Sarebbe facile farsi prendere dal disincanto e dal cinismo dopo quanto è successo nei mesi scorsi e lasciare a riposo l’arte e la cultura per una specie di brutto anno sabbatico imposto. Invece, come dice Serge Latouche, dobbiamo reincantare il mondo, uscire dalla narrazione dominante – del denaro, del mercato e anche del virus – per tornare al nostro essere uomini, con tutto quello che ciò significa e che abbiamo sperimentato a causa del covid-19 e delle sue conseguenze esistenziali, sociali e psicologiche.
In questo senso l’edizione 2020 di deSidera Teatro Festival cade a puntino, con la sua indagine annuale – siamo arrivati ormai alla diciottesima edizione – sul sacro attraverso il teatro. Sacro è una parola che può avere diversi significati: certamente è quanto di più lontano ci sia dal disincanto e dal cinismo.
“Non possiamo permetterci di essere cinici” ci dice infatti Gabriele Allevi, direttore artistico di deSidera insieme a Luca Doninelli. Che con l’aiuto di Chiara Bettinelli e l’affiancamento di Giacomo Poretti sono riusciti anche quest’anno a costruire una rassegna di oltre trenta appuntamenti (qui tutti gli eventi) in luoghi di particolare bellezza a Bergamo e in provincia. Come sempre con grandi interpreti e storie da raccontare secondo l’essenza più vera del teatro: ovvero mettere in scena tante vicende umane “per sorridere, riflettere e tornar a guardar insieme le stelle” come auspica il comunicato di questa edizione “più che mai necessaria in un territorio flagellato dalla pandemia e che riprende a desiderare di ‘uscire per riveder le stelle’.
Con Allevi ripercorriamo la genesi di deSidera 2020, congiuntura dialogica di rispettive passioni fra organizzatori e territorio. “Come ogni anno a dicembre-gennaio avevamo iniziato a immaginare questa edizione. Poi sappiamo cosa è successo. Nella prima metà di maggio però ci siamo ritrovati con Chiara e Luca a ragionare se fosse il caso di fare anche quest’anno il festival. Allora abbiamo deciso di lanciare una bottiglia nel mare e scrivere una mail a tutte le realtà di Bergamo e provincia, allegando le proposte a cui fino a quel momento avevamo pensato”.
A inizio giugno la situazione nazionale cambia: per teatri e cinema è possibile riaprire dal 15 giugno, pur con tutte le precauzioni (e le regole) imposte dal Governo. “Nella seconda e terza settimana di giugno abbiamo cominciato a chiamare i comuni e la risposta è stata inaspettata. Io sono meravigliato: a parte i due appuntamenti al Lazzaretto (per Lazzaretto on stage, ndr) non avrei pensato di avere un programma così ampio”. A tal punto che, confessa Allevi, “abbiamo dovuto chiudere la programmazione perché siamo solo in tre sul campo e rischiavamo di non riuscire a seguire bene tutto. Gli anni scorsi avevamo fatto più date, ma non c’era tutte le norme di sicurezza che ci sono adesso”.
Il dialogo con il territorio, che riceve le proposte di deSidera e magari risponde con idee ulteriori, è una delle parti fondamentali del Festival. Per questo non c’è stato un grande bisogno di ricalibrare gli spettacoli sulle questioni conseguenti alla pandemia: “la creazione del calendario nasce dalle nostre proposte, di solito 20-25, e dalle esigenze dei comuni. Magari per una determinata ricorrenza o un’inaugurazione viene richiesto uno spettacolo preciso, come quest’anno per il santuario di San Donato a Osio Sotto o per la Prada di Mapello”.
Il risultato è un programma con una visione ampia del sacro, aperta anche ai non credenti poiché “ogni anno cerchiamo di parlare all’uomo. La dimensione del sacro è fare appello a ciò che ci rende veramente uomini. La giustizia, la bellezza e le grandi tematiche riguardanti il senso di esistere. Molti interpreti che vengono da noi non sono credenti. Però cercano qualcosa di più grande, perché non bastiamo mai a noi stessi, è una caratteristica dell’essere umano”.
