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La malattia di Parkinson, tra passi di danza e bioinformatica

Articolo. Un approfondimento sulla seconda patologia neurodegenerativa più diffusa al mondo, sui benefici dell’attività fisica e su alcune delle tante iniziative terapeutiche attive a Bergamo. Guardando con fiducia allo sviluppo medico e tecnologico

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«Strade? Dove stiamo andando non c’è bisogno di strade». Tratta dal film «Ritorno al futuro» del 1985, questa citazione ha reso celebri in tutto il mondo i personaggi di Emmett “Doc” Brown e Marty McFly.

Ma perché oggi vi parlo di un film? In realtà, è il protagonista che ci interessa: Marty McFly è interpretato dall’attore Michael J. Fox, noto per la sua battaglia contro la malattia di Parkinson, diagnosticatagli quando non aveva ancora compiuto 30 anni. È uno dei personaggi pubblici in prima linea per la ricerca contro questo morbo ed è il fondatore della Michael J. Fox Foundation for Parkinson’s Research .

Il Parkinson in Italia

Ma andiamo per gradi. Il morbo di Parkinson è una malattia progressiva del sistema nervoso centrale che si manifesta solitamente dopo i 60 anni con tremori, rigidità muscolare e problemi di equilibrio. I sintomi sono causati dalla degenerazione di una regione cerebrale chiamata sostanza nera (substantia nigra), responsabile della coordinazione dell’attività motoria e ricca di neuroni dopaminergici, cellule specializzate nella produzione e trasmissione di dopamina, il neurotrasmettitore associato ai segnali di movimento, equilibrio, concentrazione e apprendimento.

Questa malattia venne descritta per la prima volta da James Parkinson nel 1817 nello studio «An Essay on the Shaking Palsy», ed è la patologia neurodegenerativa più diffusa dopo l’Alzheimer. Nel mondo sono più di dieci milioni le persone malate di Parkinson, mentre in Italia, secondo l’Osservatorio Malattie Rare, sono circa 300 mila i soggetti affetti e sono destinati ad aumentare: un po’ a causa dell’invecchiamento della popolazione, un po’ perché sono migliorati gli strumenti per la diagnosi rispetto al secolo scorso, quando un lieve tremore veniva spesso associato all’età avanzata e alla debolezza muscolare dell’anziano. In realtà, i primi sintomi possono insorgere anche in giovane età, com’è successo a Michael J. Fox, o comunque entro i 50 anni.

Questa malattia ha un’origine multifattoriale: interagiscono sia componenti genetiche ereditarie, sia ambientali, come l’esposizione a particolari tossine, la dieta e lo stile di vita. La sola predisposizione genetica non è sufficiente a causare la malattia, ma in combinazione a fattori ambientali aumenta il rischio di svilupparla.

Tango, teatro e camminate: l’importanza dell’attività fisica

La prima cosa che vediamo quando qualcuno che conosciamo è malato, spesso è il tremore. Ma c’è di più: il Parkinson si porta via pian piano piccole e grandi sicurezze, lasciando al loro posto ansia, disturbi del comportamento e un visibile rallentamento di alcune funzioni fisiche e cognitive. Il ruolo del caregiver è fondamentale per i pazienti, perché non solo il proprio corpo, ma anche la propria abitazione diventa un po’ estranea quando ci si ammala.

Ad oggi, le terapie farmacologiche non sono in grado di guarire dal Parkinson, ma sono indirizzate al controllo dei sintomi e al rallentamento del decorso della malattia: la più comune è la L-DOPA, che va a compensare la mancanza di recettori per la dopamina.

Ci sono, però, terapie complementari e non farmacologiche che portano a un miglioramento della qualità di vita dei pazienti. Il protocollo MIRT (Multidisciplinar Intensive Rehabilitation Treatment), ad esempio, ideato dal dottor Giuseppe Frazzitta, responsabile del Gruppo di Neuroriabilitazione della Società Neuroscienze Ospedaliere (SNO), prevede un approccio multidisciplinare per la riabilitazione dei pazienti affetti da Parkinson. La cooperazione di diverse figure professionali (dal neurologo al fisioterapista, dal logopedista al terapista occupazionale), si è rivelata efficace nel ridurre la progressione dei sintomi motori, migliorando l’autonomia e la qualità di vita dei malati sia nelle forme iniziali sia intermedie.

