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#workinprogress: basterebbe un giorno di sciopero dei pickers per scatenare il colera

Articolo. La transizione ecologica non è semplicemente l’introduzione di nuovi settori o professioni nell’economia; rappresenta un cambiamento radicale che richiede alla società e ai sistemi produttivi di adattarsi. Questo processo implica una ridefinizione del modo di concepire il metabolismo tra uomo e natura. Scopriremo anche che questo processo ha a che fare con la tutela giuridica dei lavoratori. Per illustrare in modo chiaro le implicazioni, consideriamo un esempio concreto: la filiera della plastica.

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(Maxim Blinkov Shutterstock.com)

La plastica è ovunque. Nell’aria che respiriamo, nell’acqua che beviamo, nei ghiacci della calotta artica. È arrivata persino nei fondali della fossa delle Marianne , la più profonda depressione oceanica al mondo. Dunque la sfida per la sua riduzione occupa una posizione centrale nelle politiche ambientali globali.

Il valore delle iniziative spontanee

È chiaro che le iniziative isolate e volontarie — messe in atto da singole imprese, ONG o gruppi di consumatori — non sono sufficienti. Secondo un rapporto della Pew Foundation , anche nel migliore dei casi, tali iniziative porterebbero a una riduzione del consumo di plastica del 7% nell’arco di vent’anni. Questa risposta è ben lontana dall’essere minimamente adeguata al problema che ci troviamo ad affrontare. Promuovere slogan superficiali e stili di vita sostenibili nelle poche aree del mondo in grado di scegliere cosa acquistare non ci porterà da nessuna parte. Se desideriamo davvero avere un impatto significativo, è necessaria una serie di azioni coordinate lungo l’intera filiera transnazionale della plastica.

La filiera della plastica è un processo complesso che va dalla produzione delle materie prime, al riciclo e alla gestione dei rifiuti. La plastica è generalmente realizzata a partire da risorse fossili come petrolio e gas naturale, che vengono trasformati in polimeri attraverso processi chimici. Questi polimeri sono poi lavorati per creare una vasta gamma di prodotti tramite tecniche come l’estrusione e lo stampaggio ad iniezione.

Riciclo o riuso?

Un passo fondamentale per ridurre la produzione di plastica è migliorare le nostre capacità di riciclo e riuso. Ogni tonnellata di plastica riciclata equivale a una tonnellata in meno che finisce nell’ambiente. Ci troviamo di fronte ad un cambiamento sostanziale: la materia prima è rappresentata dai rifiuti, non più dal petrolio. Ciò solleva due questioni cruciali: sviluppare tecnologie avanzate per il riciclo e costruire infrastrutture globali per la gestione e l’approvvigionamento dei rifiuti. Senza rifiuti, non esiste riciclo e la maggior parte dei rifiuti plastici si concentra nelle aree più povere del mondo, lontano dai centri di riciclo europei.

Le risorse più preziose per il riciclo della plastica sono due, ma sono lontanissime

Da un lato, scienziati e ricercatori; dall’altro, gli abitanti degli slums africani, asiatici e latinoamericani. In poche parole, i poverissimi del mondo. Vedremo tra poco perché.

La ricerca scientifica è fondamentale. Le tecnologie emergenti per il riciclo della plastica stanno evolvendo rapidamente. Tra queste, un primo esempio è il riciclo chimico. A differenza di quello meccanico, che riduce la plastica a granuli, il riciclo chimico scompone i polimeri in monomeri o altri materiali chimici. Questo consente di ripristinare la plastica ai suoi componenti originali, rendendo possibile il riciclo di plastiche più contaminate o miste. Un secondo esempio riguarda l’ambito delle biotecnologie: alcuni studi stanno esplorando l’uso di enzimi o batteri per degradare la plastica. Questi organismi sono in grado di scomporre i polimeri in componenti più semplici, che possono poi essere riciclati. Ad esempio, l’uso di enzimi come il PETase ha mostrato promettenti risultati nel riciclare il PET.

Last but non least, grazie all’intelligenza artificiale e al machine learnig si stanno sviluppando tecnologie incredibilmente più efficaci per separazione dei diversi tipi di plastica nei centri di raccolta, aumentando così le percentuali di riciclo. Certo, per ogni singola tecnologia deve essere sempre preso in considerazione l’impatto carbonico complessivo, che comprende calcoli energetici e logistici. Proprio per questo è importante che si lavori contemporaneamente su più fronti.

