Lucia, protagonista dei Promessi Sposi ed anche dello spettacolo che si terrà giovedì 25 luglio alle 21.15 nel Chiostro di San Francesco in Città Alta. S’intitola “Mi chiamerò Lucia Mondella” ed è un appuntamento di deSidera Teatro Festival, inserito nella terza edizione della sezione “La poesia della città”, e realizzato in collaborazione con Comune di Bergamo – BergamoEstate 2019 e Museo delle Storie di Bergamo (ingresso 5 euro).
Si tratta di una lettura scenica che vedrà impegnati nell’interpretazione Arianna Scommegna – premio Ubu nel 2014 come miglior attrice – e Giovanni Franzoni, per la regia di Paolo Bignamini.
Il testo è dello scrittore pluripremiato Luca Doninelli, anche direttore artistico di deSidera insieme a Gabriele Allevi.
“La genesi di questo spettacolo è lunga – spiega Doninelli – Ho scritto sei versioni fino a che non ho trovato quella che andava bene. All’origine, che era un’idea più critica che teatrale, riguardava una sorta di simbiosi, che ho sempre notato leggendo i Promessi Sposi, tra Lucia e la Monaca di Monza. Cioè, fra loro c’è un rapporto profondo tanto da farmi pensare che potrebbero essere lo stesso personaggio: uno è la parte illuminata, ossia Lucia, l’altra quella nera, la Monaca di Monza. Avevo sviluppato questa idea, ma nell’ultima versione questa riflessione resta in sottofondo”.
E il testo va oltre questo aspetto e indaga la biografia manzoniana: “Nel testo che ho scritto, Manzoni sta per morire e vuole congedarsi dai suoi personaggi, soprattutto da uno: Lucia, perché è un personaggio speciale per lui, rappresenta qualcosa di più di tutti gli altri, forse l’immagine della moglie Enrichetta Blondel. La vuole incontrare per l’ultima volta perché le vuole chiedere scusa di una cosa: aver messo in piazza la sua storia, storia di una ragazza che fa parte di quella gente che non ama queste cose, che si fa la propria vita. Lucia gli risponde che non ‘gliela racconta giusta, perché la mia vita è questa, proprio perché appartengo alla gente semplice e la gente semplice non pensa che avrebbe voluto un’altra vita. Io sono contenta così e ringrazio Dio’”.
M.V. - Questo però non è il vero motivo per cui Manzoni incontra il suo personaggio.
L.D. - Infatti. Lucia tira fuori la vera questione per cui lo scrittore le vuole chiedere scusa. ‘C’è un momento in cui mi hai lasciato sola’, dice Lucia a Manzoni. Ed è nell’intervallo tra i due capitoli in cui viene rapita e quando arriva al castello dell’Innominato. Un punto in cui non ci viene raccontato nulla e Lucia afferma all’autore che per lei quello è stato come il Sabato Santo: ‘io sono diventata un’altra persona’.
M.V. - Quindi entra in gioco la fede.
L.D. - Fino a quel momento Lucia aveva confidato in Dio, l’aveva conosciuto tramite la fede di sua mamma, di padre Cristoforo anche di don Abbondio. Era la fede di una buona ragazza del popolo, ma in quel momento lì, dove si è sentita brutalizzata, non violentata, in cui i rapitori le hanno messo le mani addosso come Renzo non aveva mai fatto, lì, Lucia, dice a Manzoni che l’ha lasciata sola, totalmente sola, e ne è uscita con una preghiera a Dio ‘Tu adesso farai qualcosa di straordinario’ e infatti farà convertire l’Innominato.
M.V. - Una Lucia che conosce bene Manzoni e lo mette un po’ all’angolo.
L.D. - Mi baso sull’estetica di Manzoni che dice che lui non è il creatore dei personaggi. Perché i personaggi migliori della letteratura sono personaggi che gli scrittori trovano, sono esseri vivi che nella vita, in sogno, da qualche parte incontrano e in questo senso Lucia dice a Manzoni che non è stato lui a creala, ma il Signore. Quel momento che Lucia chiamerà il suo Sabato Santo, e che rinfaccerà a Manzoni di aver descritto quello di tutti gli altri personaggi tranne il suo, è un po’ quella che Conrad chiama “la linea d’ombra” che tutti attraversiamo se vogliamo diventare delle persone adulte.
M.V. - La sua invenzione si intreccia con la biografia dello scrittore.
