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Al cospetto dell’assoluto, Luca Doninelli e la Bibbia: perché leggere le Scritture è fondamentale

Intervista. Giovedì 21 settembre alle 21, nella Basilica di S. Alessandro in Colonna a Bergamo all’interno di «deSidera Bergamo Festival», Sandro Veronesi e Andrea Tarabbia interpreteranno il testo evangelico della Passione di Cristo. Una buona occasione, secondo l’ideatore del progetto e direttore artistico della rassegna Luca Doninelli, per riappassionarsi alla lettura della Bibbia, testo imprescindibile per la civiltà occidentale

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«Chiamatemi Ismaele». Già dall’incipit, «Moby Dick», capolavoro di Herman Melville, è in grado di evocare quel sostrato (e quella simbologia) di matrice biblica che innerva l’intero romanzo sino alla fine. Con neanche troppo sforzo, echi testamentari si possono scovare anche ne «Le avventure di Pinocchio» di Carlo Collodi, mentre in un testo magnifico come «La terra desolata» di T. S. Eliot i rimandi al «libro dei libri» si sprecano. Le tre opere citate, in realtà, sono solo una piccola e parziale dimostrazione di come la cultura cristiana (che affonda le proprie radici in quella ebraica), insieme a quella greco-romana, sia alla base della civiltà occidentale, e di come per secoli ne abbia influenzato il pensiero e l’arte.

Non solo la letteratura, ma anche la filosofia (Tommaso d’Aquino e Agostino d’Ippona su tutti), la pittura (Giotto, per esempio, e i tanti affreschi che animano le chiese), il cinema (il finale di «Tre colori – film blu» di Kieślowski, giusto per citare una pellicola, ripropone l’«Inno all’amore» di San Paolo) e, naturalmente, la musica (Bach e Händel certo, ma anche Leonard Cohen, Johnny Cash e Fabrizio De André). Eppure, questa consapevolezza (che ha a che fare con la memoria e con la conoscenza di sé) sembra stia scomparendo: la Bibbia (a differenza dell’«Iliade» e dell’«Odissea») non viene più letta.

Il rischio è quello di perdere un incommensurabile patrimonio di storie e significati, ma anche una preziosa chiave di lettura per comprendere appieno la sconfinata produzione artistica che proprio alle Scritture si ispira. È anche per questo che alle ore 21 di giovedì 21 settembre, presso la Basilica di Sant’Alessandro in Colonna e per la regia di Paolo Bignamini, andrà in scena «Passione. La Bibbia che non ti aspetti» , spettacolo teatrale all’interno di «deSidera Bergamo Festival». L’ingresso è gratuito e senza prenotazione.

La rappresentazione vedrà la partecipazione di Sandro Veronesi e Andrea Tarabbia che, per l’occasione, interpreteranno i brani evangelici della Passione di Cristo. Un’occasione, secondo Luca Doninelli, ideatore del progetto e direttore artistico del festival, per riappassionarsi e riappropriarsi di pagine colme di senso e bellezza, ma anche in grado di far capire, con estremo realismo, quanto complessa, contraddittoria e crudele, a volte, possa essere l’esistenza.

FR: Luca Doninelli, che tipo di spettacolo sarà «Passione. La Bibbia che non ti aspetti»?

LD: Abbiamo invitato Sandro Veronesi e Andrea Tarabbia, grandi scrittori e intellettuali, a misurarsi con le pagine della Passione di Cristo. Le racconteranno e le interpreteranno a modo loro. Dopodiché, avverrà una lettura del testo biblico originale a opera di Leda Kreider. «La Bibbia che non ti aspetti» è un progetto nato all’interno della stagione teatrale 2022/2023 del Teatro Oscar, a Milano. Questo progetto, con nuovi appuntamenti inerenti alla Bibbia, continuerà sempre al Teatro Oscar durante la stagione 2023/2024. Il desiderio è quello di far sentire il testo biblico meno consueto del solito e, possibilmente, di far venire voglia di rileggere la Bibbia.

FR: Da dove nasce l’idea di questo spettacolo?

LD: L’idea alla base dello spettacolo nasce dalla banale constatazione che scrittori e lettori non conoscono più le Scritture. Esiste dunque un’enorme fascia della letteratura che, infarcita di riferimenti biblici, diventa illeggibile e difficilmente interpretabile. Non mi riferisco solo a Dante e Petrarca. Parlo, per esempio, di James Joyce, Graham Green, Thomas Mann, Marcel Proust e Samuel Beckett. Nelle opere di questi autori (che, evidentemente, conoscevano molto bene sia il Primo Testamento che il Secondo Testamento) è presente tutta una simbologia biblica che ovviamente, se ignorata, non viene più neanche intercettata. La nostra cultura si rifà a due fonti principali: quella greco-latina e quella cristiana. Nessuno potrebbe mai affermare che personaggi come Ulisse e Achille siano oggetto di interesse mentre Davide e Golia siano roba da preti. Eppure, quando una di queste due fonti viene completamente ignorata, si palesa un grosso problema. Senza una delle due, la nostra civiltà è condannata a camminare con una gamba sola. Del resto, nessun testo ha determinato il corso della società in cui viviamo tanto quanto la Bibbia.

FR: Sul sito web di «deSidera», scorrendo la presentazione dell’evento, si può leggere come il mancato interesse per la Bibbia sia stato causato da distrazione e pregiudizio. A cosa ci si riferisce?