Ma tutto ciò riguarda solo una delle due polarità della filiera del riciclo. Non risolve il problema dell’approvvigionamento della materia prima, ossia dei rifiuti plastici. Ed è proprio qui che entrano in gioco gli abitanti degli slums noti come pickers o raccoglitori di rifiuti. Queste persone giocano un ruolo cruciale nella gestione dei rifiuti e nel riciclo, contribuendo a ridurre l’impatto ambientale e a recuperare risorse preziose. Nelle città africane, ad esempio, una parte significativa del materiale riciclato proviene dal lavoro di questi raccoglitori, che spesso abitano comunità poverissime e lavorano in autonomia, senza alcuna forma di protezione sociale.

I pickers si trovano ad affrontare numerose sfide: mancanza di riconoscimento sociale e giuridico, condizioni di lavoro precarie e rischi per la salute legati all’esposizione a rifiuti pericolosi senza adeguati dispositivi di protezione. Inoltre non ricevono compensi equi per il loro lavoro. Tuttavia, negli ultimi anni, alcuni di loro hanno iniziato a organizzarsi in cooperative e piccole imprese per migliorare le loro condizioni di lavoro e aumentare l’efficienza della raccolta, come nel caso esemplare di Wecyclers in Nigeria.

In sintesi, i pickers di rifiuti plastici, spesso erroneamente considerati come gli ultimi della società, rappresentano una componente fondamentale della catena di riciclo e gestione dei rifiuti. Da loro dipendono non solo le sorti delle multinazionali della plastica, ma anche le avanguardie più promettenti della scienza del riciclo. Se vogliamo affrontare la crisi della plastica in modo efficace, è essenziale riconoscere e valorizzare il loro contributo. Anche sul piano sanitario, perché movimentano grandi quantità di rifiuti organici impedendone la sedimentazione con tutti gli effetti collaterali conseguenti. Come mi disse una volta la CEO di una nota multinazionale del settore plastico, basterebbe un giorno di sciopero globale dei pickers per bloccare l’intera filiera e scatenare epidemie di colera.

Il futuro della gestione della plastica sarà sicuramente influenzato dall’evoluzione delle normative a livello globale. È fondamentale stabilire regole uniformi e paritarie per tutti gli attori coinvolti. Tuttavia, sarà compito delle grandi multinazionali decidere come interagire con i consumatori in questo nuovo contesto.

La filiera industriale della plastica

Quando, alcuni anni fa, si è manifestata l’emergenza relativa alla plastica, molte aziende hanno cercato semplicemente di rispondere alle nuove richieste dei consumatori, desiderosi di giustificare le proprie scelte attraverso l’acquisto di prodotti ecologici. In alcuni casi, questo ha portato a situazioni paradossali, in cui aziende, nel tentativo di offrire prodotti interamente riciclati, hanno adottato pratiche di approvvigionamento dei rifiuti plastici che, nel complesso, hanno avuto un impatto ambientale più negativo rispetto a quello della plastica non riciclata.

Oggi sembra si stia muovendo verso un approccio meno sensazionalistico e più razionale nella gestione della plastica. Accanto alla ricerca sul riciclo, si stanno facendo significativi investimenti nella progettazione dei prodotti, in particolare per quanto riguarda i flaconi in plastica di largo consumo. Anche a livello di design ci sono ampi margini di miglioramento, sia nella riduzione della quantità di plastica utilizzata in ogni flacone, grazie all’innovazione nei materiali e nelle forme, sia nell’ottimizzazione della progettazione stessa. Una progettazione diversa non solo facilita il riciclo, ma promuove anche pratiche di riuso su larga scala, superando le piccole sperimentazioni locali che attualmente osserviamo in alcuni paesi europei. Infatti, la sostituzione del rebuild con il refill può portare a una ulteriore significativa riduzione del consumo di plastica.

L’alternativa all’abbraccio mortifero tra il desiderio di autoassoluzione del consumatore e il green marketing consiste in una politica comune e condivisa delle grandi multinazionali, volta a educare i consumatori ad adottare nuove pratiche di riuso e un’offerta di prodotti — ad esempio flaconi più uniformi tra loro al di là del marchio e delle sue esigenze di riconoscimento e comunicazione — che si basi su principi di razionalità scientifica e su un’organizzazione produttiva che ha come priorità la riduzione dell’impatto ambientale e, solo in seconda battuta, la massimizzazione dei profitti. Anche perché costruire una nuova capacità di adattamento della nostra specie ai mutamenti ecosistemici è oggi la premessa inevitabile di qualunque possibile attività umana futura. E il mercato non fa eccezione.

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