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Non è “tutto nella nostra testa”: la biochimica dell’ansia e il ruolo della tecnologia

Articolo. Avete visto «Inside Out 2»? Tra le emozioni protagoniste del film c’è Ansia, energica, arancione, con i capelli per aria. Siamo partiti da qui per riflettere sul funzionamento di questa emozione complessa e su alcuni strumenti e tecnologie innovative utilizzati per migliorare le diagnosi e le condizioni di chi ne soffre

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Ansia, nel trailer di Inside Out 2 (Foto Pixar)

Negli scorsi giorni ho visto al cinema «Inside Out 2», frutto della collaborazione tra Disney e Pixar. Per chi non lo conoscesse, è il sequel di «Inside Out», storia di un viaggio nella mente di una bambina di undici anni, Riley, che si è trasferita in una nuova città insieme ai suoi genitori. Nel primo film la protagonista è governata da cinque emozioni molto forti, le emozioni “primarie”, che l’hanno accompagnata e guidata sin dalla nascita: la gialla e luminosa Gioia, la cupa Tristezza blu, un basso e rosso Rabbia, la precisa Disgusto verde e Paura, un mingherlino lilla.

Ora Riley è cresciuta e sta entrando nel periodo della pubertà: tra poco comincerà il liceo, compaiono i primi foruncoli e… delle nuove emozioni. Ognuna è rappresentata con delle caratteristiche evocative: Imbarazzo è un gigante di color rosa acceso che si nasconde nella sua felpa, Invidia è una piccoletta turchese con due occhi enormi per guardare bene gli altri, Ennui (“Noia”) è una spilungona viola perennemente sdraiata sul divano, mentre Ansia è energica, arancione e con i capelli “sparati per aria”.

Ansia comincia a prendere il controllo della mente della protagonista, sconvolgendone i comportamenti e i pensieri, fino a rivoluzionare completamente il “senso di sé” della ragazza, strutturandolo con forti convinzioni di inadeguatezza. Tutto ciò culmina (attenzione, spoiler) in un attacco di panico vero e proprio: Riley comincia a sudare, a respirare affannosamente, percepire dolori al petto, non riesce a ragionare e calmarsi. La confusione è un vero e proprio tornado. Solo quando le emozioni smetteranno di contrastare Ansia e l’accetteranno come pari, Riley riuscirà a riconnettersi con l’ambiente che la circonda e a riprendere il controllo di sé stessa.

Per quanto la Disney produca film meravigliosi, ci sono delle imprecisioni che molti psicologi e psicologhe sottolineerebbero. L’ansia, di per sé, non è un’emozione prettamente negativa: è una componente essenziale della nostra esperienza emotiva quotidiana e funziona come un campanello d’allarme che ci avverte di potenziali pericoli futuri, preparandoci a reagire.

I disturbi d’ansia, secondo il DSM-5 (il Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali), sono un gruppo di disturbi che condividono sintomi di ansia e paura clinicamente significativi, tali da interferire col normale svolgimento delle attività del paziente e la sua autonomia funzionale. Parlo al plurale perché, in realtà, ci sono diverse forme in cui si manifesta: fobia specifica, fobia sociale, disturbo di panico, agorafobia, disturbo di ansia generalizzato. Colpiscono una grande fetta della popolazione, principalmente donne, e negli ultimi anni l’età d’insorgenza sta subendo un’anticipazione fino all’infanzia e alla prima adolescenza.

Cosa succede a chi soffre di disturbi d’ansia?

Per studiare cosa succede nel cervello di chi soffre di queste patologie, vengono utilizzati vari metodi scientifici, tra cui TAC, risonanze magnetiche e PET. Queste hanno aiutato nel tempo a mostrare come ci siano delle effettive anomalie strutturali e funzionali in specifiche aree dell’encefalo.

Si è visto come i pazienti che soffrono di questi disturbi d’ansia abbiano un ippocampo ridotto e iperattivato rispetto agli altri individui. L’ippocampo è una regione del nostro cervello a forma curva, che ricorda quella di un cavalluccio marino. Sebbene il suo ruolo nella regolazione delle emozioni sia ancora poco studiato rispetto ad altre sue funzioni primarie, ha comunque un ruolo significativo: lavora strettamente con l’amigdala, un’altra struttura cerebrale che è cruciale nella risposta alle emozioni, specialmente la paura e l’ansia che la iper-attivano. Questa interazione ci aiuta a ricordare non solo che un evento è stato significativo, ma anche dove e quando è avvenuto. C’è quindi uno spazio molto importante nella nostra testa dedicato alla risposta allo stress, alla memoria emotiva e alla regolazione dell’umore.

Proviamo ansia a livello patologico, però, non solo a causa di modifiche strutturali, ma anche di modifiche biochimiche: diversi ormoni e neurotrasmettitori normalmente prodotti nel nostro organismo, come noradrenalina, cortisolo, glutammato e GABA (acido gamma-amminobutirrico), subiscono un’alterazione nella produzione e, quindi, nella quantità in cui sono presenti. Questo porta a una sovreccitazione dei neuroni, alterando le risposte fisiologiche allo stress e amplificando ulteriormente lo stato ansioso.

