È partito Bergamoscienza 2021 con il concerto di Stefano Bollani venerdì e soprattutto, sabato sera, con il primo intervento “top”, di quelli che rimarranno nella storia di questa manifestazione: alle ore 19 si sconfina nel filosofico, oltre che attraversare la scienza del linguaggio e le neuroscienze, con uno degli intellettuali più famosi al mondo, Noam Chomsky, linguista, cognitivista, scienziato della comunicazione “illuminista e scettico”.
Nato a Philadelphia quasi 93 anni fa, famoso già dagli anni ‘60 per i suoi studi di linguistica ma anche per i suoi interventi controcorrente nel campo della politica e sul ruolo dei mass media nelle democrazie occidentali, Chomsky è oggi docente emerito al Massachusetts Institute of Technology di Boston. È riconosciuto come il fondatore della “grammatica generativo-trasformazionale”, da alcuni considerata il più rilevante contributo alla linguistica teorica del XX secolo.
Non contento di quanto ha pubblicato finora (ricordiamo i suoi ultimi testi in italiano: “La pratica della libertà e i suoi limiti”, con altri, Mimesis; “Terrorismo occidentale. Da Hiroshima ai droni”, con Andre Vltchek, Ponte alle Grazie; “Perché solo noi. Linguaggio ed evoluzione”, con Robert C. Berwick, Bollati Boringhieri; “Chi sono i padroni del mondo”; “L’America di Trump”, interviste di C. J. Polychroniou; “Tre lezioni sull’uomo – Linguaggio, conoscenza, bene comune”, Ponte delle Grazie), Chomsky ha firmato sulla importante rivista scientifica Nature - Human behaviour un articolo in cui ribadisce la convinzione che la struttura del linguaggio umano non sia determinata dal nostro bisogno di comunicare, ma sia piuttosto l’esito di un progetto biologico che ha dotato gli esseri umani di un sistema originale di ricombinazione di simboli.
Assieme ad Angela Friederici, leader nei lavori sulla struttura del cervello e direttrice del Max Plank Institute di Lipsia, a Robert Berwick, studioso degli aspetti matematici del linguaggio del Mit, e ad Andrea Moro, linguista e neuroscienziato della Scuola Universitaria Superiore Iuss di Pavia, in “Linguaggio, mente e cervello” Chomsky ha proposto agli scienziati di oggi di guardare al linguaggio come un meccanismo cognitivo di tipo computazionale determinato biologicamente, in grado di generare, a partire da un insieme limitato (le parole), un insieme illimitato di espressioni gerarchicamente strutturate (le frasi). Analizzando i linguaggi degli altri animali, lo sviluppo del bambino, ma anche l’evoluzione della specie umana, nel breve saggio viene messo in luce come quest’ipotesi, da tempo avanzata in linguistica formale da Chomsky, sia ora corroborata in modo sostanziale da studi di tipo neurobiologico, tra i quali appunto i lavori di Friederici e Moro.
Sabato sera Moro, che fa parte da anni del Comitato scientifico di Bergamoscienza, ha commentato live un intervento video che Chomsky ha registrato in esclusiva per l’appuntamento bergamasco, dal titolo: “Linguaggio, cervello e comunicazione” (potete trovare il video dell’intera conferenza qui sotto).
La complessità del linguaggio umano non ha eguali nel mondo naturale: noi homo sapiens siamo in grado di comunicare non solo fatti contingenti e reali, ma anche l’eventualità, i nostri sogni e progetti, le nostre fantasie. È da questa straordinaria capacità che deriva il nostro successo evolutivo e tutto ciò che ha prodotto: dall’arte alla scienza, dall’innovazione tecnologica a una complessa organizzazione sociale. Ma da cosa dipende l’unicità del linguaggio umano? E cosa può insegnarci sul modo in cui funziona il nostro cervello e la nostra mente? Sono questi i temi dell’incontro.
CD: Professore, le neuroscienze stanno convergendo sulle idee sul linguaggio che lei ha formulato da decenni?
NC: Alcuni dei lavori neuroscientifici oggi sono strettamente legati al mio lavoro sul linguaggio, in particolare i progetti diretti da Andrea Moro. Anche quelli di Angela Friederici, David Poeppel, Alec Marantz e pochi altri. Gran parte dei lavori, tuttavia, vertono su altri argomenti.
CD: Dunque le radici profonde del linguaggio umano sono qualcosa di “naturale”, probabilmente codificato nel nostro dna. Siamo animali parlanti e allo stesso tempo “parlati” da un codice che ci precede? Esso ci genera in quanto esseri umani e al tempo stesso ci avvia in una dimensione inedita nella natura?
NC: Il possesso del linguaggio ci rende capaci di costruire pensieri nella mente e (se lo scegliamo) di esternarli attraverso qualche medium senso-motorio, di solito il suono. E ci consente inoltre di interpretare le produzioni altrui.
CD: Esistono differenze significative tra il linguaggio umano e quello animale? O è solo una questione di quantità di informazioni scambiate e di specializzazione?
NC: Linguaggio animale e linguaggio umano sono qualitativamente diversi sotto ogni aspetto significativo.
CD: Su internet circolano le sue “10 regole del controllo social” attraverso i mass media: ad esempio la “strategia della distrazione” (deviare l’attenzione del pubblico da problemi importanti e da decisioni prese dalle élites attraverso un diluvio di informazioni insignificanti); o “creare problemi per poi offrire soluzioni” attraverso le misure che si desiderano far accettare; o usare l’aspetto emotivo molto più della riflessione, mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità, rafforzare sentimenti di auto-colpevolezza... Alcuni di questi alarm oggi, in tempo di pandemia, suonano davvero profetici.
NC: In realtà non posso rivendicare la paternità di quelle “10 regole”; esse attingono ad alcuni dei miei lavori, ma sono falsamente attribuite a me.
CD: Come giudica la gestione globale di questa emergenza sanitaria?
NC: Dipende. In Asia e Oceania è stata in genere piuttosto efficiente e di successo. E anche in alcuni (pochi) altri Paesi. Altrove ha oscillato tra scelte discrete, corrette e altre orrende. La maggior parte del mondo è stata privata dei vaccini, perché i Paesi ricchi se li sono accaparrati e hanno insistito su una protezione dei brevetti spropositata per aziende farmaceutiche super-ricche.