“ViviAma deSidera” è il titolo di quest’anno, un trittico di verbi di grande suggestione. “Questo titolo è nato confrontandoci con l’agenzia di comunicazione con la quale stiamo lavorando, l’Acqua Group di Milano. Abbiamo descritto loro che cosa volevamo comunicare, cioè dare una spinta positiva in questo momento e distinguerci da altre proposte, perché noi facciamo un certo tipo di teatro. Loro ci hanno risposto con ViviAma deSidera. È un invito esplicito a non rinunciare a vivere, ma ad amare ciò che c’è e a desiderare ciò che ci sarà”.
In apertura del libretto di deSidera 2020 c’è una frase da “Capricci del destino” di Karen Blixen: “Dio non crea un desiderio o una speranza senza aver pronta una realtà che le esaudisca. Il nostro desiderio è la nostra certezza”. Rappresenta lo spirito di questa edizione, ma può essere adattata anche al Festival stesso e alla grande positiva passione di chi fa in modo che esista ancora. deSidera festeggerà diciotto anni il 14 luglio alla Corte del Castello di Cavernago con “Non siamo figli delle stelle”: sul palco il filosofo Silvano Petrosino e il pianista Bob Messini: “In questi diciotto anni deSidera è cambiato molto. Siamo nati all’interno della Fondazione Bernareggi, l’intento era prima di tutto valorizzare il patrimonio artistico e, diciamo così, era tutto più ‘confessionale’. Via via ci siamo allargati, spostandoci dal religioso al sacro e tenendo in considerazione anche temi come la memoria, l’ambiente e la donna. Poi è cresciuto anche il dialogo con i comuni e le associazioni, che ogni anno colorano sempre di più il Festival”.
E si è allargato anche il pubblico: “i primi anni capitava di essere in dieci, l’anno scorso mai meno di duecento persone. Siamo arrivati fino a seicento, stipando le piazze. Sono aumentati d’importanza anche i nomi coinvolti. Quest’anno ad esempio ci sono Popolizio, Poretti, Donadoni”.
In programma c’è anche un omaggio a Benvenuto Cuminetti nel ventennale della sua scomparsa, con la messa in scena di “Partage du Midi” di Paul Claudel. “Uno dei desideri che Benvenuto non è riuscito a realizzare. Sarà una produzione nostra, quindi uno sforzo importante. Personalmente devo molto a Cuminetti, ho letto i suoi libri, ho imparato tanto da lui, anche lavorandoci insieme. Senza la sua figura il teatro a Bergamo non sarebbe com’è: dal suo sforzo sono nate compagnie, programmazioni. Molte realtà teatrali nazionali e internazionali hanno esordito grazie al suo interesse. È stata una persona fondamentale e amaramente devo dire che fino ad oggi non gli è stata data la dovuta riconoscenza”.
Scorrendo il programma, è difficile tralasciare due battute sulla versione per voce sola de “I giganti della montagna” di Pirandello. Protagonista del testo è una compagnia di attori ridotta allo stremo, che è sopravvissuta solo per rappresentare l’opera “La Favola del Figlio Cambiato”, che la gente non comprende ma a cui la primattrice ha immolato la propria esistenza. Alla fine il gruppo di attori propone la recita ai Giganti, abitanti della montagna vicina, simbolo degli invisibili padroni del mondo che manipolano masse acritiche e corrotte al punto da non riconoscere più la bellezza e la poesia fino ad ucciderla, ebbri di vino e furenti d’ira.
Una storia con un sentore di distopia e parecchi riferimenti alla situazione attuale del teatro: “Non è casuale la presenza in cartellone di questo spettacolo. È una proposta emersa dal dialogo con le amministrazioni. Valentina Banci stava cercando un luogo dove mettere in scena questo nuovo lavoro. L’ha trovato in deSidera. Per l’arte e il teatro questo è un momento grigio, deve sopravvivere con i mezzi che ha. Ma ci sono possibilità e speranze, persone che amano e desiderano come gli amministratori di Ponteranica che ospiteranno i Giganti”. Insomma non è tutto finito, anzi: forse, grazie a Festival come deSidera, è proprio questo il momento di “uscire per riveder le stelle”.