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#coseserie: «Mad men»: strategia del desiderio, critica e storia del potere moderno in una delle migliori serie di sempre

Articolo. Per chi non ha mai visto questa serie, è il momento di recuperare. Ambientata negli anni ’60, «Mad Men» segue la vita di Don Draper e dei pubblicitari di Madison Avenue. Disponibile su Netflix e considerata una delle migliori serie nella storia della televisione, è un viaggio nei lati oscuri del sogno americano.

Lettura 5 min.

Anno 1960, New York, Madison Avenue, agenzia pubblicitaria «Sterling Cooper». Seduta alla sua scrivania, frontale alla porta di un ufficio, una giovane segretaria appunta su un biglietto le chiamate da riferire. Oltre la parete, un uomo alto in giacca e cravatta osserva la metropoli dalle immense vetrate. Lei e lui sono ciò che rappresentano, ma nessuno dei due si sente rappresentato da ciò che è. «Mad men» è un termine coniato alla fine degli anni ‘50 per descrivere gli agenti pubblicitari di Madison Avenue. Il termine lo hanno inventato loro stessi e che faccia riferimento a un solo genere – man- non è casuale, né semplice convenzione linguistica.

«Mad Men» ha ricevuto numerosi premi, tra cui diversi Emmy e Golden Globe, ed è una delle ultime grandi serie a debuttare prima dell’esplosione dello streaming, il suo successo non è quindi legato a una diffusione virale o alla disponibilità su piattaforme come Netflix. La serie televisiva statunitense creata da Matthew Weiner, andata in onda dal 2007 al 2015 con sette stagioni, è ambientata negli anni ’60 e racconta le evoluzioni dell’agenzia pubblicitaria «Sterling Cooper», o meglio, del suo direttore creativo, l’imperscrutabile Don Draper, stereotipo e “pedina” del mondo in cui è inserito, e di tutte le persone che girano attorno a lui.

Pur essendo ambientata negli anni ’60, la serie tocca temi ancora rilevanti come l’identità personale, la ricerca di significato, discriminazioni e disuguaglianze, il potere del consumismo e il divario tra apparenza e realtà. A determinarne il successo sono state la sceneggiatura potente e la regia “meditata” con impeccabile attenzione alle scenografie, ma anche ad usi e costumi della società americana di quei tempi. La pubblicità, cuore della serie, è metafora del creare illusioni, vendere sogni e manipolare desideri, che «Mad Men» esplora come un riflesso nella dicotomia tra ciò che le persone desiderano essere e ciò che realmente sono.

Passato e futuro della società occidentale

Il contesto socioeconomico di «Mad Men» riflette i tumulti degli anni ’60 negli Stati Uniti, un’epoca di passaggio, di cambiamenti culturali, sociali ed economici. La città di New York è tra le protagoniste, capitale dell’industria pubblicitaria e simbolo del capitalismo nel periodo in cui la società americana si confronta con le sue contraddizioni. Gli anni ’60 di «Mad Men» sono quelli del boom economico dopo la Seconda Guerra Mondiale in cui le persone erano incentivate a spendere.

Il consumismo iniziava ad essere al centro della cultura, di conseguenza, la pubblicità era una forza potente con il compito di modellare i desideri e le aspirazioni delle persone. «Questo dispositivo non è una navicella spaziale, è una macchina del tempo. Va avanti e indietro. Ci porta in un posto dove desideriamo ardentemente tornare», dice il protagonista, Don Draper, riferendosi alla nostalgia creata dalla pubblicità. «Mad Men» affonda nei dettagli e ci spiega come siamo arrivati qui: prima dello storytelling, prima di slogan come «Vendiamo emozioni, non oggetti», ci sono il capitalismo e il branding, dove l’emozione associata a un marchio diventa cruciale per la sua identità.

La strategia del desiderio

Don Draper e gli altri pubblicitari della «Sterling Cooper» sono pionieri immaginari. «Mad Men» viene spesso citata per comprendere le origini del marketing, in particolare il passaggio dall’approccio strettamente informativo a quello più emotivo e psicologico, che è oggi dominante. La serie rappresenta un periodo di transizione fondamentale nella storia della pubblicità, che coincide con l’evoluzione delle tecniche di marketing. Prima degli anni ’60, la pubblicità tendeva a concentrarsi su caratteristiche tangibili dei prodotti, come il prezzo, la qualità e la funzione. «Mad Men» racconta, invece, un’evoluzione verso la creazione di una connessione emotiva tra il prodotto e il consumatore. Gli anni ’60 sono il periodo in cui gli studi sulla psicologia del consumatore, come quelli di Ernest Dichter e delle ricerche motivazionali, iniziano a influenzare pesantemente il marketing.

