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Tumori: come la bioinformatica e le nuove tecnologie aiutano la diagnosi e la cura

Articolo. In Europa, l’Italia «fa registrare il più alto numero di donne vive dopo la diagnosi di cancro in rapporto alla popolazione». A riportarlo sono stati, a inizio giugno, gli esperti dell’Associazione italiana di oncologia medica riuniti a Chicago per il Congresso dell’American Society of Clinical Oncology. È un dato che fa ben sperare, ma lo sviluppo di nuove terapie e di nuove tecnologie deve andare di pari passo con il tema della prevenzione

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Quanto è stato emozionante vedere le campionesse ed i campioni italiani di atletica collezionare così tante medaglie agli ultimi Campionati Europei? Lo show di Tamberi, la resistenza di Battocletti e la concentrazione di Iapichino ci hanno fatto tifare dai nostri divani. Tante medaglie nello sport, è vero. Ma anche per quanto riguarda la salute e la ricerca possiamo sentirci davvero forti.

Nell’edizione di inizio giugno del Congresso mondiale dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) a Chicago, dedicato ai progressi della cura del cancro («The Art and Science of Cancer Care: From Comfort to Cure»), l’Italia si è distinta come il Paese europeo con il più alto numero di donne vive dopo la diagnosi di tumore: quasi 2 milioni di cittadine. Considerati gli andamenti della ricerca e i numeri dei nuovi malati e dei sopravvissuti, ci sono valori che fanno sperare: dal 1988 ad oggi sono state salvate più di 6 milioni di vite nel Vecchio Continente, più che negli Stati Uniti nello stesso periodo, e 12,8 milioni di donne e 10,9 milioni di uomini europei (con un aumento del 41% in dieci anni) sono sopravvissuti dopo la diagnosi di cancro.

Ma a cosa è dovuto questo “primato”? In molti, purtroppo, durante la pandemia non hanno potuto accedere alle cure e agli screening usuali, facendo registrare un aumento di casi diagnosticati nel 2023 rispetto al 2020 (ben 18.400 diagnosi in più). Ad aver fatto la differenza, almeno in parte, è stato uno “stile di vita sano”: riduzione del fumo di sigaretta, maggiore attenzione all’attività fisica e alla dieta seguita, così come un aumentato numero di screening e terapie sempre più efficaci.

Purtroppo non ci sono solo buone notizie. Su «Annals of Oncology» è stato pubblicato recentemente uno studio che evidenziava come nel 2024 il tumore al colon-retto in Italia nella popolazione tra i 25 e i 49 anni aumenterà rispetto agli anni scorsi, dell’1,5% tra gli uomini e del 2,6% tra le donne. Per quanto riguarda il tumore al seno, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro di Lione (IARC) stima che fino al 2040 ci sarà un aumento di nuovi casi dello 0,2% ogni anno. Questo sottolinea l’importanza di sottoporsi a screening e controlli per queste neoplasie, al fine di scoprire il prima possibile un’eventuale malattia e riuscire a curarla prima che sia troppo tardi.

Come nasce un tumore?

I tumori, conosciuti anche come “neoplasie” o “cancro”, sono malattie che vanno a colpire direttamente il DNA delle nostre cellule. Un essere umano adulto è composto mediamente da 37,2 trilioni di cellule, ognuna con un proprio nucleo, che contiene il DNA. Nel corso della vita, ogni cellula può accumulare spontaneamente diverse mutazioni nei geni, ma molte vengono subito riparate e, solitamente, non causano problemi. Alcune, però, possono colpire porzioni di DNA che si occupano di regolare la crescita cellulare, creando scompensi in questi meccanismi e, così, la cellula malata si moltiplica senza controllo, creando una massa. Le mutazioni genetiche possono essere causate da tanti fattori diversi: errori casuali durante la replicazione del DNA, esposizione a radiazioni o ad agenti chimici e fisici ambientali, fattori di predisposizione genetica ed altri epigenetici (come il fumo di sigaretta e un abuso di alcool).

Il cancro non è una malattia ereditaria, quindi non è detto che se i vostri genitori si sono ammalati di tumore allora sicuramente anche voi ne avrete uno. Ci sono, però, delle varianti genetiche che possono predisporre i singoli individui a un rischio maggiore, e queste possono provenire dai genitori. Un rischio più alto non implica la sicurezza di avere un tumore nel corso della vita, ma ne aumenta la probabilità.

In prima linea, anche a Bergamo e provincia

La ricerca contro il cancro coinvolge migliaia di centri, istituti, ospedali e università in tutto il mondo. Conoscerete sicuramente la Fondazione Veronesi , che oltre a proporre attività di ricerca in molti tipi di tumori diversi si occupa anche di divulgazione, sensibilizzazione e formazione, anche nelle scuole.

