Ogni cosa si trasforma se guardata da un nuovo punto di vista: sembra un luogo comune ma è spesso vero, provate ad applicarlo a un abito, alla riunione del lunedì in ufficio o a quella canzone imparata a memoria anni fa. Oppure a un luogo preciso della città in cui vivete: magari un angolo davanti a cui passate quasi ogni giorno, diventato parte dello sfondo, quasi invisibile. Eppure, i luoghi possono raccontare molto, a volte è sufficiente farsi guidare da chi ha reso l’arte di ribaltare i punti di vista un mestiere. Scriveva Italo Calvino ne “Le città invisibili”: “La città non dice il suo passato. Lo contiene come le linee di una mano. Scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre…”.
È proprio questa frase che Federica Molteni e Michele Eynard di Luna e Gnac scelgono per presentare il loro nuovo progetto di teatro e narrazione itinerante, “Bergamo con altri occhi”, ideato e realizzato con la collaborazione di vari altri professionisti e con il contributo della Fondazione della Comunità Bergamasca e del Comune di Bergamo.
I due attori condurranno i partecipanti in un vero e proprio viaggio attraverso la città, un percorso a tappe per riscoprire luoghi e personaggi dimenticati. Un viaggio che i partecipanti faranno in sella alla bicicletta, per un’esperienza su due ruote in notturna, una sonata lenta alla città, alla sua memoria e alle sue arti, come ci racconta Federica Molteni. L’appuntamento per la prima replica è mercoledì 22 settembre alle 21, ma sarà possibile prenotarsi anche i giorni successivi, fino al 3 ottobre, a questo link.La partecipazione è a donazione libera e consapevole.
LD Cosa può aspettarsi il vostro viaggiatore da questa esperienza, una volta inforcata la bicicletta?
FM Ci piace pensarlo proprio come un viaggio. Ai nostri viaggiatori vogliamo proporre un percorso semplice, accessibile a tutti. Abbiamo scelto l’orario serale e la bici è un escamotage poetico: dona uno approccio lento agli spostamenti da un luogo all’altro. Non si tratta di una visita guidata, ma di un percorso per immaginare uno sguardo diverso sulla città. Abbiamo scelto Città Bassa, un luogo pieno di contraddizioni, in evoluzione continua, e vogliamo raccontare due cose: da una parte cosa resta delle persone che l’hanno abitata, dall’altra cosa c’era nei luoghi in cui passiamo, com’erano un tempo e come si sono trasformati.
LD Le persone che raccontate sono artiste e artisti della città.
FM Il progetto è nato da una mia urgenza lontana: cercare una risposta alla domanda “Cosa significa fare resistenza culturale?”, soprattutto nel momento in cui tutto il mondo sembra dirti che non servi più a nulla. A lungo ci siamo sentiti totalmente messi da parte, e il nostro mestiere è stato considerato superfluo. Certo, non eravamo gli unici in difficoltà. Così, ho riflettuto su cosa significa la scelta di una professione non canonica, che indirizza giocoforza la tua vita in una direzione strana e straordinaria al tempo stesso, e ho deciso di iniziare una ricerca sulle persone che hanno fatto questo tipo di scelta: artisti e artiste. Mi sono concentrata sul ‘900, andando a caccia dei bergamaschi che hanno fatto dell’arte il proprio mestiere, con una vocazione precisa ed esclusiva.
LD Chi sono i personaggi che hai incontrato?
FM Sono persone a volte molto note a livello nazionale e internazionale, ma che la città ha in gran parte dimenticato. Di loro rimane pochissimo, forse qualche targa; addirittura della poetessa Rina Sara Virgillito, un’artista che abbiamo scelto, non c’è alcuna traccia. Nessuno conosce il suo nome, quando parlo di lei in giro, eppure è stata una figura importante, traduttrice di Emily Dickinson, amica di Montale. D’altra parte, non è stato facile trovare donne artiste. Per le donne di decenni fa non era affatto scontato consacrarsi a tempo pieno all’arte. Gli altri personaggi che si incontreranno nel viaggio sono Giacomo Manzù, Gian Andrea Gavazzeni, i coniugi Ravasio e un personaggio collante, una figura di donna in parte realmente esistita, in parte frutto della fantasia: Isola Dosalina Pozzi, un’ostessa di Borgo Santa Caterina. Uno dei temi portanti di questo progetto è il racconto della città, e Borgo Santa Caterina era parte del cuore pulsante di Bergamo nella prima metà del ‘900, un borgo fiorente e molto attivo. Di questa donna si sa che aprì un’osteria a metà anni ’20 e la amministrò in modo molto autonomo.
