C’è questa frase di Beckett in “Aspettando Godot”, pronunciata da Vladimiro, uno dei protagonisti dell’opera, che riassume perfettamente lo spirito dei trent’anni di Erbamil – non a caso la si trova nel libretto di presentazione dei prossimi spettacoli. “Come passa presto il tempo quando ci si diverte” e in fondo è vero, quantomeno se divertirsi significa fare coincidere le aspirazioni personali con il proprio lavoro. Una fortuna – non priva di rischi e fatiche – per chi ci riesce. Così, almeno a sentirlo parlare, è accaduto a Fabio Comana, che della compagnia-teatro di Ponteranica è il direttore artistico. Il 18 gennaio, dopo l’anteprima di novembre con Claudia Contin Arlecchino, Erbamil avvierà una stagione di festa per i trent’anni di teatro, con un serie di spettacoli che in qualche modo riassumono la storia e le intenzioni di una delle realtà culturali storiche di Bergamo. Ne abbiamo parlato proprio con Comana.
LB: Caro Fabio, prima di tutto auguri!
FC: Grazie, trent’anni sono tanti ed è bello essere ancora qui.
LB: Riesce a riassumerceli in una parola?
FC: Una parola è difficile, sono tre decenni in cui sono cambiate molte cose, anche se lo spirito è sempre lo stesso. Ne uso due: resistenza e leggerezza. Resistenza come costanza nell’offrire una proposta teatrale alternativa ai grandi teatri bergamaschi, il Donizetti prima di tutto. Siamo nati come il primo spazio teatrale alternativo della provincia. Leggerezza perché è il nostro linguaggio. Che non significa esclusivamente fare degli spettacoli comici, anche se questa è una delle nostre caratteristiche, ma pure essere popolari e quindi riuscire in questo molto a fare passare dei contenuti impegnati civilmente, anche drammatici.
LB: Vi divertite, e ci tenete a dirlo.
FC: È il nostro atteggiamento. C’è una frase che dice come per poter divertire il pubblico deve divertirsi anche chi organizza. Divertirsi significa essere vitali, presenti, vivi e innovatori. Il teatro è sempre diverso, anche replica dopo replica. Se chi lo fa non trova piacere nel farlo, difficilmente il pubblico amerà quello che stiamo facendo. Divertirsi significa anche la risata del comico, ma non solo, pure altre emozioni sono divertenti, comprese quelle più intense o drammatiche.
LB: Come è cambiato il pubblico in trent’anni?
FC: Non è facile rispondere. Il nostro pubblico è molto vario, ci sono persone presenti da sempre, che magari non vengono a tutti gli spettacoli ma un occhio a quel che facciamo lo danno sempre. Poi abbiamo una parte di pubblico che si è avvicinata al teatro in virtù delle proposte che abbiamo fatto. I primi dieci anni sono stati la storia della compagnia che si identificava con il teatro, poi il teatro e la compagnia si sono staccati, hanno raggiunto una loro autonomia. E il pubblico ha seguito la nostra programmazione, arrivando fino a quello di oggi che è formato anche da giovani che non ci conoscevano e ci hanno scoperto. È un buon segno.
LB: Se ci sono giovani in platea significa che dopo trent’anni Erbamil ha un futuro, non è poco.
FC: Arrivati a questo punto, in cui Erbamil ha trent’anni ma anche noi abbiamo trent’anni di più, si pone una questione di eredità, di come andremo avanti. C’è un futuro da scrivere e siamo in una fase di transizione, ma non siamo pessimisti. Ci sarà qualcun altro a posto nostro a festeggiare il sessantesimo.
LB: Veniamo agli spettacoli, si parte il 18 gennaio con Antonio Catalano e il suo “Mi arrendo alle fragole”, seguito il giorno dopo dal workshop “Ammalarsi di meraviglia”…
FC: C’è un rapporto di trent’anni con lui, perché nel 1990 fu il primo artista che venne a Ponteranica. Tra l’altro fummo costretti a organizzare una seconda replica fuori programma per la grande richiesta del pubblico,. Fu un battesimo straordinario che ci tiene legati, quindi abbiamo voluto aprire con lui riecheggiando ciò che accadde nel 1990. Dal punto di vista artistico Antonio è uno dei nostri maestri, la leggerezza di cui parlavo prima è anche la sua, di attore straordinariamente capace, di intrattenitore nel senso più nobile del termine. Un uomo che sa essere comico e poetico, facendo ridere e commuovere. A guidarlo è la meraviglia per le piccole cose, un qualcosa che in lui vale per la vita e per il teatro.