Nella nostra provincia abbiamo diverse associazioni, tra cui « Cuore di Donna », fondata più di dieci anni fa a Casazza e in espansione in diverse regioni italiane. È nata come un gruppo di donne, malate di tumore al seno, che forniva auto-mutuo-aiuto. Ora il gruppo promuove attività di prevenzione e sostegno in tutto il territorio bergamasco e non, coinvolgendo a ogni evento centinaia di persone; sensibilizza sull’importanza della prevenzione, sia a livello di stile di vita assunto sia di esami medici svolti regolarmente, e stimola le agenzie sanitarie territoriali a proporre interventi mirati per le patologie tumorali. Inoltre, fornisce un aiuto concreto alle malate di tumore alla mammella accompagnando a visite, esami e ritiro di referti. A Bergamo, il gruppo conta sull’appoggio del dottor Domenico M. Gerbasi, chirurgo senologo, Coordinatore della Breast Unit Bergamo-Est.

Da pochi mesi, inoltre, il reparto di Senologia dell’ASST Bergamo-Est ha a disposizione un nuovissimo apparecchio, il primo in tutta Italia, per la valutazione in sala operatoria di tessuti tumorali per il tumore alla mammella. L’ Histolog Scanner , così si chiama, si trova all’Ospedale “Bolognini” di Seriate, e funziona come uno scanner digitale che, a livello microscopico, permette di analizzare in tempo reale i tumori escissi immediatamente dopo la chirurgia: questo aiuta il team di medici anche a capire se il tessuto tumorale primario sia stato completamente rimosso o meno pochi minuti dopo l’intervento. Si sta sviluppando attualmente un algoritmo di intelligenza artificiale per indicare al patologo le regioni di maggiore interesse, in modo da personalizzare e migliorare ancora di più la diagnosi.

L’intelligenza artificiale e la bioinformatica per lo studio dei tumori

Sabato 14 giugno, la rivista Nature ha pubblicato un articolo in cui vengono descritti diversi algoritmi informatici, dai più semplici ai più articolati, utilizzati per lo studio dei tumori. Sono programmi che lavorano su grandi quantità di dati biologici, come DNA estratto da campioni di sangue o da biopsie, e grazie a calcoli e analisi complessi riescono a trovare informazioni fondamentali per la classificazione di un tumore, la quantità e il tipo di cellule malate, i primi segnali molecolari della diffusione del tumore, e così via. Questi algoritmi si chiamano “reti neurali”. Anche se non hanno molto a che vedere con il cervello, sono strutturati in modo tale da poter apprendere come interpretare i valori che misurano e segnalare quanti più risultati utili possibili. Ultimamente le reti neurali e gli algoritmi di apprendimento automatico stanno migliorando in maniera esponenziale, e questo permette a intere equipe di ricerca eterogenee di unire conoscenze trasversali e multidisciplinari: dai medici ai bioinformatici, dagli ingegneri ai chimici e agli psicologi.

Proprio la bioinformatica sta aiutando a integrare informazioni da grandi quantità di dati (“big data”) di varie origini e, grazie a questo, le terapie farmacologiche riescono a essere sempre più mirate e personalizzate. Il sequenziamento del genoma, cioè la lettura e registrazione di tutta la sequenza del DNA di una persona tramite macchinari specializzati, oltre a essere gratuito per i malati è anche di enorme aiuto per la ricerca: una volta che si conoscono i geni di ogni persona, è più facile trovare le mutazioni, comuni e rare, che concorrono all’insorgenza, alla suscettibilità e alla severità di un certo tipo di tumore. Questo è possibile grazie ad analisi computazionali dette “multi-omiche”, cioè che sfruttano diverse discipline che analizzano enormi quantità di dati biologici nella loro interezza: genomica, trascrittomica, epigenomica, ognuna mirata a una certa problematica molecolare, abili nell’evidenziare, come in questo studio, diversi marcatori prognostici.

Moltissimi laboratori, inoltre, stanno studiando il comportamento delle cellule tumorali e immunitarie per sviluppare nuove terapie e nuovi strumenti di diagnosi: dalla biopsia liquida che evidenzia il DNA tumorale nel sangue alla terapia genica con le Car-T (linfociti personali dei pazienti, modificati e re-iniettati per combattere il tumore), a reggiseni a ultrasuoni per la diagnosi di tumore al seno, ma anche l’ingegnerizzazione di cellule immunitarie che mirano al microambiente tumorale, come in questo studio a cui ha lavorato una ricercatrice bergamasca, la dottoressa Corinne Arsuffi.

La speranza c’è

Una diagnosi di tumore non è mai semplice da affrontare, sia per il paziente che per i familiari. Giocano grandi emozioni e reazioni più o meno inaspettate. La speranza però c’è, se si rispettano le tempistiche di controlli e screening, se si fa tanta prevenzione, anche grazie ai passi da gigante che stanno facendo la ricerca e la medicina personalizzata.

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