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Luca Perri, Bergamoscienza e la scienza che intrattiene

Intervista. Il festival quest’anno sarà online. Da giugno a settembre l’anteprima con una serie di incontri in streaming. Ne abbiamo parlato con il celebre divulgatore scientifico, nonché conduttore di ciascun appuntamento: nuove dinamiche di fruizione, divulgazione (più divertimento) e ovviamente fake news

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Ripartire dopo il lockdown vuol dire anche guardare avanti. E guardare avanti, a Bergamo, significa Bergamoscienza, appuntamento fisso dell’autunno di ogni appassionato di scienza e non. Quest’anno il festival si terrà online, sui social network e su Youtube: un cambiamento che rimodula le dinamiche di un evento assai importante sul territorio. Ne abbiamo parlato con Luca Perri, astrofisico, divulgatore scientifico e conduttore del pre-festival (in fondo all’articolo i prossimi appuntamenti).

GB: Bergamoscienza quest’anno andrà solo online. Quali sono le principali sfide che affronterete durante questa nuova esperienza digitale?

LP: Siamo in un’epoca, soprattutto negli ultimi mesi, in cui la gente è sommersa da eventi virtuali; la principale sfida è quindi quella di convincere le persone a restare davanti a uno schermo piuttosto che uscire a fare una passeggiata. Bergamoscienza come numero di presenze è uno dei principali festival a livello mondiale, ma fino all’anno scorso era molto radicato nel territorio bergamasco. Adesso sostanzialmente si apre a livello nazionale. Si deve essere innovativi dal punto di vista del programma, degli eventi e del format in modo tale da riuscire a distinguersi in un periodo in cui online ci sono 9000 eventi ogni sera. Dall’altra parte, bisogna riuscire a farsi scoprire, conoscersi e apprezzare da tutto il pubblico nazionale.

GB: Credi che l’online sia un ostacolo al coinvolgimento di certe fasce di pubblico, come bambini o anziani?

LP: I più piccoli non sono ostacolati, perché vengono coinvolte le scuole e i genitori. Più che altro il problema riguarda gli anziani: stiamo cercando di andare incontro il più possibile a tutte le fasce di età, magari cercando di passare in televisione alcuni eventi. La nostra speranza è di raggiungere più gente possibile; gli anziani erano una grossa fetta del pubblico di Bergamoscienza. C’è anche da dire, però, che lo svolgersi online favorisce la partecipazione di un certo tipo di pubblico, che magari il tradizionale festival non riusciva ad attrarre: principalmente adolescenti e under 30, legati a Bergamoscienza solo attraverso le scuole. La nostra speranza è quella di coinvolgerli anche in una partecipazione personale ed attiva, non solo perché costretti dal docente a venire.

GB: Quest’anno tra i tuoi ospiti del pre-festival ci sono persone come Ruggero Rollini e Marica Signorello che sono “divulgativamente” nate sul web.

LP: Io non sono particolarmente stupito dal fatto che oggi la comunità dei divulgatori scientifici utilizzi i social, perché in fondo sono un mezzo come un altro: è vero che nascono per affrontare un piano di vita più personale che lavorativo, ma sono comunque un luogo virtuale in cui la gente si trova a trascorrere gran parte del proprio tempo. Spesso sono demonizzati perché considerati frivoli, ma tutto sommato sono dei media che si evolvono molto più velocemente di quelli standard e ciò fa sì che ognuno riesca a trovare il social che gli è più congeniale. Sono convinto che i festival scientifici siano intrattenimento e quindi se c’è un nuovo mezzo per intrattenersi allora questo è automaticamente compatibile con tutto ciò che è d’intrattenimento, e quindi anche la scienza.

GB: Come si coniuga, secondo te, la vocazione di intrattenimento dei social network con il lavoro di divulgazione scientifica fatto proprio attraverso gli stessi mezzi?

LP: Credo che si possa trovare un equilibrio, che dipende molto anche dalla propria etica personale. Purtroppo dal mondo accademico l’accostare i termini “intrattenimento” e “scienza” viene visto male, ma d’altro canto se uno fa lo scienziato è perché la scienza gli piace, lo intrattiene. Bergamoscienza è nato ed ha avuto successo perché, evidentemente, c’era un pubblico che considerava la scienza un intrattenimento, altrimenti non saremmo qui a parlarne oggi. Con Ruggero Rollini, per esempio, nella live che faremo il 6 agosto, parleremo anche di un suo esperimento di divulgazione su Tinder, che tutto è tranne un mezzo per divulgare. Lui ha provato e parleremo di come è andata; anche qui, però, si parla di sperimentazione: nessuno avrebbe mai pensato di farlo, lui ha provato. È da un tentativo come questo che è nata la comunità di divulgatori sui social.

