“Cos’è la felicità? In quale gabbia viviamo noi donne e uomini? Cosa ne è della nostra vita se si è re e principessa? Decidere di bere il filtro d’amore è scegliere il nostro destino. È scegliere con passione di vivere”. Comincia così la presentazione di “Isotta”, vincitore del premio Experimenta come miglior spettacolo 2019, pièce a cui Sophie Hames è più affezionata. Lo ha ideato, scritto e realizzato lei, con il supporto di amici e collaboratori ed è lei in scena ad esserci, vestita tutta in nero, quasi nascosta dietro gli enormi burattini, alti circa un metro e mezzo.
“Isotta” nasce a Bergamo, l’attrice e marionettista invece in Belgio nel 1977, in una famiglia di artisti. Nella nostra città arriverà diciott’anni fa seguendo la sua passione per il teatro. “Lo faccio da quando ho 14 anni – racconta – poi mi sono formata come scenografa a Liegi, ma tra le mie professoresse ce n’era una che faceva marionette: ho cominciato a lavorare con lei da subito. Poi ho seguito studi sul melodramma al Conservatorio sempre a Liegi e sono stata ingaggiata in una compagnia di clown di strada come scenografa”.
Il lavoro dietro le quinte però non dura a lungo: Sophie vuole andare in scena e nel giro di poco comincia a fare teatro di strada. “Avevano tutti circa quarant’anni, venti più di me, è stato molto bello e intenso. C’era molta attenzione alla drammaturgia, ma a me mancava tutta la parte fisica, così mi sono spostata per cercarla”.
E così per la prima volta Sophie arriva a Bergamo per un breve soggiorno, ha venticinque anni e sceglie la città perché ospita il Teatro Tascabile (a cui si avvicina). Presto però si sposta a Bologna dove viene ammessa alla Scuola di Teatro “Alessandra Galante Garrone”: “qui ho imparato tantissimo, dai tessuti aerei, alla manipolazione degli oggetti. Dopo quell’esperienza, che mi ha aperto molto la prospettiva, sono tornata in Belgio e ho ripreso a lavorare con la mia compagnia storica, ma presto ho sentito di nuovo il bisogno di partire”.
Così Sophie Hames all’inizio degli anni Duemila ritorna a Bergamo di nuovo, questa volta per restarci. “Mi sono iscritta alla scuola del Teatro Tascabile e ho cominciato a seguire anche danza indiana e ho capito definitivamente che volevo prendere una strada che desse molta attenzione al corpo. Accanto a questo e alla drammaturgia, da tre anni ho ripreso il mio primo amore, le marionette, che è un tipo di teatro molto fisico, dato che i miei personaggi sono molto grandi e richiedono una forte presenza”.
Da qui un percorso non facile (perché fare teatro in Italia non è mai semplice) ma con qualche bella soddisfazione: “Mi sento molto fortunata: quest’anno sono riuscita ad avere delle residenze e riesco a produrre i miei spettacoli, ho tante persone e realtà che mi sostengono come Luigia Calcaterra, una figura con cui mi confronto costantemente, Orlando, di cui faccio parte o l’Università di Bergamo”, per cui, partendo da alcune ricerche sociologiche ha creato spettacoli come “Alilò, rinati nonni domani” e “Componimento sui generi[s]”.
“Quello del genere è un tema che ho bisogno di indagare molto nella mia vita ed esce tanto anche nella mia arte, come in ‘Isotta’, lo spettacolo che sento più mio”. Nella storia originale di origine celtica Isotta e Tristano, nipote di Re Marco di Cornovaglia bevono entrambi un filtro d’amore, mentre nella versione di Sophie Hames è Isotta a berlo e a farlo bere a Tristano. “Sarà lei a scegliere a chi darsi e rifiuterà il matrimonio combinato con Re Marco, innamorato a sua volta di Tristano. Marco chiede alla donna di fingere amore davanti al popolo. Isotta si sottrarrà al suo volere e, diversamente dalla storia originale, non morirà”.
Un estratto di “Isotta” è al centro di una serie di appuntamenti nelle scuole superiori in cui l’attrice e burattinaia incontra i ragazzi nell’ambito delle iniziative di Orlando, “una realtà per me molto importante, è come una famiglia, molto importante insieme ad altre situazioni vitali in questa città, dal Teatro Tascabile, al festival ‘Il Grande Sentiero’, alla Cascina Ponchia, che è stata sgomberata qualche giorno fa. Mi è dispiaciuto molto, l’ho frequentata e ci ho portato anche ‘Isotta’. Trovo strano che un Comune così aperto alla cultura come Bergamo, non capisca che anche lì c’è arte e un movimento sotterraneo importante per gli artisti e la città e quanto la Cascina rappresenti una parte della popolazione. Lo dico alla luce dell’attenzione così preziosa che c’è stata da parte del Comune per gli artisti dopo il lockdown con Affacciati alla finestra”, una serie di spettacoli realizzati nei cortili dei quartieri della città, pensati per offrire un’occasione ai lavoratori dello spettacolo rimasti fermi in seguito alla pandemia e allo stesso tempo una proposta culturale diffusa sul territorio.
“Bergamo richiede un po’ di tempo per essere conosciuta– continua lei – poi quando la abiti è una splendida casa, con una natura fantastica. Credo che per essere bella una città debba essere plurale. Più lo è e più lo sono le persone che la vivono. C’è ancora tanto lavoro da fare in questa direzione”.
Lo strumento per lavorare a una realtà più plurale per Sophie Hames è l’arte, “un modo di non morire. Ciò che faccio lo faccio perché ho bisogno di dire qualcosa che deve uscire. Quando sarò soddisfatta di tutto e non avrò più niente da dire magari mi fermerò, ma credo ci vorrà un bel po’ di tempo. Prima ho lavorato tanto sul femminile, ora più sul maschile. Sto leggendo un sacco sullo spazio fisico e di parola che prendiamo come uomini e donne, sono le prime cose in cui vedi la differenza. Io mi sono autoeducata a parlare più forte, a ridere più forte, cerco anche nello spazio pubblico di prendere il mio posto. Non è naturale per me, ma tento di farlo perché penso che siamo ancora un po’ nell’angolo come donne”.
Uscire dall’angolo per Sophie Hames si traduce prima di tutto in espressione: “non aver paura di dire quello che ci passa per la testa. Siamo qua per sbagliare, per parlare, per comunicare e sciogliere i nodi. Anche gli uomini non devono sentirsi in colpa, ma prendere coscienza: se sono bianchi ed eterosessuali hanno un privilegio che noi donne dobbiamo combattere per avere. A volte ci sono situazioni così sottili che mi chiedo se fermarmi e parlare o se andare avanti o fare finta di niente: accade tutti i giorni, anche solo quando vado a Leroy Merlin a comprare qualcosa e un commesso mi si avvicina, anche se io so cosa mi serve”.