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Senza i tecnici non avremmo concerti e spettacoli teatrali. E anche loro adesso subiscono il blocco

Articolo. Esiste un mondo di bauli neri con le rotelle, di operatori dello spettacolo con i cacciaviti in tasca e le scarpe antinfortunistiche. Esistono persone che vivono grazie alla musica e ai teatri senza essere artisti. Ma non esiste un modo per riconoscere questo universo di lavoratori e la pandemia potrebbe essere un’occasione per farlo

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Si moltiplicano in questi giorni gli appelli del settore dello spettacolo – musica, teatro, spettacoli in generale – bloccati nel loro operare dalle nuove norme imposte per limitare la circolazione della pandemia in Italia; eppure quella che emerge non è tanto la rabbia per i modi con cui l’emergenza sanitaria viene controllata, quanto il grido di un settore che non può più essere invisibile agli occhi.

Sono sempre stati definiti come “quelli dietro le quinte”, ma non più tardi del 10 ottobre scorso tutta Italia li ha visti “in scena”, assistendo alla manifestazione, trasformata in una sorta di performance, di “Bauli in Piazza”. Centinaia di lavoratori dello spettacolo, tecnici del suono e delle luci, fonici, sarte di scena, responsabili di produzione e altri professionisti definiti più genericamente “le maestranze dello spettacolo”, si sono ritrovati in Piazza Duomo a Milano per mostrare i loro bauli – le caratteristiche casse nere dei service – vuoti e chiusi. Il prossimo 30 ottobre è in programma una manifestazione promossa dalle Federazioni Nazionali di Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom-Uil che chiederà il diritto al lavoro e il diritto allo spettacolo, ma sempre più si moltiplicano gli appelli in favore di chi con la cultura e gli spettacoli vive e lavora.

Assomusica, Agis, La musica che gira sono tutte sigle e associazioni che in qualche modo cercano di far sentire la voce di coloro che rendono vivo questo settore e ciò che cresce negli ambienti della cultura in questi giorni è la convinzione o il timore che ci sia una sorta di economia “buona” che vive durante il giorno, fino alle 18, e una sorta di economia meno buona, o comunque “sacrificabile”, che si anima durante la sera e la notte, che alimenta la socialità, lo svago, lo stare insieme. E questo mondo sta iniziando a chiedere, con sempre maggior forza, di essere definito, regolarizzato e riconosciuto nel valore di ciò che produce.

Cosa c’è dentro quei bauli neri dunque? Ci sono, molto spesso, cavi elettrici, piantane, fari, microfoni, casse, materiale estremamente tecnico senza il quale non esiste nessuno spettacolo. Anche la più minima lettura teatrale, infatti, ha almeno un microfono e un amplificatore. Anche il più misero concerto acustico ha delle luci e un ritorno in cassa per il musicista, persino la sagra di paese, molto spesso, ha bisogno di un service, ovvero di quella struttura che accende fisicamente uno spettacolo.

Chi sono queste persone? Tecnici, con livelli di esperienza più o meno elevati, a volte inquadrati come elettricisti, altre come metalmeccanici, i più qualificati come architetti o ingegneri del suono e delle luci. Tutte professionalità che possono continuare a lavorare sulla carta, ma che non possono nei fatti ora che lo svago non è concesso.

Simone Verzeroli è il titolare di Assembling Division, un service di Cene. Con i suoi sei dipendenti si occupa di noleggio e installazione di impianti audio, luci e video, palchi e strutture, video e videomapping. “Adesso sono tornato al computer dodici ore al giorno cercando il modo per trasformarmi e inventarmi nuove cose”. Simone e la sua squadra sono stati, per esempio, il service di Lazzaretto on stage, l’evento estivo organizzato dal Comune di Bergamo che ha riportato gli spettacoli in città. Bloccati dall’inizio di febbraio, il lavoro è lentamente ripreso in estate anche se decimato rispetto agli impegni degli anni precedenti.

Una montagna russa simile a quella che hanno vissuto tanti tecnici e fonici, bloccati a febbraio e richiamati in estate e ora, nuovamente fermi.

Ma c’è una verità che gli addetti ai lavori conoscono e nessuno dice ad alta voce ed è quella più preoccupante, come spiega Simone: “A inizio settembre abbiamo lavorato per la parte video di un’inaugurazione con il management di un importante artista italiano e quando mi hanno detto candidamente ‘Abbiamo già bloccato la parte più consistente dei tour fino a ottobre 2021’ mi è venuto un tuffo al cuore. Intendiamoci, sono cose che sai, che ipotizzi, ma sentirlo dire da chi queste cose le organizza davvero è un colpo”.

Al bando quindi i 24 novembre, cancelliamo il vaccino primaverile, se i grandi eventi non riprendono veramente fino al prossimo anno non esistono molte soluzioni. “Reinventarsi – conclude Simone – tenere duro il più che si può, perché facciamo un lavoro che molti ammirano o sognano, ma che è il primo a saltare”.

Questa consapevolezza l’ha ben chiara anche Diego Bergamini, architetto del suono e libero professionista di Ardesio, che spiega: “Non è il mio lavoro dire se i teatri possono tenere aperto adesso o i concerti possano continuare, perciò se qualcuno che ne sa più di me dice che dobbiamo fermarci, che bisogna chiudere, va bene io lo accetto. Capisco che esiste un problema sanitario e non mi stupisco che veniamo considerati ‘sacrificabili’ nel momento di emergenza, il problema è che lo eravamo già prima”.

Parole da cui si capisce che la rabbia, anche quella descritta dai media in questi giorni, in realtà è più delusione e amarezza per una consapevolezza latente, quella di appartenere a un settore che fa fatica anche a fare squadra. “La nascita di questi movimenti e associazioni la vedo con un pelo di scetticismo – spiega Diego – io faccio il fonico dal ’98 e spesso ho visto la difficoltà di affrontare battaglie uniti. Il nostro è un mondo che vive lo spirito da bottega, si hanno alte professionalità, la capacità di adattarsi velocemente, ma credo che a fine emergenza, di questa esperienza resterà ben poco”.

Il 14 giugno a mezzanotte il Teatro dal Verme di Milano riapriva ufficialmente la sua stagione interrotta con il primo di una serie di spettacoli estivi. A lavorare quella sera c’erano i ragazzi della Cdpm sound service, service di Bergamo che con i teatri lombardi lavora fin dalla fine degli anni Novanta. Alessandro Capellini è il figlio del titolare e primo tecnico della società che conta quattro dipendenti: “Il problema reale è che nemmeno i teatri hanno mai ricevuto linee guida precise, si sono adattati a lavorare seguendo tutte le precauzioni, anche per questo motivo questa nuova chiusura ci ha colto di sorpresa. Andare a teatro era una delle poche cose che ultimamente si poteva fare e comunque possibile solo a chi aveva dei fondi con cui restare a galla, dati i pochi incassi che il taglio degli spettatori permette”.

Alessandro spiega: “Più che arrabbiato sono deluso. Forse questa potrebbe essere davvero l’occasione per far nascere una vera categoria, sfruttando questa visibilità che ci siamo creati. Far credere sempre di più nella nostra professionalità, ma il futuro è davvero incerto”.

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