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«E io cosa c’entro?» si chiede il Bepi a «deSidera Bergamo Festival»

Intervista. Il nuovo spettacolo di e con Tiziano Incani, un “dialogo semiserio con Maria”, debutterà lunedì 5 agosto alle 21.15 al Santuario San Donato di Osio Sotto. Tra momenti di intensa riflessione e altri più leggeri e ilari, il Bepi darà voce in modo del tutto originale alle grandi domande dell’uomo – non necessariamente di fede

Lettura 5 min.
Tiziano Incani e Valerio Baggio

Sono trascorsi diversi giorni di sole, ma quando ci sentiamo al telefono a Bergamo ha cominciato a diluviare. «Ho questo potere taumaturgico di far piovere ovunque io vada» è la prima cosa che mi dice ridendo Tiziano Incani. Tra le caratteristiche del Bepi – questo il nome con cui il poliedrico artista di Rovetta è noto a tutti, o quasi, sul territorio orobico – c’è di certo la schiettezza. La lucidità di un uomo che sa di essere conosciuto e apprezzato da buona parte della gente per il suo lato più goliardico, più ruvido, nostrano, ma al tempo stesso di poter offrire molto altro. Di essere molto altro. «Non sono mai felice nel momento in cui mi accorgo di aver toccato un punto d’arrivo. Mi sta stretto tutto» rivela.

Che a Tiziano Incani piacciano le sfide, soprattutto quelle che all’età di cinquant’anni gli consentono di (ri)scoprirsi e misurarsi in ruoli nuovi, lo hanno ben compreso gli organizzatori di «deSidera Bergamo Festival». A lui, non credente o forse poco («non ho mai capito la differenza tra ateo e agnostico – confida – Non penso che non ci sia proprio nulla, perché credere al nulla è terribile, è vivere senza una direzione»), è stato chiesto di provare a instaurare un dialogo semiserio con la Madonna.

Ne è nato uno spettacolo dall’evocativo titolo «E io cosa c’entro?», in scena lunedì 5 agosto alle 21.15 al Santuario di San Donato di Osio Sotto e mercoledì 4 settembre al Santuario della Cornabusa di Sant’Omobono Terme. Prodotta da deSidera / Teatro de Gli Incamminati, la rappresentazione alternerà momenti di profonda riflessione e smarrimento ad altri più leggeri, scene in lingua italiana a scene in dialetto bergamasco, che Incani conosce a livelli altissimi. Voce, chitarra e letture sono di Tiziano Incani; le tastiere invece di Valerio Baggio.

MM: Tiziano, partirei dal titolo dello spettacolo: «E io, cosa c’entro?». Tu cosa c’entri con Maria, con la fede?

TI: Non sono un uomo di fede. La prima domanda che mi sono fatta è stata proprio questa: perché affidare a una persona lontana da determinate convinzioni un viaggio che tra i tanti argomenti toccherà quello religioso, quello che ci fa chiedere perché siamo al mondo e cosa siamo al mondo a fare? Probabilmente hanno scelto me perché hanno colto in alcuni miei lavori quantomeno la curiosità di scandagliare gli argomenti, di non prendere una posizione netta, priva di sfumature: la capacità di farsi delle domande. Farsi delle domande è alla base di qualsiasi operazione intelligente. Certo, io l’ho messo in chiaro sin da subito: “Se voi chiedete al Bepi di dire la sua, il Bepi dirà la sua”, ovviamente in una maniera il più rispettosa possibile. In alcuni passaggi sarò provocatorio. Qualcuno potrebbe ritrovarsi, qualcuno invece infastidirsi.

MM: È una tua caratteristica, quella di non parlare per sentito dire, di essere te stesso. Quanto della tua esperienza personale porterai in scena?

TI: All’inizio mi avevano consigliato di staccarmi un po’ dall’autobiografia, il problema è che non so se ne sono capace. E quindi sì, di mio ci metto tanto, a volte anche in una maniera simpatica. Soprattutto, cerco di scegliere tutte quelle situazioni in cui qualcuno dall’altra parte potrebbe dire “anche io”, perché difficilmente, a parte forse un passaggio, racconto cose che sono mie e solo mie.

MM: Ci fai un esempio? Un episodio personale che racconterai e che sei sicuro riusciremo a condividere.

TI: C’è un momento, durante lo spettacolo, in cui racconterò la lotta che avviene settimanalmente nella mia baita. La lotta per far vivere i fiorellini viola, a discapito di quelli gialli che invece sembrano essere più forti e volerli soffocare. In questo episodio, che ognuno di noi vive nella propria casa nel momento in cui vuole una pianta oppure un’altra, c’è lo snodo principale dell’esistenza: che cosa è giusto e che cosa è buono? Perché non sempre ciò che è buono è anche giusto. Devo quindi continuare a battermi perché la piantina viola sopravviva ed estirpare la piantina gialla, oppure mi devo arrendere a una legge naturale che mi dice che la piantina gialla ha diritto di essere e la piantina viola no? Questa domanda può essere tranquillamente ricondotta a mille altre cose, più vicine alla dimensione umana.

