Luca Doninelli è scrittore, drammaturgo, giornalista, accademico e tra i fondatori della compagnia teatrale nata nel 1983 su iniziativa di Giovanni Testori, il Teatro de Gli Incamminati di Milano, che insieme a «deSidera» continua a perseguire l’obiettivo originario «di uomini in cammino verso la fondazione di una forma teatrale dell’oggi», nelle parole dello stesso Testori. Doninelli è attualmente direttore artistico degli Incamminati.
MR: Come nasce la collaborazione con «deSidera»?
LD: Ho conosciuto Gabriele Allevi nel Duemila in occasione del Giubileo, ero stato coinvolto per scrivere il testo di un’opera. Ci fu subito una certa simpatia e così decidemmo di fondare un festival in memoria di Benvenuto Cuminetti, che era mancato da poco. Cuminetti era un personaggio importantissimo, non solo per il teatro bergamasco ma per il teatro italiano, uno dei pochi che sapevano veramente cos’è il teatro e come si fa. Io e Gabriele facemmo i direttori artistici insieme. Oggi, «deSidera» è soprattutto lui, io resto come consulente artistico nella composizione del cartellone, nell’immaginare un po’ l’idea in generale della stagione. Sono due attività separate quelle di Teatro de Gli Incamminati e «deSidera», ma c’è un forte legame: è una storia che nasce dall’incontro di Giovanni Testori con alcuni ragazzi, tra cui c’ero anche io. Il resto è una dilatazione di questa cosa. E ha portato anche all’incontro con “Giacomino” Poretti.
MR: «Lazzaro o della memoria» è una nuova produzione 2022. Di cosa si tratta?
LD: Tutti gli anni – o quasi tutti – facciamo una cosa a Sant’Alessandro in Colonna. La questione della Bibbia e della scrittura è sempre stata un po’ una mia fissazione. Mi spiego. Uno scrittore delle generazioni passate, anche ateo, conosceva la Bibbia: Samuel Beckett, James Joyce, la conoscevano a memoria. Tutte le loro opere sono piene di riferimenti. Proust la conosceva benissimo, così come Graham Greene, Ungaretti, Mario Luzi. A quel tempo, era chiaro che le nostre radici culturali erano da una parte Grecia e Roma e dall’altra la cultura giudaico-cristiana. A un certo punto, questa seconda è scomparsa, completamente: uno scrittore di oggi della Bibbia non sa più niente, e quindi non sa più nemmeno leggere gli autori del passato. Dal nostro romanzo di formazione è come scomparsa questa roba.
MR: Da qui un “soggetto biblico” all’anno?
LD: Mi sono occupato di Giuda, di Elia, e di tanti altri. E per quest’anno mi piaceva l’idea del rapporto tra le sorelle e il fratello che si è cementato attraverso Cristo. All’inizio Marta è una molto sbrigativa, dopo invece è quella che va da Gesù che gli dice “io sono la resurrezione e la vita”. E io immagino – perché c’è anche dell’immaginazione nel testo – che quando Lazzaro muore la seconda volta, quando muore e basta, c’è lì Marta che dà il cambio a Maria e raccoglie la testimonianza, perché nel momento della morte Lazzaro ha un fiotto di memoria e ricorda quando è morto la prima volta. E così racconta la sua resurrezione dalla parte del morto: «Dicevano che puzzavo ma io sentivo solo profumo, e quando io ho sentito chiamare non volevo andare». Racconta anche la fatica della resurrezione. Ed è questa sorella – Marta – che dopo aver lasciato la mano del fratello morto va da Maria a svegliarla e le racconta questa cosa con il dolore per la perdita del fratello, ma come fosse anche un inizio di una gioia nuova, come a dire: non siamo soli neanche nella morte. L’idea mia era un po’ questa, poi non so se sono riuscito a renderla.
MR: Fede e memoria sono due categorie cardine di questo episodio: come dialogano?
LD: La memoria è un contenuto della fede. La fede è, come dicono i salmi, «non dimenticare i benefici ricevuti» o come si dice nell’Angelus, «Signore, noi siamo certi che tu hai cominciato con un’opera che prima o poi finirà». Perché al giorno d’oggi è molto facile anche per un uomo di fede dire «Sì, ho fede, ma potrebbe essere la rovina lo stesso». Ci siamo circondati da un disastro e diciamo che allora Dio ci ha lasciati soli, ci ha presi e ci ha mollati. E allora vuole esserci anche l’idea che Gesù Cristo non ci molla.
MR: Eppure mi pare importante anche un’accezione laica, civile, non teologica della memoria, della testimonianza. Penso a Primo Levi. In fondo, se la memoria è conoscenza, la conoscenza non è un atto di fede.
LD: Primo Levi lo amo e lo stimo enormemente. Anche lui ha testimoniato il valore della memoria, come Bonhoeffer e altri. La memoria però è uno dei temi fondamentali della fede cristiana. Come fai ad avere fede se non per una memoria grata di qualcosa che ti è successo, di un dio che hai incontrato, di un dio che ti è venuto in soccorso? Personalmente non riuscirei a scindere fede e memoria: la memoria è un contenuto fondamentale della fede, senza memoria non c’è la gratitudine. Teniamo conto anche che il grande poeta della memoria del ventesimo secolo – Marcel Proust – concepisce la sua opera ascoltando delle lezioni che Henri Bergson teneva su Sant’Agostino, perché il grande genio della memoria è Sant’Agostino. La fede è un incontro certamente, ma è anche il trattenere questo incontro come il fondamento dei tuoi giorni. Mi ricordo che Don Giussani faceva questo esempio, diceva: «Se il mondo fosse completamente ricoperto da uno strato impenetrabile di nuvole, per cui non sappiamo se il sole c’è o no – naturalmente è un’ipotesi – e ci fosse un vecchio che si ricorda di aver sentito dire da suo nonno che una volta si sono squarciate queste nuvole ed è penetrato un raggio di sole, già solo per questo il mio modo di stare di fronte a queste nuvole non è più lo stesso». Memoria e testimonianza.
MR: Lo spettacolo sarà un monologo dell’attrice Anna Della Rosa, con un accompagnamento musicale...
LD: È il racconto che Marta fa a Maria, dove riporta le parole del fratello prima della morte. L’attrice è molto brava, voglio vedere un po’ cosa farà lei perché il risultato è quello che si vede dalla voce di qualcuno, e qui c’è un’attrice fenomenale. Io l’ho sentita fare cose quasi impossibili. Quindi vediamo un po’ cosa farà, perché è l’attore che ti modifica il senso di un testo, lo attualizza, gli dà corpo. Quando si scrive per il teatro si scrive sempre un testo non definitivo.