LD Isola Dosalina Pozzi è una figura particolare.
FM Sì, mi piaceva l’idea che ci fosse un’anima popolana, intraprendente e curiosa a fare da raccordo tra i personaggi del viaggio. Sono tutti assaggi di storie, piccole incursioni nelle vite eccezionali di queste persone, perché i viaggiatori in bicicletta ne escano con la curiosità di saperne di più.
LD Quale tra queste storie è la tua preferita?
FM Devo dire che studiando le vite e le opere di questi artisti mi hanno colpito molto alcuni aspetti comuni delle loro esistenze. Gli episodi narrati sono reali, in qualche modo caratterizzano i personaggi, e sono stati scelti come momenti simbolo di scelta consapevole delle loro vite: il momento in cui hanno deciso di dedicarsi all’arte. Ad accomunare le persone ho visto una grande testardaggine nel perseguire una scelta, oltre allo stupore e alla meraviglia di scegliere l’arte ogni giorno. Quindi devo confessare di essermi affezionata a tutti, tanto che avevo voglia di lavorare singolarmente su ciascuno di loro, scrivere nuovi monologhi… Ad esempio, la parte su Benedetto e Pina Ravasio è già in cantiere: ne è nato un testo che potrebbe diventare un nuovo progetto, con il patrocinio della Fondazione Benedetto Ravasio.
LD Tu sei un’attrice-ciclofila e una ciclofila-attrice, hai all’attivo vari spettacoli con la bici in scena, in varie forme. Questo progetto è una specie di incontro ideale tra questi due mondi?
FM In realtà delle genesi di questa iniziativa è più complessa e la premessa è molto buffa. Avevamo vinto un bando per una residenza della regione Lazio, in Bassa Sabina, e il progetto consisteva nel realizzare uno spettacolo itinerante sulla Resistenza, usando una macchina come mezzo di trasporto. Prima di tutto, ho deciso di fare una variazione sul tema: volevo lavorare sulla resistenza culturale, quindi una forma diversa di resistenza. E poi, durante la residenza dell’anno scorso a Poggio Mirteto, ci hanno detto che il progetto avrebbe avuto un cambiamento sostanziale: lo spettacolo sarebbe stato sì itinerante, ma… in bicicletta. Una coincidenza pazzesca… Io vivo la bici come mezzo scenico, e non solo, dai tempi di “Fiatone”. Così, ho pensato che finalmente avrei potuto sedermici sopra.
LD Uno tra i vari modi di sperimentare il teatro in forme diverse.
FM Volevo soprattutto raccontare cosa è successo a tanti luoghi della città. In parte, è un desiderio che è nato anche dalla situazione contingente: se non posso tornare a lavorare nei teatri, dove porto il teatro? Ed è stato anche un impulso ad approfondire l’evoluzione della vita culturale. Facendo svariate ricerche, anche storiche, ho scoperto che 100 anni fa a Bergamo c’erano più di 60 tra teatri e cinema. Uno fra tutti: il Teatro Duse, che era alla Rotonda dei Mille, un luogo stupefacente: 3000 posti, ha ospitato grandissimi artisti e spettacoli, tra cui la prima nazionale di “Rapsodia in blu” di Gershwin. È stata un’occasione, e spero lo sia anche per chiunque partecipi a “Bergamo con altri occhi”, per interrogarsi su cosa fa e come si muove una città; non sempre è un bene, a volte fagocita tutto. Non è stato per nulla semplice individuare sei tappe che potessero andare bene per le nostre soste: ci servono luoghi significativi, tranquilli, dove potersi fermare. Quindi speriamo sia anche un’occasione di viversi alcuni spazi in modo altro, in modalità diverse rispetto a quelle a cui siamo abituati, magari di passaggio, di fretta, o seduti a consumare. Per questo, lo abbiamo presentato sin dall’inizio come un progetto a forte valenza sociale: cercavamo una modalità familiare che generi benessere, incontro, piacere. È una forma di riscoperta degli spazi e della socialità.