La pubblicità non si limita più a mostrare un prodotto, ma cerca di intercettare bisogni e desideri nascosti. La serie solleva chiaramente anche questioni etiche che sono centrali nel dibattito moderno. La manipolazione dei consumatori è un tema ricorrente che mette in luce la natura della pubblicità, il cui obiettivo principale è quello di far desiderare alle persone qualcosa di cui non sapevano di aver bisogno.

Quando la scrittura fa la differenza

La forza della sceneggiatura di «Mad Men» è uno degli elementi che ha reso la serie iconica e duratura. A differenza di molte serie attuali che puntano su colpi di scena rapidi e drammi esagerati, «Mad Men» avanza lentamente, prendendosi il tempo per sviluppare storie e temi, questo approccio slow-burn permette al pubblico di immergersi. Matthew Weiner, ideatore e sceneggiatore, ha creato un intreccio complesso, stratificato e pieno di sfumature, in cui ogni dialogo e situazione rafforzano la riflessione su personaggi e la società. Ogni personaggio, anche i secondari, è sviluppato con profondità psicologica e la scrittura si concentra sulle loro motivazioni, debolezze e trasformazioni. I dialoghi non sono mai espliciti, ma lasciano intuire sentimenti nascosti, tensioni irrisolte e dinamiche complesse. I temi trattati sono universali e senza tempo: identità, cambiamento, ambizione, fallimento, amore, solitudine e la scrittura riesce a mantenere le questioni rilevanti non solo per il periodo storico della narrazione, ma anche per il presente.

«Se non ti piace quello che si dice, cambia la conversazione» , Don Draper

«Mad men» è Donald “Don” Draper, personaggio di complesso e sfaccettato. Uomo potente con genialità creativa, carismatico e affascinante, il pubblicitario incarna l’immaginario dell’uomo di successo, quantomeno di quell’epoca. Il modo di parlare, la sicurezza e la capacità di dominare le situazioni lo rendono apparentemente invincibile, ma dietro la facciata di potere e controllo, il personaggio Draper, è di un uomo fragile. Il passato tormentato e il conflitto interiore lo avvicinano allo spettatore, soprattutto nei momenti in cui si mostra più vulnerabile, ma allo stesso tempo sono una rappresentazione della mascolinità tossica. Draper non è solo tormentato, è anche un uomo che ha bisogno del potere per sentirsi vivo, agendo in modo egoistico e manipolatorio.

Pur essendo un prodotto di quel contesto, la sua sofferenza interna e il suo modo di vivere come una “costruzione” sociale rivelano i limiti e i danni del sistema patriarcale anche sugli uomini stessi. Talvolta consapevole dei propri difetti, Draper sembra incapace di evolversi davvero, intrappolato in una spirale di autodistruzione. È dunque la sceneggiatura a lasciarci intendere quanto il modello di mascolinità moderna riconoscibile, sia perlopiù una gabbia dorata sin dalle sue origini.

Male gaze: donne al lavoro, in cucina, in hotel

«Mad man» dichiara e fa cadere il velo del male gaze, ovvero la raffigurazione dell’universo femminile narrato da una prospettiva maschile. Non è un caso che i personaggi femminili di «Mad Men» mostrino diverse declinazioni di subordinazione all’uomo: il potere, la competenza, la bellezza, persino l’adeguatezza al ruolo occupato, sono tutte caratteristiche strettamente dipendenti dall’approvazione maschile. Peggy inizia come segretaria e riesce a farsi strada nel mondo della pubblicità, ma per ottenere rispetto e avanzare nella sua carriera deve emulare i tratti dei suoi colleghi sacrificando la sua autenticità. Il suo percorso è un infinito ping-pong tra l’accettazione delle aspettative e la realizzazione dei propri desideri. Joan utilizza il suo fascino per determinarsi, ma anche lei deve adattarsi alle regole del gioco maschile, anche qui il suo percorso è costellato di compromessi tra desideri personali e aspettative del mondo del lavoro.

Entrambe le donne, pur riuscendo ad ottenere avanzamenti di carriera, lo fanno in gran parte attraverso l’adattamento alle norme, e non cambiando radicalmente il sistema che le ha oppresse. Lo stesso vale per tutti gli altri personaggi femminili, che siano mogli, figlie, amanti o colleghe.

La serie di Matthew Weiner ci racconta le origini del sogno americano fondato sul «se vuoi puoi», motto e slogan del capitalismo, ma ne mostra anche vene scoperte e falle. Noi, dai nostri divani, schiacciando comodamente play, possiamo chiederci che cosa e quanto sia cambiato dal 1960.

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