LB: “Dentro un guscio di noce”, con lei protagonista insieme a Simone e Thomas Pagani, affronta il 26 gennaio la questione dell’Olocausto e delle menzogne come arma politica. Un tema molto attuale.
FC: È uno spettacolo drammatico ma non angosciante, c’è un approccio di leggerezza anche qui, cioè la volontà di volere raccontare una storia per tutti. L’ispirazione viene da un romanzo di Matteo Corradini, “La Repubblica delle Farfalle”, che racconta l’esperienza dei ragazzi di Terezín. Una città, oggi in Repubblica Ceca, che durante la Seconda guerra mondiale diventò un campo di raccolta degli ebrei destinati allo sterminio. Nel raccontare tutto questo ci siamo resi conto di quanto peso ha avuto la falsa propaganda nazista. Un fatto che può ripetersi ancora, data la mole di fake news da cui siamo investiti.
LB: Il 15 febbraio invece, con “Foreign” accettate la sfida di ridere sul tema scottante della migrazione…
FC: È uno spettacolo promosso da Carlo Rossi, un nostro storico collega, ospite da noi per tanti anni con la Filarmonica Clown. Lui si è formato come clown, un clown che sa parlare del presente. Quindi nello spettacolo, attraverso la messa in scena di un film che non si riesce a fare, ci sono parecchie risate. Ma come recita il sottotitolo della nostra rassegna “ridere è una cosa seria”. Al centro di ciò per cui si ride ci sono gli stereotipi tipici del razzismo, la paura del perdere il posto di lavoro, la sicurezza. Nella parte finale dello spettacolo poi la storia dell’immigrato protagonista diventa reale e ti rendi conto di quello che veramente è oggi la migrazione.
LB: Il 29 febbraio torna Marcello Magni, uno degli attori di fiducia di Peter Brook, che nel 1991 con lei firmò il primo successo della vostra compagnia, “Vuoti a rendere”…
FC: Sì, e ancora prima nel 1988 uno spettacolo che ha dato la spinta ad Erbamil. Due cose ci legano a lui. La prima è che viene dal nostro stesso ambiente, quello del teatro a Bergamo negli anni Ottanta. La seconda è che in qualche modo Erbamil è nato con lui e anche se ha fatto un lungo percorso fuori da Bergamo, sino ad arrivare a Londra, ci ha sempre seguiti, siamo rimasti in contatto. Siamo contenti che torni nel nostro teatro proprio quest’anno e ancora di più perché rimarrà con noi una settimana per fare uno stage con attori professionisti di Bergamo.
LB: Oltre agli spettacoli ci sono anche una mostra di fotografie e materiali promozionali d’epoca, insieme a un laboratorio gratuito sulla comicità tenuto da lei e rivolto ai giovani dai 18 ai 25 anni.
FC: L’idea è semplice: vorremmo che chi entra a teatro approfittando di questa celebrazione abbia subito un’impressione di questi trent’anni. Abbiamo selezionato le immagini di una trentina di artisti significativi e altri finiranno in un libro che si troverà all’ingresso. L’idea del laboratorio rientra nell’eredità di cui dicevamo. Una delle caratteristiche di Erbamil è l’attenzione all’ambiente, per cui abbiamo fatto e continuiamo a fare tanti spettacoli su questo tema. Di conseguenza il laboratorio verterà proprio sul fare teatro a tematica ambientale e sul farlo utilizzando la comicità. In questo modo vogliamo avvicinarci ai giovani e dare loro una prospettiva teatrale che poi se vorranno potranno continuare con noi o in altre compagnie.
LB: Il calendario di questa stagione è molto denso (lo trovate in fondo a questo articolo, ndr). Ma alla fine rimane una domanda. Trent’anni, tante stagioni, tantissimi appuntamenti. Insomma, è stata dura?
FC: Dura no, si sa che il mestiere del teatro non è semplice, è precario per definizione. Ogni anno è un tentativo di sopravvivere al meglio realizzando degli obiettivi. Non è però duro, anzi è una fortuna poter vivere di teatro, ho colleghi che hanno dovuto fare altri lavori. Noi grazie anche alla cooperativa siamo riusciti a renderlo, fra compagnia e stagioni, il nostro lavoro. Come ce l’abbiamo fatta? Tanta fatica, energia, tanti grandi artisti che sono passati da noi quando erano ancora piccoli e poi sono diventati nomi importanti della scena nazionale o addirittura internazionale. C’è però anche un altro aspetto che ci ha aiutato. In un teatro piccolo come il nostro tutto è molto più ravvicinato, quindi il rapporto umano con gli artisti e il pubblico è favorito. E il rapporto umano è un meccanismo sano che aiuta la vita di un teatro, perché è molto più semplice capire e rispondere alle esigenze del pubblico.