93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

Le cose semplici di Chavela Vargas

Intervista. Sandra Zoccolan e Massimo Betti raccontano la storia della cantante attraverso le sue canzoni per la XIII edizione del Festival A levar l’ombra da terra. Venerdì 4 Settembre, ore 21 presso il cortile Biblioteca Comunale di Bonate Sotto

Lettura 3 min.
L’attrice e cantante Sandra Zoccolan

Se è vero che al Messico sia comunemente associato un immaginario musicale e tradizionale legato al suo folklore, è altrettanto certo che Chavela Vargas non goda, nel nostro continente, della notorietà che la accompagna oltreoceano. Qual è la storia di questa donna così conosciuta e amata nella cultura latina? Ce lo racconta Sandra Zoccolan, attrice storica della compagnia milanese ATIR, che ha scelto di omaggiare la cantante con uno spettacolo dove si alterneranno musica dal vivo ed estratti letterari: “Io stessa l’ho scoperta qualche anno fa e mi sono appassionata alla sua musica, alla sua figura rivoluzionaria. Così, ho voluto raccontare la vita intensa di quest’anima straordinaria”.

In scena venerdì 4 settembre (ore 21) presso il cortile della Biblioteca Comunale di Bonate Sotto per la XIII edizione del Festival A levar l’ombra da Terra, la pièce è un vero e proprio percorso musicale e biografico. Sandra Zoccolan racconta dell’artista che è stata definita – e continua ad esserlo anche dopo la morte nel 2012 – l’anima del Messico.

Donna, icona, anticonformista, dagli anni sessanta Vargas ha sfondato una struttura conservatrice e tradizionale, presentandosi sul palco in abiti maschili, interpretando quei versi di música ranchera che, prima di lei, furono scritti e cantati solo da uomini. “Chavela non ha mai avuto paura di essere se stessa, si è ritagliata il suo spazio con forza e grande curiosità verso gli altri, nonostante l’infanzia segnata dalla frustrazione e dall’abbandono, è sempre stata propensa all’apertura e alla scoperta, senza mai farsi intimidire”, spiega l’attrice.

Andiamo per ordine: Chavela Vargas non si chiamava Chavela, né era messicana. María Isabel Vargas Lizano nasce a San Joaquín de Flores, in Costa Rica, il 17 aprile 1919. All’età di diciassette anni emigra, sola, per sfuggire ai maltrattamenti famigliari. Non ribelle, ma libera, María Isabel sceglie di farsi chiamare Chavela. Chitarra alla mano e voce graffiante, inizia così a suonare per le strade di Città del Messico, dove presto in molti si accorgono di lei.

Aveva un voce straordinaria, non era perfetta tecnicamente, ma era in grado di raggiungere una profondità unica”, spiega Zoccolan. Su tutti, il primo ad innamorarsi di quel timbro che sembrava provenire dal fondo dell’anima, pare essere stato José Alfredo Jiménez, considerato tra i più importanti compositori di musica ranchera di tutti i tempi. Grazie anche a questa amicizia, Vargas inizia a fare le sue prime apparizioni in club e cabaret, fino a diventare tra le cantanti più amate del Paese.
Quella che ha scelto di raccontare Sandra Zoccolan attraverso canzoni, poesie e interviste, è una storia di rivalsa, di trasgressione, ma anche di abbandono e di fragilità umana mai mascherate: “Quando cantava, la sua voce roca sembrava rompersi, non risultava sguaiata, ma vera, autentica, a tratti straziante. Così esprimeva tutto il tormento dell’anima. Chavela non ha mai nascosto le sue passioni, la sua abitudine a bere, i suoi amori inquieti. La relazione con Frida Kahlo è quella che ebbe più risonanza, ma ha avuto moltissime amanti alle quali ha dedicato i suoi versi”.

Negli anni sessanta, in Messico, essere una donna mediaticamente esposta, dichiaratamente lesbica, in un ambiente esclusivamente maschile e in una società cattolica conservatrice, significava essere sottoposta al giudizio continuo, ma Chavela non si conformò mai al volere della società. Anche se non senza sofferenza, la sua identità e il suo vissuto si tradussero in moti di rivendicazione e di orgoglio, riflessi nei suoi cantos rancheros, che parlano d’amore, di perdita, tequila e dolore, da lei interpretati così come sono stati scritti: in prima persona maschile.

“Riguardo al dolore umano, è stata in grado di farne un sentimento da mostrare senza timore, esternandolo con intensità e non vergognandosene mai. Nella mia interpretazione ho cercato di fare lo stesso. Ho voluto raccontare tutto di lei, dalla sua straordinarietà, alle sue debolezze. Ho scelto di interpretarla senza voler imitare il suo modo unico di cantare, ma lasciandomi trasportare allo stesso modo”, racconta Sandra.

Alla fine degli anni settanta, la cantante decise di ritirarsi dalle scene a causa della dipendenza da alcol. Seguirono anni bui, che riuscì a superare soprattutto grazie alla spiritualità e al legame con la cultura sciamanica. “Quando si parla di Vargas, è necessario dire sia della sua vitalità, che della profonda connessione con il tema del magico. Due volte nella vita si è rivolta agli sciamani per ritrovarsi: la prima, in infanzia, in Costarica, per curare un principio di cecità e, la seconda, in età adulta, proprio per disintossicarsi dall’alcol. Ce la fece davvero e rinacque con una tale forza, tanto da guadagnarsi il soprannome di sciamana. Era dotata di una spiritualità radicata che manifestava anche fisicamente con gesti di apertura: cantava sempre con le braccia spalancate e un sorriso accogliente”.

Dopo 15 anni di silenzio, Chavela Vargas tornò a Città del Messico, dove ormai era stata data per morta, tanto che artisti del calibro di Mercedes Souza le dedicarono canzoni, ma la chamana era pronta a riprendersi la scena, che si tenne stretta fino all’età di 93 anni.
Poncho rosso, sigaro in bocca e tequila in mano. Provocatoria, contradditoria, forte e debole allo stesso tempo, Chavela non cantava, faceva vibrare l’anima, la sua e quella di chi l’ascoltava.

Nello spettacolo in scena venerdì prossimo, le musiche saranno intervallate momenti narrativi, con riferimenti anche al poeta García Lorca, per il quale Vargas provava una forte ammirazione, fino a dedicargli il suo ultimo album intitolato “La luna grande”. Quello di Sandra Zoccolan e Massimo Betti è, dunque, un viaggio biografico alla scoperta dell’artista che ha riscritto la storia della musica popolare messicana, un repertorio di canzoni che spazia dalle più famose e tradizionali “Llorona” e “Paloma negra”, ad altre, più dolci e intime, come “Las simples cosas”.

Approfondimenti