C’è una parola che è diventato rischioso pronunciare e scrivere, quando ci si riferisce a persone che creano e portano avanti progetti professionali, e questa parola è “giovani”. Il che non rende le cose facili, perché c’è di mezzo una questione anagrafica: ci si può chiedere se una persona quarantenne sia “diversamente giovane”, ma se uno ha 20 anni è giovane e basta. Purtroppo, però, parlare di imprenditoria, creatività, progettualità giovane significa troppo spesso adottare un tono paternalistico e associare l’aggettivo ad altri – grintoso, fresco, entusiasta – per dipingere un ritratto tristemente noto: che idee carine, ma sei giovane, spicca la tua inesperienza, difficile prenderti sul serio.
È per questo che intervistando Claudia Perossini, attrice e regista di Matrice Teatro , mi accorgo di cercare di evitare di pronunciare la parola “giovane”. Sembra essere diventato quasi sminuente, parlare di entusiasmo e passione, ma raccontandomi del collettivo teatrale di cui fa parte e di “Funambole” Claudia lo fa con la massima tranquillità e schiettezza. Così come parla con onestà e obiettività degli aspetti più tecnicamente professionali del suo mestiere. Ecco, questo non dovrebbe essere necessariamente definito “coraggio”.
“Il fatto che ‘Funambole’ sia una produzione indipendente ci riempie di soddisfazione da un punto di vista lavorativo”, afferma. “L’associazione ‘Altri Posti in Piedi’ ci ha sostenuti e abbiamo avuto un grosso supporto grazie al crowdfunding con ‘Produzioni dal basso’. Abbiamo avuto molta solidarietà, anche da persone che non conosciamo e che non c’entrano col mondo dello spettacolo. Troppe volte ci siamo sentiti dire cose come: ‘Voi giovani artisti state ad aspettare che qualcuno vi scopra’. Ecco, il punto è che abbiamo bisogno di qualcuno che creda in noi: possiamo essere inesperti e sprovveduti, ma sicuramente abbiamo un’energia enorme da investire nel nostro lavoro. Questo non viene spesso riconosciuto, ed è estremamente frustrante. Sicuramente è un periodo storico tremendo e anche colleghi più esperti fanno fatica. La nostra forza è sicuramente essere un gruppo”.
LD: Chi è Matrice Teatro?
CP: Siamo un collettivo di 7 attori e attrici, tutti tra i 23 e i 28 anni, e arriviamo da un percorso in Accademia, alla Galante Garrone di Bologna. Terminata la nostra formazione abbiamo deciso di provare a lavorare insieme, anche in sottogruppi. Il nostro primo lavoro arrivava da un progetto drammaturgico di un’amica, che è diventato “Una cosa bella”. In Accademia ci siamo formati sia a livello recitativo, sia a livello registico e drammaturgico, così per il secondo progetto ci siamo posti la sfida di scrivere un testo da zero. E così abbiamo ripescato alcuni semini che avevamo piantato durante la scuola con un lavoro fatto con il maestro César Brie, con cui avevamo lavorato sul racconto di alcune vicende personali della nostra infanzia, e in tre – io, Virginia Cimmino e Irene Papotti – abbiamo iniziato la stesura di un testo.
LD: Così è nato “Funambole”…
CP: Il primo passo che abbiamo fatto è stato rileggere insieme i nostri diari di infanzia e ci siamo accorte che emergevano degli elementi comuni sull’essere bambine, sul diventare donne. Così abbiamo deciso di lavorare sul femminile. Sono nati tre personaggi, Rita, Aurora e Giovanna, che rappresentano ciascuna alcuni aspetti tipici della femminilità: il riconoscersi come donna, il desiderio di crearsi un’indipendenza, l’insicurezza nel sentirsi indietro, in ritardo, sminuita, in una società che fatica a vedere una donna come vera protagonista della sua vita. Abbiamo ricollegato a questo lavoro drammaturgico il concetto dello spazio: da quando nasciamo ne occupiamo uno, all’interno della nostra famiglia, un secondo, quello che sgomitiamo per avere nell’adolescenza, e poi quello dell’età adulta, una sorta di sintesi dei primi due. In questi filoni narrativi, poi, sono confluite anche storie di altre donne. Vogliamo che chiunque ci veda possa dialogare con noi, ritrovarsi e indentificarsi nelle nostre storie.
LD: L’attualità ci parla molto di femminile, nuovi femminismi, sfide da affrontare, anche istituzionali e sociali. Questo vi ha ispirato?
CP: Siamo molto attente ai temi femministi, ma come primo lavoro volevamo parlare di quello che conosciamo personalmente. Quindi abbiamo messo in scena tutte quelle piccole storie che incarnano stereotipi e costrizioni che abbiamo vissuto noi stesse. Da noi abbiamo ampliato il nostro discorso ad altri, con una serie di interviste, partendo da persone che sicuramente avevano voglia di aprirsi con sincerità, quindi amici e persone vicine. Leggevamo alcuni brani del testo che stavamo scrivendo e chiedevamo quali spunti facessero venire in mente. Abbiamo scelto apposta anche persone di età diverse da noi, ad esempio i nostri padri e le nostre madri, e ci hanno colpito molto le reazioni. Abbiamo trovato molti punti di contatto. Ci ha stupite la trasversalità di certi temi rispetto alle generazioni; magari cambia il linguaggio, ma certe cose riemergono. Ad esempio abbiamo sentito questa frase: “Quand’ero piccolo volevo essere un genitore migliore di quello che sono stati i miei per me, ma non sempre ci sono riuscito”.
LD: Volete parlare a donne e a uomini. Come avete cercato una trasversalità da questo punto di vista?
CP: La domanda “A chi vogliamo parlare?” è stata una delle prime che ci siamo poste quando abbiamo iniziato a lavorare. La risposta è che vogliamo sicuramente parlare a ragazze e ragazzi della nostra età, ma anche ai nostri padri. In questo abbiamo avuto grosse difficoltà, ci siamo chieste se fossero pronti a sentirsi dire determinate cose. Quanto i nostri padri e le nostre madri influiscono sul nostro modo di occupare lo spazio? Noi crediamo molto in un punto fondamentale, e cioè l’auto-educazione degli uomini. Un passaggio che abbiamo fatto durante la scrittura è stato chiedere ai nostri colleghi uomini, raccontando o leggendo alcuni episodi, se si fossero sentiti presi in causa. La risposta è stata spesso: “Io lo so che questo problema esiste, ma non so cosa ci posso fare”. Ecco, per noi è importante far capire per prima cosa che sono questioni che riguardano tutti. Ma è un lungo processo, anche se la base di partenza è sicuramente l’empatia. Noi, comunque, vogliamo portare avanti questo progetto, che muove i primi passi con questa versione dello spettacolo.
LD: Cosa progettate di fare per sviluppare “Funambole”?
CP: Prima di tutto puntiamo a coinvolgere più figure a lavorare con noi. In questa versione di “Funambole” ci siamo avvalse della direzione artistica di Giulia Argenziano, scenografa e visual artist, e Beatrice Sancinelli, regista e produttrice, a cui poi si sono già aggiunti Francesco Bosio (come tecnico audio/luci) e Nicola Buttafuoco (produttore musicale e chitarrista dei Pinguini Tattici Nucleari), che ha composto le musiche. Vorremmo poi lavorare a livello tecnico e visual, magari con supporti tecnologici, sviluppando delle mostre espositive accanto allo spettacolo. E poi l’idea è continuare a manipolare il testo, integrandolo con altre esperienze e storie. È un progetto per cui siamo partite in poche, ma che vogliamo finire in tanti.
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