Diversi studi hanno dimostrato come l’attività fisica migliori visibilmente le condizioni fisiche e psicologiche dei pazienti: una tra le varie attività è la danza . Vi sembrerà strano: come può ballare una persona con difficoltà nei movimenti e nell’equilibrio? Eppure, non sono poche nella nostra provincia le iniziative terapeutiche di questo tipo: l’Associazione Italiana Parkinsoniani (AIP) Bergamo propone attività teatrali , Tango-Terapia , ma anche kick-boxing e camminata nordica. Tutte attività rivolte ai pazienti che vengono coinvolti in modo da poter lavorare sulla postura corretta, sul potenziamento di muscoli e carattere, sulla sicurezza, ma anche sull’educazione alla sensorialità e alla percezione del proprio movimento corporeo e vocale. È stato dimostrato per esempio che il Tango argentino , grazie alle diverse velocità di esecuzione e a cambiamenti di direzione continui, apporta miglioramenti significativi nella mobilità funzionale di chi lo pratica sviluppando diverse capacità psicomotorie, come l’equilibrio dinamico.

Uno dei progetti che nella nostra città ha preso più piede è « Dance Well – Movement Research for Parkinson »: è nato nel 2013 a Bassano del Grappa e dal 2020 è approdato anche a Bergamo, coinvolgendo tante persone di generazioni diverse, malate di Parkinson e non, che ballano all’interno di spazi museali, artistici e culturali. La danza stessa è un’arte, dopotutto, e con essa riusciamo a esprimere grandi emozioni semplicemente con il nostro corpo. Con «Dance Well» non si è più pazienti che fanno fisioterapia, ma ballerini tra le opere del Caravaggio e di Moroni, nelle sale della bellissima Accademia Carrara del centro città. Si dialoga tra fragilità diverse sviluppando benessere e integrazione: ognuno si può muovere come preferisce, ma sempre insieme a coloro che ha attorno, abbracciando il proprio limite e, nonostante questo, rimanendo in armonia con l’ambiente e con sé stesso. Quest’arte in realtà include esercizio aerobico, immaginazione motoria e training propriocettivo.

Sela danza non vi convince, l’associazione bergamasca Parkinson&Sport nel 2018 ha creato il Parkinsonauti Team, una squadra multisport che partecipa a numerose manifestazioni sportive nazionali e internazionali per promuovere lo sport per rallentare lo sviluppo dei sintomi del Parkinson: organizzano attività di triathlon, trekking, maratone, traversate a nuoto e bike riding.

Un aiuto dalla bioinformatica e dalla tecnologia

Il mondo della ricerca scientifica sta facendo grandi passi avanti negli ultimi anni per la diagnosi e la terapia del Parkinson grazie allo sviluppo tecnologico. Lo scorso gennaio a Bellaria per la prima volta è stato impiantato un pacemaker che, grazie a degli elettrodi collegati con i nuclei cerebrali che regolano il movimento, blocca il tremolio caratteristico dei sintomi della malattia, restituendo un maggiore controllo sui movimenti del corpo. L’aspetto migliore è che il pacemaker registra le reazioni e invia i dati direttamente ai medici, che possono poi ottimizzare le terapie in base alle diverse casistiche.

C’è anche un risvolto più “giocoso” della terapia: i ricercatori dell’Università di Madrid hanno studiato l’impatto della realtà virtuale immersiva su soggetti parkinsoniani grazie a specifici giochi orientati ai pazienti, alla valutazione della coordinazione motoria, della forza muscolare, della velocità e della destrezza nei movimenti. Ma come? Grazie a una simulazione realistica di spazi tridimensionali, il paziente si immerge completamente in un “nuovo ambiente” con cui interagire. I movimenti vengono registrati da specifici tracciatori sensoriali, che inviano segnali a computer esterni per rielaborare dei feedback sulle prestazioni. I ricercatori hanno osservato miglioramenti significativi nella forza di presa di chi giocava, e questo ha contribuito ad aumentare l’interesse e il divertimento durante le sedute di terapia. Chiaramente, questo non va a sostituire l’approccio tradizionale, ma lo completa.

La bioinformatica e l’intelligenza artificiale aiutano a rielaborare e analizzare le grandi quantità di dati raccolte dall’applicazione delle nuove tecnologie, per esempio con lo sviluppo di algoritmi per rilevare i livelli dei biomarkers (“marcatori biologici”) che predicono l’insorgenza e lo sviluppo della malattia stessa. Oppure analizzando come varia la composizione del microbiota intestinale dei malati: attraverso i network metabolici batterici, i ricercatori hanno esaminato la disbiosi intestinale nei pazienti con Parkinson e identificato il genere Akkermansia come più abbondante, sottolineando come questo potrebbe essere responsabile di alterazioni della mucosa intestinale dei malati. Tutto ciò aiuta lo sviluppo delle terapie, perché una volta individuati i protagonisti e le cause dei sintomi si può ideare una strategia per rallentare il decorso del Parkinson stesso.

Doc e Marty, grazie alla loro DeLorean, non avevano bisogno di strade per “ritornare nel futuro”. Noi, invece, dobbiamo essere sicuri di procedere tenendo per mano chi è affetto da Parkinson. Facciamolo con fiducia: stiamo percorrendo strade che, a poco a poco, ci condurranno a una visione sempre più completa e trasversale della malattia.

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