Giurassico, circa 180 milioni di anni fa: una eccezionale concomitanza di fattori naturali concentra e fa accumulare in una piccola zona al fondo della Tetide, l’antico oceano da cui si sono formate gran parte delle nostre rocce, milioni di minuscoli aghetti silicei. Sono «spicole», i resti di spugne, i morbidi organismi che non penseremmo mai di poter vedere sotto forma di fossili. Grandi fino 200 micron, cioè la quinta parte di un millimetro, immersi nella fanghiglia del fondale e poi trasformati in roccia, questi aghetti sono la componente distintiva di pietre speciali, le Pietre Coti.
Una speciale composizione
Le Pietre Coti sono materiali utilizzati da tempi immemorabili come pietre utensili grazie alla loro capacità abrasiva per affilare o molare elementi metallici, soprattutto attrezzi da taglio, come ad esempio le lame delle falci fienaie, dei falcetti e dei coltelli. Il potere abrasivo delle Pietre Coti deriva dalla combinazione di granuli duri di composizione silicea – le spicole delle spugne – e parti più tenere, la fanghiglia di composizione calcarea. I granuli duri sono in grado di abradere e smussare le irregolarità e le sbavature dei manufatti in acciaio. Le parti tenere si consumano durante il processo di molatura delle lame o con un poco di acqua acidula, ed è grazie a loro che la superficie della pietra abrasiva è continuamente efficiente e fresca, con nuovi granuli abrasivi pronti a levigare. Le Pietre Coti sono dunque materiali formidabili, riconosciute nella loro singolarità già quasi 2000 anni fa da Plinio Il Vecchio nella sua «Naturalis Historia».
L’eccezionalità dell’origine di queste pietre si associa anche alla rarità: la roccia coltivata per la produzione delle Coti è limitata ad alcuni sottili livelli, spessi pochi centimetri, che affiorano in alcune località della bergamasca, ma soprattutto in bassa Val Seriana presso Pradalunga. Per questo motivo le Pietre Coti venivano estratte anche in galleria, seguendo nel ventre della montagna i livelli «buoni», spesso al buio o con illuminazione minima. Il materiale estratto veniva poi mandato ai laboratori, in paese, dove sotto le tettoie veniva sagomato nella tipica forma a ovale allungato e accuratamente rifilato dalla cosiddetta «fitadura», l’operazione di rifinitura. Tutto il paese era impegnato in questa lavorazione e alcune fasi del processo erano affidate esclusivamente alle donne. Una volta pronte, le Pietre Coti venivano avvolte nella paglia, imballate in casse di legno e spedite a destinazione anche in paesi lontani.
Utensile indispensabile (h4)
Nel contesto dell’economia agricola le Coti erano un utensile indispensabile per i lavori di mietitura delle messi e di fienagione da inizio aprile ad ottobre. Le fasi e la gestualità dell’affilatura, oggi come allora, sono quasi un rito. Prima di iniziare e periodicamente durante lo sfalcio, ci si ferma, si batte la lama con il martello per aumentare la durezza del metallo, si estrae la cote dal «codèr» (il porta cote, una tasca appesa alla cintura in cui si mette un po’ d’acqua per aver la cote sempre pronta) e poi si passa la cote alternativamente sui due lati della lama, levigandola, mantenendo l’apertura del filo molto stretta, tra 10 e 15 gradi.
L’affilatura realizzata con la Pietra Cote è particolarmente efficace perché molto delicata e omogenea, non invasiva né aggressiva per il metallo e assicura alla lama una longevità senza pari.
Le Coti sono state compagne di lavoro inseparabile di chi lavorava la terra e, custodite nel «codèr», seguivano gli emigranti delle nostre valli che partivano per le terre d’oltreoceano, per le Americhe o per l’Australia. Perché parlavano di casa, ma anche perché in nessun altro posto al mondo si potevano trovare pietre altrettanto efficaci.
Sito Camera di Commercio Bergamo