Il 29 novembre 1612, poco dopo la conclusione del processo in cui risultò aver ragione (ma per il quale il colpevole di stupro Agostino Tassi non scontò nessuna pena) Artemisia Gentileschi sposò Pierantonio Stiattesi, pittore di modesta fama. Successivamente, seguì il marito a Firenze lasciando il padre opprimente e il passato doloroso. Nella fervente città toscana, Gentileschi trovò successo e il 19 luglio 1616 fu la prima donna in assoluto ad essere ammessa alla Accademia delle arti del disegno.
La storia di Artemisia Gentileschi è una combinazione di luci e ombre, una vita scandita da momenti di gioia e trionfo, ma anche di dolore e sofferenza. Il processo legale per stupro che la coinvolse, il suo percorso artistico e le sue relazioni personali, si intrecciano nello spettacolo della compagnia Piccolo Canto per restituire il quadro complesso e rivoluzionario della sua esistenza.
Attraverso una drammaturgia contemporanea e originale, «Chiaroscuro» mescola testi scritti nel Seicento dalla stessa Gentileschi con atti processuali e frammenti di corrispondenza. Questa commistione tra storia e contemporaneità ricrea un affresco di sfumature dettagliate, simile ai dipinti dell’artista. A partire dal processo Tassi – Gentileschi, che rivela dinamiche di umiliazione, negazione e diffamazione della vittima drammaticamente attuali: «Possiamo affermare che i documenti esistenti sul processo ci restituiscono un’Artemisia ferma e fortemente determinata nel denunciare l’abuso subito – spiega il drammaturgo Gaetano Colella – anche contro tutti i tentativi di diffamazione e di depistaggio. Lei non vacilla nemmeno sotto la terribile pratica della tortura. Questa è stata per noi la chiave di volta dell’intera esistenza di questa grande artista: la stessa tenacia le ha permesso di mettersi in luce, poco tempo dopo, in un mondo unicamente maschile come quello degli artisti fiorentini del ‘600 e divenire l’artista “rivoluzionaria” che conosciamo oggi».
In «Chiaroscuro» particolare attenzione viene data al mondo sonoro, affidato a suoni polifonici e canti a cappella che si fondono perfettamente con il testo. Le cinque protagoniste della Compagnia Piccolo Canto danno corpo e voce ad Artemisia, ai suoi dipinti e a tutte le figure che l’hanno circondata. Cinque donne, cinque attrici, cinque voci, accomunate dalla necessità di trovare sempre nuove storie da raccontare. Mettono al centro del percorso artistico l’indagine sonora e vocale. Il loro lavoro appare quasi come una partitura musicale originale dalle trame sonore complesse, riscritte totalmente o arrangiate ad hoc dove niente è lasciato al caso. La suggestioni sonore, mai scontate, permettono alla parola di potersi elevare, caricare di emozione ed esplodere con forza e profondità. Diventeranno tutte i personaggi, ma soprattutto si caricheranno ciascuna i panni dell’artista fondendosi in un coro di voci femminili capace di raccontarci con il canto il pensiero e i sentimenti dell’artista.
Racconta il regista Andrea Chiodi: «Ho trovato da subito affascinante la sfida che fossero solo voci femminili a raccontare una storia come quella della grande pittrice. Mi sono immaginato una sorta di sala studio, di redazione radiofonica dove le voci e i suoni potessero raccontare storie. Un luogo in cui le cinque interpreti potessero diventare tutti i personaggi, ma soprattutto potessero caricare ciascuna i panni della Gentileschi diventando sempre di più un coro di voci femminili capace di raccontarci il pensiero e i sentimenti di Artemisia, di rivelare e riconciliare quella rabbia e quella trasgressione che permea la produzione artistica di questa straordinaria artista».
Attraverso i costumi accuratamente studiati e realizzati da Ilaria Ariemme, lo spettacolo ricrea l’atmosfera del Seicento italiano, per un’immersione nell’epoca. «Si tratta di cinque abiti base, in materiale biologico, grezzo e del colore naturale del tessuto, come una sorta di tela vuota pronta per essere riempita di colpi di pennello e colore, usati dalle attrici per divenire alternativamente nel corso dello spettacolo Artemisia e i personaggi che compongono la sua storia – spiega la costumista – Il taglio è ispirato al periodo di vita della pittrice, suggerisce un richiamo al suo mondo, ma è allo stesso tempo reinventato, destrutturato per poter essere strumento drammaturgico all’interno dello spettacolo. Ed infine una citazione esplicita: la scena finale rappresenta infatti un’ultima vestizione e vede il lento comporsi dell’abito del famoso “Autoritratto” di Artemisia ad omaggiare questa grande donna e questa immensa artista».
