Che le donne non siano interessate a studiare le discipline STEM (acronimo dall’inglese Science, Technology, Engineering, Mathematics) è uno dei luoghi comuni più fastidiosi da sopportare, perché nasconde una buona dose di ipocrisia. Quella riguardante gli ostacoli che ancora impediscono un’effettiva parità di genere nel mondo della ricerca.
“Superscienziate? le donne in scienza tra storytelling e realtà” (sabato 19 dalle 9,30 alle 11 presso il Centro Congressi Giovanni XXIII) è la tavola rotonda organizzata da BergamoScienza per parlare di questi temi: un viaggio sulle tracce delle superscienziate del passato, con uno sguardo al futuro. Intervengono Paola Govoni, professoressa associata all’Università di Bologna; Simona Polo, direttrice del programma di ricerca “Complessi molecolari e trasmissione del segnale” presso l’Istituto di oncologia molecolare IFOM; la giovane studentessa Ariel Spini Bauer, autrice di “Da Grande Farò…”, libro intervista a dieci grandi personaggi del mondo scientifico e Tiziana Metitieri (Ospedale Pediatrico Anna Meyer ), neuropsicologa clinica che nel 2016 ha ricevuto un premio dal Comitato di storia della Federation of European Neuroscience per il progetto multimediale Untold Stories: the Women Pioneers of Neuroscience in Europe. Con lei abbiamo parlato delle sue ricerche e del perché le donne sono ancora sottorappresentate.
È appena tornata da Parigi, dove ha presenziato alle commemorazioni dei centosessant’anni dalla nascita di Augusta Déjerine-Klumpke. Una pioniera delle neuroscienze, di cui nessuno ha mai sentito parlare. Perché?
Lei scrisse il manuale più importante di anatomia della sue epoca, ma il suo nome è stato messo in basso, in posizione marginale. Sono tante le pioniere che sono state dimenticate e non figurano nella storia della scienza. Nella tavola rotonda a BergamoScienza io parlerò soprattutto dell’aspetto storico. Una sensibilizzazione che parte dal passato ma vuole essere attuale. È appena uscita la traduzione italiana di “Inferiori - come la scienza ha penalizzato le donne” di Angela Saini (HarperCollins, 19.50 euro), che denuncia quanto sia ancora viva l’eredità culturale derivante da secoli di esclusione e pregiudizi.
Commenterebbe per noi questo grafico (vedi sotto) sulla percentuale di uomini e donne in una carriera accademica tipica? (Italia, 2017. Fonte: ministero Istruzione Università Ricerca; elaborazione di lavoce.info)?
È la fotografia chiarissima di un sistema, fisso nel tempo, che respinge le donne. Le donne arrivano a essere ricercatrici, e questo significa che le competenze e capacità ci sono, ma non scalano i gradini più alti. Qui entra in gioco un meccanismo di selezione che respinge le donne: in un ambiente ostile la donna con un dottorato di ricerca pubblica meno rispetto ai maschi, partecipa a meno conferenze, ha meno opportunità. Così si perdono idee e innovazione. È una cultura maschilista che in parte è condivisa da alcune donne: la selezione di candidati è sbilanciata verso nomi maschili, una distorsione implicita.
E non sta cambiando nulla?
Ai professori ordinari (maschi) che vanno in pensione non corrisponde un grande innesto femminile. In alcuni settori disciplinari va meglio, ma se pensiamo alle scienze fisiche e mediche, le donne sono il 15%, ancora meno che nel grafico che abbiamo visto. Un problema evidenziato da tante donne medico che trovano difficile l’ambiente. È sempre difficile per una donna diventare “principal investigator”, cioè essere il leader di un gruppo di ricerca. Quando c’è competizione per posizioni di potere e prestigio le donne sono meno rappresentate.
C’è poi la questione della maternità. Impossibile conciliarla con la produzione scientifica?
Quando si hanno figli ci sono periodi inevitabili di interruzione nell’attività scientifica. Qui c’è bisogno di un cambiamento strutturale che renda la carriera accademica un percorso lineare come è per gli uomini, a prescindere dalle scelte di vita. Se non cambiano le tutele per la maternità e non si allunga il congedo di paternità si potrà fare ben poco. Un altro aspetto che respinge le donne è quello delle molestie: commenti a sfondo sessista, toccacciamenti. In ambienti con poche donne ci si espone a dei rischi. Di solito si tace o si va via, perché il timore di ritorsioni è molto alto.
Però poi ci sono le superscienziate alla Rita Levi Montalcini che ci fanno dire: se una donna è veramente brava ce la fa. Basta questo?
No, perché rimane una sproporzione di fondo enorme. Emergono tanti uomini mediocri e restano marginali donne meritevoli. Aggiungiamo anche che Levi Montalcini non sarebbe mai diventata Nobel restando in Italia, anche alle menti più geniali serve un ambiente che permetta di avere soldi per fare gli esperimenti e libertà per esprimere le proprie idee. Senza contare il lungo elenco di scienziate meritevolissime cui è stato negato il Premio Nobel, come Marguerite Vogt.
Che consiglio darebbe a una giovane ricercatrice che vuole emergere?
Di trovare una mentore donna che possa accompagnarla nel suo percorso.