C’è un piccolo paese in cima alla Val Brembana che ha un primato particolare e unico. Potremmo chiamarlo il «paese delle doppie eccellenze». Vi si producono, infatti, da secoli, due prodotti straordinari, due tesori del territorio, due eccellenze oggi riconosciute e tutelate dai Marchi della Camera di Commercio. Uno lo conosciamo tutti di nome e di fatto: è il famosissimo formaggio. L’altro prodotto potrebbe essere meno noto ai più, anche se l’abbiamo visto tutti innumerevoli volte a comporre il solido e antico tetto della chiesa forse più cara ai bergamaschi: Santa Maria Maggiore in Città Alta. Avete indovinato di quale paese stiamo parlando?
Sì, esatto, stiamo parlando proprio di Branzi, il piccolo centro ai piedi delle Orobie che conta meno di 700 abitanti e che da tempi immemorabili produce con tecniche tradizionali un formaggio squisito, il Branzi, e una pietra eccezionale, il Porfidoide Grigio, chiamato anche Ardesia di Branzi o «piode». Ma i primati e la straordinarietà di Branzi e delle sue pietre non finiscono qui. Per scoprirli dobbiamo partire con la macchina del tempo di Eppen per un viaggio alle origini del nostro territorio, tra le più antiche rocce che affiorano in bergamasca.
Eccoci nel Permiano, circa 250 milioni di anni fa, in un ambiente completamente diverso da quello di oggi. Siamo sulla terra ferma, in un altopiano vulcanico circondato da montagne. Il clima è caldo e si succedono ciclicamente periodi umidi e secchi. L’altopiano è solcato da fiumi ed è ricco di laghi, dove si depositano, alternati, sabbie e fanghi. Si forma così il complesso di rocce che oggi si trovano in tutte le Orobie e che i geologi ora chiamano formazione del Pizzo del Diavolo, mentre fino a pochi anni fa chiamavano formazione di Collio.
Lungo le spiagge dei laghi camminano numerosi tetrapodi, vertebrati simili alle attuali lucertole, che lasciano traccia delle loro piste e che ora gli esperti riconoscono studiando le impronte conservate dal sedimento che si è trasformato in roccia. Da un certo punto di vista, anche se ci trovavamo ad un’altra latitudine rispetto all’attuale, potremmo dire che sono stati loro i primi abitanti del territorio bergamasco! Non abbiamo resti fossili di questi animali, solo le impronte del loro passaggio, di cui il Museo Caffi di Bergamo conserva bellissimi reperti.
Continuando il nostro viaggio nel tempo, arriviamo nel Cretaceo (circa 80 milioni di anni fa). È una fase di grandi cambiamenti. Insieme alla successione marina triassica, giurassica e cretacica, anche la serie permiana viene coinvolta nelle deformazioni correlate con la formazione delle Alpi. Le intense sollecitazioni compressive deformano, piegano, strizzano i depositi permiani, ormai roccia e, in corrispondenza degli assi delle pieghe, li fanno ricristallizzare con una nuova tessitura ad orientazione planare, che rende possibile la sfaldatura lungo piani regolari e continui. Lontano dalle pieghe, la roccia non si sfalda. Infine, negli ultimi milioni di anni, queste stesse rocce, tra le più antiche affioranti ora in Orobie, sono state portate in superficie e intensamente modellate dal passaggio dei ghiacciai.
Siamo ormai giunti con il nostro viaggio in tempi storici: nel III secolo a.C. circa, le prime popolazioni insediate sul territorio – forse collegate con quelle camune – ci hanno lasciato, proprio sulle pietre della famiglia del Porfiroide Grigio, spettacolari incisioni rupestri su alcuni massi rocciosi. È in questo momento che inizia la storia del Porfiroide Grigio come prodotto: infatti, le porzioni di roccia più facilmente sfaldabili in elementi lastrolari vengono utilizzate per la copertura delle abitazioni e di costruzioni importantissime, come il tempietto di San Tomè, tra i primissimi esempi di architettura romanica e oggi sede dell’Antenna del Romanico.