LD: Da una parte, c’è la tradizione cattolica che non ha mai davvero invitato a leggere la Bibbia. La lettura (e l’interpretazione) dei testi sacri, nel mondo cattolico, è sempre stato appannaggio di coloro che gestivano il magistero ecclesiastico e non dei laici. Questo non è avvenuto nei Paesi protestanti. Dall’altra parte, c’è un profondo pregiudizio contro il cristianesimo a opera del laicismo. Se ascoltassimo questo pregiudizio, però, dovremmo rimuovere dai libri di scuola Michelangelo e tutta la pittura occidentale. Invece, la Bibbia e la storia del cristianesimo dovrebbero essere insegnate assieme ai greci e ai latini.

FR: Qual è il rischio a cui può portare questa rimozione?

LD: Come detto, l’incapacità di leggere i testi che si rifanno alle Scritture e quindi, in un certo senso, l’impossibilità di leggere noi stessi, di capire realmente chi siamo, da dove veniamo e dove stiamo andando. Ma c’è anche il rischio che la Bibbia diventi materia di studio per soli specialisti. La Bibbia non deve diventare una “specializzazione”, poiché appartiene a tutti, in quanto patrimonio dell’umanità.

FR: Come, nel ventunesimo secolo, rendere accattivante e intrigante il testo biblico?

LD: Basta leggerla per capire che non ha bisogno di essere resa accattivante e intrigante: la Bibbia è intrigante e accattivante. Non per niente, mi diceva il mio amico Silvano Petrosino, gli autori Netflix la stanno saccheggiando a mani basse per le loro produzioni. I racconti biblici, del resto, sono estremamente seducenti, se ne rimane affascinati. Si pensi poi ai protagonisti: gente con un respiro di vita enorme. Gente che vive la propria quotidianità talvolta meschinamente ma sempre al cospetto dell’assoluto. A tal proposito, mi vengono in mente le parole del grande scrittore russo Andrej Sinjavskij che, paragonando la vita del contadino a quelle dell’uomo moderno, diceva: «Il contadino manteneva un legame permanente con l’immensa creazione del mondo e spirava nelle profondità del pianeta, accanto ad Abramo. Invece noi, scorso il giornale, moriamo solitari sul nostro divano angusto e superfluo». E ancora: «Prima di impugnare il cucchiaio, il contadino cominciava col farsi il segno della croce e con questo solo gesto riflesso si legava alla terra e al cielo, al passato e al futuro». C’è bisogno di questo, c’è bisogno di assoluto.

FR: Stupri, incesti, massacri… sono davvero affascinanti i racconti della Bibbia?

LD: È vero, c’è molta violenza. Ma ciò che è meraviglioso è proprio questo realismo che non è presente negli autori greci e latini. Un realismo spesso crudo e terrificante, che mette in evidenza le contraddizioni dell’esistenza. In mezzo, l’avventura del rapporto fra uomo e Dio: una presenza, quella del divino, che, nonostante tutto, non nega mai la vita e l’amore verso la propria creatura.

FR: Roberto Mercadini, nel suo ultimo libro («La donna che rise di Dio», Rizzoli 2023) dice che Dio è doppio: c’è il Dio della teologia e quello della narrazione biblica. Per lei è così?

LD: No, non trovo contraddizione alcuna. Se con “teologia” intendiamo la scolastica e, in particolar modo, san Tommaso d’Aquino, penso che sia semplicemente un modo diverso, da parte di quest’ultimo, di raccontare l’esperienza di fede.

FR: Il Dio dell’Antico Testamento appare diverso rispetto a quello del Nuovo Testamento. Anche Dio muta o è l’uomo che, grazie a Cristo, scopre il vero volto del Creatore?

LD: Io credo che Dio sia lo stesso, è l’uomo che cambia, che cresce, che compie un passaggio. Del resto, è lo stesso Gesù a dircelo, quando sottolinea la durezza di cuore degli uomini al tempo di Mosè. Anche i nostri genitori, quando siamo piccoli, spesso ci rimproverano. Col passare degli anni, i rimproveri finiscono e il nostro rapporto con loro diventa diverso, maturo, adulto. Ma l’amore non si esaurisce mai e la loro presenza rimane costante. Certo, è solo con il Nuovo Testamento che il rapporto di paternità fra Dio e gli uomini si svela. Un’idea di figliolanza, quella annunciata da Gesù, che porta a compimento una fede cristallizzata in regole e precetti.

FR: La Bibbia è rivoluzionaria?

LD: Mosè era balbuziente, Giona un gran rompiscatole, Elia forse bipolare e Isacco, secondo alcune interpretazioni, portatore di un ritardo mentale. Dio sceglie gli ultimi e in loro si manifesta tutta la zampillante vivacità di una vita che pulsa. Il progetto di Dio non coincide con quello dei potenti e, a volte, è incomprensibile persino per i suoi prediletti. Sì, la Bibbia è affascinante e rivoluzionaria. Ma lo è, soprattutto, per un altro motivo…

FR: Quale?

LD: Ci ricorda continuamente quel che cerchiamo di dimenticare, ovvero che noi non siamo quello che facciamo, pensiamo, diciamo o crediamo di essere. Noi non siamo i nostri programmi e i nostri progetti. Questo perché dipendiamo, perché siamo strutturalmente nelle mani di qualcos’altro e di qualcun altro. E di ciò ce ne rendiamo conto solo in punto di morte.

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