GB: Credi che il parlare di scienza sui social network sia un’efficace esca per attirare i più giovani verso questi temi, spesso considerati invalicabili solo per delle insufficienze in pagella?

LP: In nazioni come l’Italia la scienza non viene considerata cultura. Non si chiede al musicista a cosa serva la sua musica, ma si domanda allo scienziato a cosa serva la sua ricerca. In teoria le due cose dovrebbero essere sullo stesso piano, invece la scienza sembra servire solo a due cose: ad avere un voto, se si è studenti, oppure ad avere tecnologie da utilizzare. In tutti gli altri casi, è considerata inutile. Fino alla quinta elementare tutti i bambini sono scienziati nati: è difficile che io, quando parlo di spazio nelle scuole elementari, trovi qualcuno che mi dica “che schifo, non me ne frega niente”. La curiosità tipica dei bambini è alla base della scienza. Quando invece si inizia ad entrare in un’età in cui ci sono i voti importanti su queste materie, allora si perde tutto il fascino per la scienza. Inizialmente i social sono stati utilizzati per lavorare su quella fascia di età; sono un mezzo rapido in cui un adolescente ti concede, forse, qualche secondo del suo tempo. Sta a te riuscire a convincerlo di concederti qualche minuto o addirittura qualche ora.

GB: I social network sono stati molto importanti, in questo senso divulgativo, anche e soprattutto durante i mesi di lockdown appena trascorsi.

LP: È vero, ma sono stati sia un aiuto che un pericolo, a partire dalle fake news, che sono state diffuse non solo da chi lo fa normalmente ma anche da esperti e divulgatori che, come si diceva prima, hanno fatto delle scelte etiche non eccellenti. Secondo me, ma non solo, a livello comunicativo tutto il periodo del lockdown è stato un “fallimento”: tutto ciò che si poteva fare, in termini di comunicazione del rischio e delle norme da seguire, è stato fatto male. Ci sono stati, ovviamente, dei lati positivi: ci sono state delle realtà che hanno avuto successo e da quelle dobbiamo ripartire. Bergamoscienza vuole essere una ripartenza anche da quel punto di vista, perché ci siamo accorti che la società è cambiata e con lei il modo in cui essa fa domande alla scienza: dobbiamo essere bravi ad adattarci a queste nuove richieste per riuscire a soddisfarle. Nelle live, per esempio, non si ha un canovaccio da seguire ma si naviga tra le domande che arrivano dal pubblico. La mia visione, da comunicatore e divulgatore, è che abbiamo avuto delle grossissime criticità, dalle quali ripartire per superarle e per mostrare cosa è davvero la scienza.

GB: Il 2020 ci ha regalato, però, anche un evento unico: il lancio della Crew Dragon verso la Stazione spaziale internazionale. Che prospettive apre un simile evento, avvenuto in un periodo delicato come questo?

LP: Questo lancio ha aperto una nuova era dell’esplorazione spaziale e ha dato un impulso al fatto che la scienza è affidabile: in un momento in cui ci sono forti dubbi che aleggiano intorno alla comunità scientifica, in cui gli stessi medici sono prima eletti ad eroi e poi messi in dubbio, il lancio della Crew Dragon ha mostrato che la scienza ha un metodo che, se seguito, porta a delle risposte e dei risultati. Il lancio di Elon Musk è una ventata di ottimismo in un mondo in cui, ad esempio, c’era scetticismo: il fatto che i privati arrivassero nei programmi governativi era visto malissimo e ancora adesso ci sono perplessità e criticità. Sostanzialmente, però, questa è una scommessa (vinta) che darà il via a una nuova esplorazione dello spazio. In questo periodo storico ha rappresentato un segnale forte: date fiducia alla scienza, perché alla fine i risultati li ottiene.

Pre-festival Bergamoscienza, i prossimi appuntamenti:

giovedì 25 giugno con Willy Guasti Zoosparkle, sui falsi miti riguardanti i dinosauri;
giovedì 2 luglio con Barbascura X, sulla scienza negli animali;
giovedì 23 luglio con Marica Signorello, sulla ricerca cosmetica;
giovedì 6 agosto con Ruggero Rollini, sugli algoritmi dei siti di incontri;
giovedì 20 agosto con Serena Giacomin, sulle bufale climatiche.

Sito Bergamoscienza

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