MM: E il tema del sacro, in senso stretto, come lo affronti?

TI: Cerco un po’, durante lo spettacolo, di provocare sia i credenti che gli altri. E quando attacco gli altri mi riferisco a soventi mancanze di rispetto nei confronti delle forme di culto. Ancora oggi è considerato rock’n’roll offendere i simboli della religione cattolica, e lo dico da cantante rock’n’roll. Nel momento in cui i miei colleghi mancano di rispetto alla religione, credo si macchino solamente di cattivo gusto. Non sono più nemmeno provocatori. E allora lì tratto il tema del sacro legato a quei dogmi, a quella simbologia cattolica, che da un punto di vista soprattutto sociologico ha ancora la sua importanza, da noi.

MM: Come è costruito il dialogo, sul palco, tra te e Valerio Baggio alle tastiere?

TI: Vogliamo chiamarlo il dialogo? Chiamiamolo dialogo. In realtà la voce di Valerio Baggio sarà la sua tastiera. La nostra idea iniziale, molto vaga, è stata quella del Teatro Canzone di Gaber. Dal Teatro Canzone gaberiano abbiamo preso la formula con l’intervallo “monologo-canzone”, perché dopo un po’ che chiacchiero probabilmente, brillante che possa essere, annoio. E allora la canzone ci sta bene, va a legarsi a quello che ho appena detto e contemporaneamente rende lo spettacolo più variegato. Valerio è preziosissimo perché andrà a creare dei giochi di suoni che serviranno a enfatizzare i concetti che dico. Quando canterò io, invece, canterò in una maniera molto semplice dei pezzi assolutamente funzionali allo show. Le canzoni saranno pescate quasi tutte dal mio repertorio, con qualche sorpresina, che darà l’opportunità di vedere un Bepi diverso da quello che la maggior parte della gente vuole vedere. Il Bepi ridanciano, più scoppiettante, più rock, verrà lasciato un po’ da parte. Sarà finalmente l’occasione per chi apprezza l’altro Bepi di sentire qualcosa. Altrimenti la logica del mercato, che ti chiede sempre le stesse canzoni, ti stritola, diventa una prigione…

MM: Ti riferisci a questo, nella sinossi della rappresentazione, quando parli di «confessione di un giullare contemporaneo»? Al fatto che la gente conosca il Bepi quasi solo per il suo lato più “goliardico”?

TI: Qui tiriamo in causa, più in generale, l’ipocrisia della società occidentale, sempre pronta a santificare la star del momento, che sia un cantante, un attore o un qualsiasi lavoratore dello spettacolo, salvo poi tirarlo bruscamente giù nel momento in cui esce da quel ruolo. Era successo a Battiato nella sua breve esperienza politica: nonostante Battiato fosse il grandissimo, inarrivabile maestro, nel momento in cui non ha più voluto fare il cantante, ma qualcosa d’altro, ecco che allora, con cattiveria estrema, gli si è detto «smettila, sei un cantante».

MM: In che modo userai il dialetto bergamasco durante lo spettacolo?

TI: Dipenderà dall’uditorio che mi troverò davanti. Se mi accorgerò di avere davanti gente che non capisce il dialetto bergamasco, cercherò di limitarmi. Ma se avrò davanti un uditorio in grado di capire, perché no? È nella natura del Bepi aiutarsi col dialetto per far passare in maniera più efficace determinati concetti. Dovrò essere pronto a modificare il tutto in corsa.

MM: Quindi ci sarà anche tanta improvvisazione?

TI: È un mio marchio di fabbrica: scrivo un copione, ma poi devo assolutamente improvvisarlo. Il modo in cui sto parlando con te, probabilmente sarà lo stesso che userò durante lo spettacolo. Un modo fatto anche di titubanze, di incertezze, che farà sentire anche chi ascolta un vero interlocutore. Se parlo come un libro stampato, sembra tutto meno vero, meno sentito. Terrò il concetto scritto sul foglio di carta in scaletta, ma poi svilupperò quel concetto a Osio in un modo, e a Sant’Omobono in modo diverso… Dipenderà tutto da che aria si respirerà, dalla reazione del pubblico, dal fatto che possa essere più o meno incline alla comicità. Mi fanno ridere tutte quelle situazioni in cui ho le luci sugli spettatori, quindi vedo le loro facce. Ti dirò che, nonostante trent’anni di carriera, ci sono dei momenti ancora tutti da interpretare, per esempio quando il pubblico è completamente in silenzio. Se vedi lo sbadiglio è tutto chiaro, ma quando non vedi niente… è una cosa che mi manda in crisi. Non è un mestiere facile, insomma. Devi avere rispetto del pubblico, ma ricordarti sempre che in quel momento lì stai comandando tu. Ed è giusto così.

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