Quando i The Jackal hanno annunciato una serie che raccontava la routine di una web agency non stavo nella pelle perché – oltre a scrivere per Eppen – sono anche content specialist in una digital agency di Bergamo. Avete notato che ho già utilizzato due denominazioni differenti per definire la stessa azienda? Non a caso, la serie si fa beffa di tutte le esagerazioni lessicali che caratterizzano il mondo della comunicazione odierna.
Nella sede centrale dell’agenzia «Tree of us», per decidere il colore dei calzini che indosserà Achille Lauro – volto della pubblicità di un nuovo smartphone – ci sono: un head of branded content, un head graphic designer, una senior copy, uno junior creative assistent, una color match curator, un talent manager, una social data analist e infine Greta Benni (Martina Tinniriello), creative director di progetto. Sarà proprio lei l’elemento di rottura nella sede in cui lavora Fabio Balsamo con la sua cricca, dal momento che sarà trasferita nella filiale periferica in provincia di Napoli, dopo aver preso a schiaffi Achille Lauro che, da brava celebrità, non ne voleva sapere di farsi immortalare mentre tiene in mano un telefono di fascia media.
In questa nuova agenzia i nuovi colleghi saranno Fru social media manager, Ciro il videomaker, Fabio il produttore, Aurora la project manager, e Alessio junior creative. L’impatto tra Greta e il nuovo gruppo non è dei migliori: lei è fredda, cinica, focalizzata sul lavoro, mentre gli altri sono persone affiatate, calorose, cantano al karaoke e si scambiano merendine in pausa pranzo. Eppure questo nuovo ingresso sarà al tempo stesso un invito ad alzare l’asticella per provare a farsi largo in un mare che, neanche a farlo apposta, è pieno di pesci.
E quindi eccoli, a fiancheggiare un influencer da centomila followers su Instagram (Herbert Ballerina) che deve sponsorizzare un parquet ma sembra aver perso il suo unico, più grande talento: chiudere ogni video scivolando sul pavimento.
Il marketing come non l’avete mai visto
Lavorare nel mondo della comunicazione oggi equivale, quasi sempre, a scendere a patti con il diavolo. Le call, i pitch, i claim, i concept, il pourpose e il linguaggio assertivo della comunicazione delle mail in cui aspettiamo riscontri gentili e ci scambiamo saluti distinti.
«Pesci piccoli» ironizza sulle vite di un gruppo di giovani creativi di un’agenzia di provincia che devono accontentare, appunto, i pesci piccoli del mercato, dall’azienda locale di parquet a quella degli snack. Del resto chi lavora nel marketing sa che curare una campagna per qualcuno significa spesso spendere tempo ed energie per tirare fuori migliori idee poi vederle rimpiazzare da un cliente a cui viene in mente qualche trovata stupida che però a lui piace tantissimo.
«Pesci piccoli» è una serie comica in cui le storie dei vari personaggi si intrecciano, si cementano delle amicizie e forse nascono degli amori, con un pizzico di malinconia miscelata a divertentissime gag. Sono poco più di tre ore di sano divertimento per un prodotto che nasce con lo scopo di far ridere ma anche riflettere. Giusto per non cadere nel citazionismo che ai «The Jackal» piace tanto.
Insomma, c’è tutto il potenziale per sviluppare una connessione emotiva con i protagonisti. Non a caso la caratterizzazione dei personaggi segue quelle consuete dei vari membri del gruppo al di fuori della serie che abbiamo visto e riconosciuto nei loro video. Ciro è il ragazzo imbranato e bonaccione incapace di dire la verità anche quando questo comporta delle situazioni surreali, come ferire i sentimenti di Giovanni Muciaccia, una delle guest star che per l’occasione interpreta un barista che consegna piadine a domicilio che non piacciono a nessuno.
Aurora è la ragazza sveglia, polemica e precisina che non ha smesso di sognare (e di innamorarsi di uomini sbagliati). Fabio è il burbero dalla nevrosi facile che non riesce a superare la rottura con la sua ex perché sotto alla corazza nasconde un cuore tenero. Poi c’è Fru che semplicemente interpreta Fru, con gli scoppi d’ira, le trovate esilaranti – utilizzare il voice over per fare il narratore esterno delle vite altrui con un microfono da karaoke è geniale – il tutto unito alla sua proverbiale incapacità di digerire le storture di questo mondo.
Non mancano, come anticipavo, gli omaggi e le citazioni. Come nel caso del palese riferimento a «The office» nella quarta puntata intitolata non a caso «L’ufficio» (la più bella della serie, a mio modestissimo parere) nella quale c’è una troupe che gira un documentario in agenzia proprio nel giorno in cui Fru ha istituito il «Pesce di marzo» (Perché il «Pesce d’aprile» era troppo sdoganato). In questo episodio, infatti, i The Jackal mettono in scena la mancanza di autenticità in un mondo che dovrebbe fare dell’originalità il proprio faro, ma invece si perde in trame ripetute. Del resto cosa si può dire di nuovo quando è tutto già stato detto?
L’aspetto geniale è che questa riflessione si aggrappa apertamente a un format noto, per incentrare la puntata su un caso di plagio di cui è vittima l’agenzia. L’effetto è potente, perché ci mette sul piatto i limiti delle citazioni, degli omaggi e delle imitazioni proprio mentre li stiamo vivendo in prima persona, insieme ai protagonisti. «Che differenza c’è tra ispirarsi e rubare? Ispirarsi è come quando io vedo una bella cosa, come il divano di Mario e lo compro uguale per casa mia. Rubare è come se io prendessi proprio il divano di Mario ma Mario non lo sa».
Chi sono i The Jackal?
Ho scelto di raccontare la serie dei «The Jackal» perché ho rivisto la mia generazione e i suoi drammi, messi in scena e un po’ in ridicolo. Quando sei piccolo sogni di cambiare il mondo e poi crescendo, ti accorgi che sei un’entità minuscola che nuota per non farsi trascinare dalla corrente. E continui a nuotare, nuotare con tutte le tue forze. Vuoi dimostrare a te stesso, ai tuoi amici, ai tuoi genitori che ce la stai facendo, che hai fatto bene a cambiare aria, che vivi da solo ma in realtà abiti in una stanza, dentro ad un appartamento condiviso. Che hai quasi trent’anni e non lo sai se riuscirai davvero a fare la differenza.
In realtà adesso ti basterebbe solo sentirti parte di qualcosa, qualcosa di giusto, di vero in cui credere. E sì, i social sono solo social, sui social la gente scrive di tutto, ma è proprio grazie ai social che ti paghi le bollette e scrivi il tuo futuro.
I The Jackal sono quei colleghi che all’inizio non sopportavi ma che alla fine hai imparato ad apprezzare, dietro al filtro delle loro storie che fingono di lasciare fuori dalla porta ma che gli leggi in faccia appena varcano la soglia dell’ufficio: delusioni amorose, drammi familiari, difficoltà relazionali. Tra i ritmi infernali della vita d’agenzia, le scadenze, i clienti, i prospect, i competitor, alla fine i The Jackal ci insegnano che niente unisce gli umani come essere complici di un gesto malefico e custodire un segreto. E cosa fa il marketing se non custodire il segreto di un bisogno indotto, mascherato da impellente necessità?