L.D. - Secondo le biografie si sa che Manzoni si convertì. Era a Parigi, ebbe un attacco di panico, si rifugiò in chiesa, dove non andava da un sacco di tempo. Non si sa cosa successe, ma lui lì si convertì. Così ho immaginato che nella seconda parte di questo lungo dialogo, Lucia chiede allo scrittore il suo Sabato Santo e questo è il vero motivo per cui Manzoni è andato da lei. Lui racconterà cosa è successo e io, dato l’enorme e immenso amore per lo scrittore, mi prendo la libertà di inventare cosa può essere successo da quel momento. Ecco perché Manzoni ha scelto Lucia: perché nel momento della morte ha bisogno di scambiare qualcosa di essenziale, cioè il momento in cui il mondo è cambiato. Lucia è diventata una persona nuova e la fede è diventata qualcos’altro rispetto a quella del catechismo, è fondata su una tragedia che ha attraversato, come Gesù sulla croce.
M.V. - Dove accade il dialogo?
L.D. - L’ho ambientato nella campagna bergamasca, dove Renzo e Lucia abitavano e sono due agitati agricoltori. Mi piaceva l’idea di ambientarlo in quei territori della provincia di Bergamo dove il festival deSidera è cresciuto e vissuto, sviluppando da tanti anni sviluppa il suo progetto.
M.V. - Verso la fine dei “Promessi Sposi” Renzo e Lucia si stabiliscono nel lecchese. A quel punto racconta le voci del paese, che avevano un’alta aspettativa su Lucia ma poi diventarono “schizzinose” dopo aver visto la ragazza. Così non l’ha presa un po’ in giro?
L.D. - Manzoni era sicuramente ironico e si è divertito. In questo passaggio, però, il vero significato che ci vuol dire è una cosa molto importante. Ci fa capire meglio perché don Rodrigo voleva Lucia a tutti i costi e ci fa capire qual è la colpa di don Rodrigo, che non si era innamorato di lei e neanche le piaceva. Bisogna ricordare che è molto bello il romanzo non detto e quindi quello che ci immaginiamo è che probabilmente quando don Rodrigo andava in giro, che doveva essere un bel ragazzo, un po’ vanitoso, con il cappello col pennacchio, vestito bene, Lucia non lo guardava.
M.V. - Vanità maschile…
L.D. - Lui passava in mezzo alle ragazze che magari uscivano dalla filanda e tutte avevano occhi per lui, lo sognavano. E probabilmente c’era una che non lo considerava, cioè Lucia, che non era una ragazza che si metteva a sognare un ragazzo. Così don Rodrigo si incaponì nei suoi confronti. Le parole che vengono dette nel paese faranno poi muovere Renzo e Lucia verso la bergamasca dove le voci non corrono più e Manzoni fa quella parentesi per ricordarci che la storia nasce da un capriccio. Come a dire che don Rodrigo aveva un “diritto” su Lucia in quanto padrone di quelle terre.
M.V. - Dove vuole puntare in questo modo Manzoni?
L.D. - Vuole fare comprendere ancora di più l’arbitrarietà di tutto ciò che nasce dal romanzo ed è un giudizio sulla storia: un cumulo di arbitrii, di capricci e stupidaggini che hanno creato tragedie, dolori, sofferenze e malattie. Manzoni fa ironia, la sua arma, e le maldicenze sono anche una boutade contro il romanticismo.
M.V. - Lei ha detto che Lucia e la Monaca di Monza potrebbero essere lo stesso personaggio, una il lato luminoso e l’altra quello buio.
L.D. - Quest’anno ho scritto tre saggi manzoniani ed è un po’ complesso da spiegare, ma sono sempre stato colpito dal fatto che nei Promessi Sposi ci fosse solo un padre, ossia quello della Monaca di Monza e che la colpa di questa donna fosse di essere venuta al mondo. Marianna de Leyva non doveva nascere e questo, secondo me, è il grande tema dei Promessi Sposi: ossia cosa ci riscatta dalla colpa di essere nati? E se si analizza bene il personaggio di Lucia, si guardano gli aggettivi usati quando compare sulla scena è interessante perché Manzoni usa aggettivi maschili e bellici: “modestia un po’ guerriera”, “facendosi scudo alla faccia col gomito”. E le parole Manzoni le pesa tutte e allora lì mi è venuto in mente che stava presentando una rinascita di qualcuno: è la risposta angosciosa che la Monaca di Monza pone nel romanzo.