GABA e glutammato hanno effetti opposti: il primo inibisce l’attività neuronale e il secondo la eccita, mentre in stato di ansia l’inibizione viene meno e aumenta, invece, l’attività dei neuroni. La noradrenalina, invece, regola l’attenzione e la risposta “lotta o fuga”, il ritmo cardiaco e la vigilanza: in stato ansioso l’amigdala viene iperattivata, quindi produce eccessive dosi di questo neurotrasmettitore, e percepiamo sensazioni di allarme e paura immotivate, pensieri di controllo e difficoltà a “spegnere” la mente.

Il cortisolo, infine, è responsabile della produzione di glucosio per fornire energia immediata al cervello e ai muscoli, preparando il corpo a una risposta rapida, fondamentale per sopravvivere. Normalmente raggiunge picchi di produzione la mattina, ma quando il suo livello rimane elevato e persiste troppo a lungo può causare vari danni, tra i quali modifiche dell’ippocampo, alterazioni della memoria, ansia cronica e un’eccessiva sensibilità dell’amigdala.

Tecnologie e strumenti innovativi percontrastare l’ansia

La genetica spiega solo in parte la predisposizione di una persona al soffrire di questi disturbi: quasi la metà dei pazienti che soffrono di disturbi di panico ha almeno un parente affetto da altri disturbi di ansia, e se il parente in questione è di primo grado la probabilità si alza ulteriormente. Dopo la pandemia da Covid-19, è stato registrato un aumento dei casi di disturbi di ansia, soprattutto nei giovanissimi. Incertezze economiche, pressioni sociali e una continua esposizione a notizie allarmanti da ogni parte del globo contribuiscono ad accrescere quei sentimenti di inadeguatezza, tensione e preoccupazione anche negli adolescenti.

Nonostante l’ansia sia sempre più diffusa, stanno progredendo anche gli strumenti per contrastarla, come la Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS) . In uno studio pubblicato sulla rivista eLife, un team di ricerca dell’Università di Torino ha esposto dei risultati molto promettenti, per cui sembra che questa nuova tecnica di neurostimolazione possa contribuire a combattere l’ansia e i ricordi traumatici: non provoca dolori ai pazienti, non è invasiva, e grazie a degli impulsi magnetici molto precisi riesce a modulare la risposta di allarme associata a situazioni stressanti. Chiaramente, queste novità non sono sufficienti da sole come terapia, bensì in base ai casi singoli si integrano con approcci psicoterapeutici e farmacologici.

Ci sono stati diversi altri interventi, come la diffusione di app di mindfulness nella popolazione ricoverata durante il Covid-19, e altri studi mirati. Uno studio condotto nel 2021 dall’Istituto Superiore di Sanità, l’Università di Genoma e di Pavia e l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS ha dato una panoramica dei disturbi di ansia e depressione dopo il primo anno di pandemia. Su un campione di più di 6000 soggetti, oltre il 40% ha avuto un peggioramento dei sintomi durante il lockdown, riportando alterazioni nel sonno (30%) e l’aumento del consumo di ansiolitici (20%). Inoltre, le donne sono più esposte al rischio, con circa la metà di loro che hanno riportato un peggioramento dei sintomi più alto rispetto agli uomini.

Il ruolo dell’intelligenza artificiale

L’intelligenza artificiale e il machine learning stanno aiutando molto negli studi e nelle ricerche in laboratori di tutto il mondo: analizzando grandi quantità di dati, forniscono una maggiore precisione nella diagnosi delle condizioni di salute e nella previsione degli esiti nei pazienti affetti da questo tipo di disturbi. Questi strumenti considerano i dati di questionari, di registrazioni e delle cartelle cliniche dei pazienti e valutano le probabilità che si sviluppino ulteriormente disturbi di questo tipo, per poi suggerire piani d’intervento mirati e personalizzati, con una precisione che arriva fino al 92%.

Anche l’Italia è presente nel mondo delle innovazioni: l’italiano Davide Morelli è il co-founder di un’app per la salute mentale chiamata BioBase , che sfrutta l’intelligenza artificiale per analizzare i dati provenienti dai sensori di dispositivi indossabili. Questo è solo uno degli esempi di soluzioni diagnostiche basati sull’IA, che riesce a integrare informazioni di salute (come la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna) per elaborare delle diagnosi.

Per quanto le patologie che coinvolgono la nostra mente siano state ignorate per anni, la sensazione è che ci si stia muovendo nella direzione giusta: disturbi complessi, anche molto diffusi, sono studiati in maniera sempre più integrativa unendo diverse tecnologie e nozioni, al fine di migliorare e anticipare le diagnosi e le condizioni di vita dei pazienti. Chi sa come si vive in balia dell’ansia, senza apparente controllo sui propri pensieri e in perenne stato di allerta, può sentirsi quindi un po’ più “al sicuro”.

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