Quando ci riferiamo alla cosmetica pensiamo principalmente al disordinato scaffale del negozio con i trucchi, le creme e le maschere di fronte al quale uomini e donne cercano di orientarsi alla ricerca del prodotto perfetto. Eppure non è solo questo, anzi è molto di più: la cosmetica ci può salvare la vita. Non solo perché fa risaltare gli occhi azzurri, ma perché è in grado di proteggere da ciò che, in alcune parti del mondo, è la prima causa di morte: il melanoma. Ne abbiamo parlato con Elena Accorsi Buttini, farmacista, consulente e divulgatrice scientifica. Giovedì 23 luglio (ore 18) sarà protagonista, in dialogo con Luca Perri, di un incontro online per l’anteprima di BergamoScienza.
GB: I tuoi studi ti hanno portato a diventare farmacista, ma ben presto gli orizzonti lavorativi si sono ampliati verso la consulenza e i social network. In un mondo lavorativo incerto come quello di oggi, come vivi le tue molteplici sfaccettature professionali?
EA: Penso che facciano tutte parte della stessa attività. Ad oggi si può pensare di lavorare in un campo e, allo stesso modo, di comunicare che si sta lavorando proprio in quel campo: la produzione di contenuti è un mezzo con il quale si fa notare la propria presenza e le proprie competenze. Per me è stato così nell’ambito cosmetico. Da un lato l’integrazione tra i vari campi lavorativi facilita il lavoro, perché il fatto di autopromuoversi aiuta a farsi conoscere per nuovi progetti e collaborazioni; dall’altra parte prendono molto tempo della tua giornata. È una missione, in qualche modo: non tutti gli utenti riescono a capire il fatto che stanno usufruendo di qualcosa che è gratuito – io non so se riesco a farlo capire e, soprattutto, se riesco a trasmettere l’importanza di questa gratuità.
GB: Oggi sei ufficialmente parte della grande squadra dei divulgers. Avete creato una comunità con dei valori molto importanti, al di là delle questioni scientifiche: cooperazione e collaborazione.
EA: Sì, c’è un clima di grande rispetto. Quando ci si ritrova tra di noi non è che si va sempre d’accordo su tutto – non abbiamo le stesse idee su certe questioni – ma si riesce sempre a confrontarsi. La collaborazione è l’aspetto secondo me più importante: si mettono da parte le proprie vanità, si fa uno spazio indietro e si dà spazio agli altri. È lo stesso principio su cui è basata la comunicazione scientifica: la mia non è un’opinione, ma è una credenza scientifica. Io sono il mezzo con cui posso veicolare al mio utente un concetto. Quando questo avviene, significa che ho lavorato bene, che sono un buon comunicatore.
GB: In particolare, tu, Marica Signorello e Beatrice Mautino siete diventate le tre principali divulgatrici di cosmetica online. È bello vedere che ci sia questo bel rapporto di cooperazione lavorativa, senza invidie, tra donne.
EA: Io mi sono sempre trovata meglio a lavorare con colleghe donne, perché ci si capisce subito e si perde meno tempo. Secondo me le donne riescono a creare fra di loro un legame speciale e prezioso, che arricchisce in maniera molto più profonda rispetto alla cooperazione con un uomo. Con Marica e Beatrice c’è stata una congiunzione astrale, perché sia caratterialmente che dal punto di vista delle esperienze ci compensiamo molto: si è creata un’amicizia molto salda, che va al di là della professione e che nel nostro rapporto è la cosa più preziosa.
GB: La tua attività divulgativa avviene su Instagram e su Youtube. A cosa si deve la scelta di utilizzare due social diversi?
EA: Io ho iniziato con Instagram perché Facebook lo vedevo come una piattaforma un po’ vecchia e con un tipo di linguaggio molto aggressivo. Toni accesi, discussioni e un tipo di confronto abbastanza pesante; all’epoca invece su Instagram c’era un desiderio di maggior leggerezza e di un confronto più rispettoso dell’altro. L’estetica delle immagini rifletteva quello che era l’estetica del linguaggio: più delicato, gentile e aggraziato.
GB: Sui social parli di cosmetica, un tema apparentemente frivolo ma in realtà fondamentale per il nostro benessere. Come si fa a trasmettere l’idea che non si tratta solo di vezzi, ma che c’è in gioco la nostra salute?
EA: La cosa che mi piace di più di questo mondo è far capire che dietro questa apparenza di frivolezza ci sia invece una scienza: ci sono figure con delle competenze estremamente profonde che formulano e creano il cosmetico. Un chimico o un fisico sono gli operatori che stanno dietro alla formulazione di quello che noi pensiamo essere un bene di consumo frivolo, superfluo. È una cosa che mi affascina molto. La cosmesi, l’industria cosmetica, in Italia è molto importante: ha un fatturato che mi sembra sia attorno ai 15 miliardi. Si dice che i due terzi del make up prodotto nel mondo sia fatto in Italia: si può immaginare quanto dia lavoro alle persone nel nostro paese. Ci sono alcuni settori molto importanti in Italia; quella dei cosmetici è una delle punte di diamante della nostra industria.
GB: Un tema particolarmente caldo, a tal proposito, è quello dei solari. A che punto siamo, secondo te, nella consapevolezza d’uso di questi salva pelle e salva vita?
EA: Io non so se ci sia consapevolezza. Essendo il solare un cosmetico, non è visto come un prodotto che deve essere utilizzato sempre prima di esporsi al sole. Anche da parte degli operatori sanitari non c’è una corretta comunicazione dell’importanza dell’uso dei solari e questo va un po’ a minare alla base del comportamento del consumatore. È chiaro che le persone che ci seguono sanno dell’importanza del solare ma, fuori da questa bolla, non so che consapevolezza ci sia. Probabilmente anche gli stessi brand non comunicano bene quali debbano essere le quantità e i tempi di frequenza con i quali applicare il solare.
GB: Dici che è anche una questione culturale?
EA: Sì. Ci sono paesi in cui i tumori alla pelle sono la prima causa di morte, per esempio l’Australia: l’australiano è un ex europeo del nord che si è trovato ad abitare un continente nel giro di qualche generazione e, dal punto di vista genetico, non era preparato a una tale esposizione solare. In Australia il melanoma è la prima causa di morte; questo ha fatto sì che lo stato assumesse un ruolo fondamentale nella sensibilizzazione nell’utilizzo della crema solare. In Australia gli studi scolastici prevedono alcune ore a settimana dedicate all’uso delle creme; ci sono vere e proprie pubblicità fatte dagli enti pubblici per questo scopo. Queste campagne stanno già dando frutti: gli australiani utilizzano molto anche l’abbigliamento con filtri UV. In Italia invece c’è molto lavoro da fare: il problema non ha lo stesso peso che ha in Australia, forse sarebbe eccessivo insegnarlo a scuola; se si partisse però con il sensibilizzare i farmacisti e i medici di base sarebbe già un bel punto di inizio.