«Chiaroscuro» è una drammaturgia di Gaetano Colella, la regia dello spettacolo è curata da Andrea Chiodi, in scena Francesca Cecala, Miriam Gotti, Barbara Menegardo, Ilaria Pezzera, Swewa Schneider. La composizione e l’arrangiamento canti è di Miriam Gotti, le scene e costumi di Ilaria Ariemme. La produzione è di Compagnia Piccolo Canto, in collaborazione con Associazione InAtto. Produzione e organizzazione sono curate da Chiara Bettinelli e Federica Falgari e la distribuzione è seguita da UTIM srl Milano. L’evento realizzato con il contributo di «Life is Live», un progetto di Smart con Fondazione Cariplo e con i fondi Otto per Mille della Chiesa Valdese.
Abbiamo fatto qualche domanda alle interpreti, le attrici-cantanti della Compagnia Piccolo Canto.
CD: Quali sono stati gli obiettivi – e qual è stato il processo – che vi hanno portato a scegliere di dedicare un nuovo spettacolo ad Artemisia Gentileschi?
CPC: Da tempo pensavamo alla realizzazione di un nuovo spettacolo che vedesse in scena tutte e cinque noi attrici della compagnia. Abbiamo incontrato la scrittura di Colella nei suoi precedenti lavori e ne siamo rimaste colpite e affascinate. Abbiamo così iniziato con lui un dialogo sui temi e sulle modalità di lavoro per affrontare insieme questa nuova avventura. La figura di Artemisia è arrivata in modo naturale come sua proposta e da subito ci ha colpite per i temi che solleva e che vedono in noi profonda risonanza (la potenza dell’arte come strumento di espressione, l’autoaffermazione, la cura del sé, la bellezza, il riscatto personale, la parità di diritti).
CD: I canti polifonici sono conduttori di situazioni e stati d’animo di Gentileschi. Si tratta di melodie composte ad hoc o nuovi arrangiamenti selezionati da un repertorio?
CPC: Le composizioni sono state create ad hoc da Miriam Gotti, attrice della compagnia. In minima parte si sono ispirate a musiche già esistenti – attingendo dalla tradizione popolare, ma anche dal repertorio classico – e rivisitate alla luce della loro funzionalità in scena. Questo è il modus operandi di tutti gli spettacoli della compagnia. La novità di «Chiaroscuro», rispetto alle produzioni precedenti, è stata di introdurre la figura di un “cantastorie” che narrasse cantando le vicende della Gentileschi. Trasformare parte della drammaturgia (nata per essere narrata) in canzoni è stata un’operazione tutt’altro che semplice ed ha comportato una nuova sfida.
CD: In che modo ognuna di voi interpreta l’artista? Quali sono le differenti caratterizzazioni e in cosa si distinguono dall’interpretazione corale?
CPC: Lo scarto interpretativo più marcato è quello tra la dimensione del processo (fedele agli atti originali) e le lettere poetiche di Gentileschi, scritte in endecasillabi. Più che su caratterizzazioni specifiche abbiamo lavorato su tessiture e qualità vocali diverse e su immagini iconiche. L’artista passa così di bocca in bocca, di corpo in corpo. Le attrici diventano “portatrici” del pensiero e della carnalità di Gentileschi, si mettono a suo servizio, uscendo ed entrando letteralmente “nei” suoi panni, lontano da ogni identificazione psicologica.
CD: «Chiaroscuro» come un confine. Quali sono gli opposti sui quali vi siete concentrate maggiormente?
CPC: Abbiamo riflettuto sia sugli accadimenti della sua vita che sul suo sentire interiore, sull’esterno e sull’interno. C’è una grande alternanza di pieni e vuoti, di momenti bui (la violenza subita, la tortura durante il processo, il dileggio sociale) e di squarci di luce (la sua ferma volontà di andare a fondo, la nuova vita a Firenze, l’affermazione di sé come artista donna in un mondo di soli uomini). Come se per ogni brutto colpo infertole dalla vita, ci fosse in lei sempre una forza uguale e contraria. Questo si legge anche nei suoi dipinti. E questa griglia interpretativa “del dentro e del fuori” ha accompagnato poi tutta la messa in scena.