ho avuto la possibilità di confrontarmi con situazioni che probabilmente non mi sarebbero mai capitate, dal metodo alle pratiche artistiche partecipate. Dopo quella esperienza, sono stato quasi “adottato” dalle persone della valle e lì ha iniziato ad essere per me una famiglia e un posto da chiamare casa.

CD: Sei uno delle tre “Graces”, spettacolo di indagine e leggerezza della performer e coreografa Silvia Gribaudi, a cui il pubblico bergamasco è molto affezionato. Come vi siete avvicinati?

MM: Ho conosciuto Silvia Gribaudi collaborando per Orlando Festival a Bergamo, poi in una residenza con Qui e Ora Residenza Teatrale ad Arcene. Inizialmente mi ha proposto di partire con lei per una residenza artistica in Svezia, contemporaneamente il progetto si è aperto anche a Siro Guglielmi e Andrea Rampazzo. Il team si è creato su basi intuitive e non per audizione, una parte importate del lavoro sta nella condivisione che abbiamo sempre cercato durante il periodo di costruzione. Il linguaggio sull’ironia, poi, quando è specificatamente concentrato sulla comicità, ha tecniche ben precise e molto complesse.

CD: Hai lavorato anche a produzioni tue?

MM: “Bob” è la mia prima creazione, con la quale sono entrato a far parte di Zebra come artista associato, l’associazione culturale a struttura sociale condivisa fondata da Chiara Frigo, Silvia Gribaudi e Giuliana Urciuoli. La produzione è nata riflettendo come ciò che è “mostruoso”, fuori norma, sbagliato, fuori posto, possa essere un veicolo per aprire un’esplorazione di valore, allontanandosi da ciò che corrisponde ad un qualsiasi canone del bello.

CD: Un modo di fare danza che parte sempre dalla ricerca e dall’esplorazione. Sei impegnato in altri progetti in questo senso?

MM: Durante il periodo pandemico, sono stato contattato dal Network Anticorpi XL, la prima rete italiana dedicata alla giovane danza d’autore. Un network di operatori e operatrici in tutta Italia che condividono l’ideazione e l’attuazione di azioni, attraverso la messa in rete delle risorse di ciascun partner. Faccio parte della sezione “Collaboration Kids”, dove lavoro con i minori, data l’esperienza passata per la creazione di “Bob”, performance pensata per un pubblico generico, ma nata lavorando e confrontandomi per due anni con bambini e bambine dai sei ai dieci anni.

CD: Come è andata?

MM: Avevo bisogno di raccogliere immaginari e suggestioni che arrivassero da loro, di portare in scena qualcosa che non fosse semplicemente legato alla mia esperienza personale, o alla mia prospettiva. Volevo che la danza fosse uno strumento per incanalare e dare corpo a storie collettive. Ora, sempre tramite Anticorpi XL, sto lavorando ad azioni con adolescenti su tutto il territorio nazionale, on-line e in presenza, anche in vista della prossima produzione. Non si tratta di laboratori didattici, ma di veri e propri laboratori di ricerca per mezzo della danza.

CD: Progetti per il futuro?

MM: Spero di poter portare avanti a lungo la collaborazione con Silvia Gribaudi, anche come artista associato di Zebra, realtà dentro la quale mi sento sempre più strutturato. È una collaborazione che mista dando molto sia sul piano lavorativo, che su quello artistico. Inoltre, vorrei riuscire ad avviare il nuovo progetto che sta nascendo tramite la collaborazione con “Collaboration Kids”, ancora interamente da costruire. Infine, ma non per ultimo, le progettualità sul biellese, dove sto prendendo casa e vorrei capire come i processi della danza e del lavoro artistico possano essere uno strumento per far emergere il valore del territorio.

CD: Cosa pensi a proposito del panorama della danza a Bergamo? Come è stata la tua esperienza?

MM: Per me è stato decisamente sorprendente. Sono cresciuto in un contesto in cui avevo grosse difficoltà a stare quando ero bambino o ragazzino, a causa della spinta che ho sempre avuto verso l’esplorazione oltre i confini, e le cornici del contesto bergamasco possono risultare molto rigide e cristallizzate. Da quando ho incontrato il Festival Orlando in diversi modi, prima come volontario e poi come artista, ho avuto la sensazione che qualcosa stesse effettivamente cambiando all’interno della città e questo è dovuto anche grazie ad alcune persone che hanno scelto di restare e continuare a lavorare sul territorio. Grazie a realtà come Orlando e Danza Estate, le proposte che arrivano al pubblico sono sempre un po’ più rischiose e il pubblico ha la possibilità di confrontarsi con qualcosa che va oltre a ciò che già conosce. Questo è indubbiamente frutto di condizioni di fiducia basate sul tempo e sulla qualità del rapporto con le persone.

Pagina Matteo Marchesi sul sito Cantieridanza

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