Alcuni secoli dopo, per onorare il voto della popolazione alla Madonna affinché liberasse la gente dalla peste seguita a siccità e carestia, si decide di costruire una chiesa, Santa Maria Maggiore, alla cui Fabbrica lavorano anche i Maestri Campionesi. La chiesa deve essere solida e bella, si opta quindi per realizzare il manto di copertura in lose di Branzi, quello che vediamo anche oggi.
Ma come fare per issare e posizionare le pesanti pietre, che arrivano anche a 50-100 kg, sul tetto? I costruttori trovarono una soluzione ingegnosa: due enormi argani con ruote a pioli, che funzionano a forza di gambe e braccia umane, sono tuttora conservati nella loro posizione nel sottotetto della basilica. A fare loro compagnia è una famiglia speciale: il sottotetto ospita infatti la maggiore colonia di un chirottero notturno piuttosto raro, il Rinolofo Maggiore, che ha trovato sotto il manto di Maria il suo habitat perfetto, al riparo da luce, rumori molesti e inquinamento.
Dal Medioevo in avanti, il valore dell’Ardesia di Branzi si consolida sempre più, e continua anche sotto la dominazione della Serenissima, impiegando nelle varie attività di estrazione, lavorazione, selezione e trasporto tutta la popolazione, donne e bambini compresi. Nel 1797, infatti, attraverso il suo Vicario Minerario, Venezia emana una singolare ordinanza di polizia mineraria: per non arrecare danno ai cavatori, si impedisce il taglio del bosco e il pascolo in prossimità della cava di piode di Branzi, che già si chiamava Piodera come oggi. È evidente quindi che le attività estrattive fossero prioritarie rispetto a quelle, pure importanti, di sostentamento.
La stessa cava di allora è tuttora in attività e produce, ancora artigianalmente, elementi per coperture e per pavimentazioni. Infatti, anche se oggi il mercato si è globalizzato e gli approvvigionamenti sono più facili, il Porfiroide di Branzi resta una pietra singolare e con pochi analoghi, poiché è il frutto di una combinazione di fattori naturali eccezionali: composizione mineralogica, tessitura, lavorabilità e caratteristiche tecniche. La roccia, infatti, è costituita da quarzo, uno dei minerali più duri e resistenti, e da silicati allineati lungo piani e alternati alla sericite, un minerale lamellare che si sfalda con facilità.
Questa tessitura – fatta di alternanze planari proprio come una millefoglie – è il risultato della storia geologica della roccia. Dove la roccia è stata intensamente deformata e piegata durante la formazione delle Alpi, i minerali sono stati costretti a ricristallizzare, allineandosi lungo i piani e creando la caratteristica sfaldabilità. Questi piani rendono la pietra facilmente divisibile in lastre di qualche centimetro di spessore con la semplice, ma sapiente, gestualità del pioder che, quasi fosse una magia, percuotendo la roccia con un martello piatto ne ricava tante lastre sottili.
Le lastre lavorate a spacco sono piane, ma sufficientemente scabre per essere impiegate per pavimentazioni esterne, antisdrucciolo anche quando piove, e per le coperture dei tetti. Insieme alla lavorabilità, la composizione mineralogica e la tessitura sono anche la chiave per le proprietà tecniche del Porfiroide Grigio. Visto l’impiego per tetti e pavimentazioni esterne, è indispensabile che la pietra sia resistente alle intemperie e al gelo-disgelo, che sia poco assorbente e molto resistente ai carichi: dovrà sostenere il peso della neve che si accumula sulle falde dei tetti! L’uso secolare conferma queste proprietà, che si verificano anche con periodiche prove di laboratorio, come richiesto dal mercato.
Oggi, infatti, l’utilizzo del Porfiroide Grigio si distribuisce tra contesti residenziali, come copertura dei tetti e pavimentazioni esterne, e contesti pubblici, soprattutto per la pavimentazione degli spazi aperti. In Val d’Aosta, da anni la Regione tutela il paesaggio dei borghi montani con i tetti in pietra e disciplina la selezione delle pietre idonee, tra cui il Porfiroide Grigio. Tra gli impieghi più recenti e prestigiosi, invece, per gli spazi aperti, sicuramente è la piazza Gae Aulenti a Milano a meritare una visita.