Non sarà una normale conferenza, ma una conferenza-spettacolo quella che Jacopo Pasotti (geologo, comunicatore scientifico e fotogiornalista) e Donato Giovannelli (microbiologo dell’Università Federico II di Napoli e detentore dello splendido progetto coevolve.eu) terranno domenica 16 ottobre, ore 11, nella tensostruttura di «BergamoScienza» a «Bergamo NXT Station» in piazzale Alpini. Titolo: «La Terra e la Vita: una storia di coevoluzione», e proprio di «coevoluzione», dei suoi (per certi versi inimmaginabili) aspetti scientifici e etici abbiamo parlato con Pasotti.
LB: A cosa ci riferiamo quando parliamo di «coevoluzione» fra la Vita e la Terra?
JP: Parliamo di un campo di esplorazione scientifico molto nuovo e periferico, una novità nel campo della ricerca scientifica. Fin dall’insegnamento scolastico impariamo che l’evoluzione della Vita sulla Terra ha seguito quella che è l’evoluzione geologica, i continenti che si sono uniti e poi separati, la formazione delle montagne, gli oceani che si sono prosciugati, riscaldati, raffreddati etc. Tutti questi cambiamenti geologici su larga scala spaziale e temporale hanno influenzato l’evoluzione della Vita sulla Terra: la novità è che c’è una branca molto moderna della scienza che investiga il contrario, ovvero come la vita ha agito sulla crosta terrestre, in un certo senso “facendosi la casa sotto i piedi”.
LB: Un esempio?
JP: Ad esempio c’è stato un periodo dell’evoluzione terrestre caratterizzato da un grande evento risalente a 2,5 miliardi di anni fa, chiamato «Grande Ossidazione», (o anche «Catastrofe dell’ossigeno», ndr) in cui c’è stata un’esplosione della fotosintesi che ha colmato l’atmosfera di ossigeno, cosa che nei primi 2 miliardi e mezzo di esistenza della Terra non era così: l’ossigeno era in scarsa quantità e l’atmosfera era soprattutto dominata da gas come il metano, l’anidride carbonica e altri ancora. Questa enorme quantità di ossigeno ha letteralmente cambiato la superficie dei continenti che si stavano formando, ossidando tutte le rocce. I continenti erano grigi e neri perché formati soprattutto da rocce granitiche o basaltiche, l’ossigeno li ha fatti diventare rossi, “arrugginendoli”. Senza l’ossigeno nell’atmosfera e il cambiamento nelle rocce non avremmo mai avuto la Vita come la conosciamo. In questo senso possiamo dire che è stata la Vita a modificare non solo l’atmosfera ma anche la crosta terrestre.
LB: Quindi ad essere coinvolti sono studi di biologia e geologia, che in qualche modo si sono avvicinati.
JP: Esatto. Prima la biologia faceva le proprie ricerche e la geologia anche, separate. Invece da un po’ di tempo c’è una parte della scienza, che fa da ponte tra la microbiologia e la geologia, in cui si cerca di capire come la Terra è evoluta parallelamente all’evoluzione della Vita, e come la Vita stessa abbia influito sulla formazione di diversi minerali, che altrimenti non ci sarebbero stati. Biologia e geologia si sono scambiati reciprocamente le loro nozioni. Per il risultato di questi studi fianco a fianco si parla di «coevoluzione». Il nostro è un pianeta molto particolare, è una rarità nell’Universo proprio per questa interazione che c’è stata fra la Vita e la litosfera, cioè la sfera più esterna e rocciosa della Terra stessa.
LB: È a questo punto che emerge un cambiamento di paradigma: la Storia non è più solo Storia, ma diviene quella che oggi viene chiamata «Storia profonda».
JP: Sì, è in questa idea di «profondità» che sta il nucleo essenziale di tutto questo cambiamento, che per certi aspetti è radicale. Da geologo, quando sono venuto a conoscenza di questa branca della scienza per me si è aperto un universo. Io sono cresciuto con l’idea tutta “geologica” che la Vita avesse seguito pedissequamente l’evoluzione geologica della Terra. Invece quando mi è stato spiegato che la Vita può influire sulle rocce e i minerali intorno ad essa è stato un cambiamento radicale di pensiero, ma è anche stato abbastanza automatico a quel punto dire «certo è così, ci sta accidenti».
LB: Il concetto di «coevoluzione» vale anche per la nostra «Storia recente»? E per recente intendo almeno dalla nascita dell’agricoltura, 10 mila anni fa…
JP: In questo caso usciamo un po’ da quello di cui gli studi sulla «coevoluzione» si occupano. Tuttavia è vero che stiamo modificando con le nostre pratiche agricole il suolo e l’azione erosiva dell’homo sapiens è maggiore di quanto facciano fiumi, venti, ghiacci, frane e alluvioni. Perciò in qualche modo possiamo dire che anche l’uomo fa parte della «coevoluzione». Difatti nella conferenza-spettacolo che farò con Donato Giovannelli ci sarà tutta una parte dedicata all’Antropocene che tratterà di queste cose.
LB: Oltre a biologi e ai geologi quali altri campi scientifici possono essere interessati alla «coevoluzione»?
JP: Sicuramente sono interessati coloro che hanno gettato il seme di tutto lo studio sulla coevoluzione: gli astrobiologi, che sono tutt’oggi i più coinvolti in queste ricerche. Tutto nasce dalle ricerche sulle forme di vita sulla Terra, che poi vale anche per le ricerche di pianeti con forme di vita dentro e fuori dalla nostra galassia. Di recente sono stato con Roy Price – un biochimico della Stony Brook University in USA che lavora all’interno di un progetto della NASA che si chiama «Habitable Worlds» – in Islanda dove c’è un «analogo terrestre» di quello che poteva essere l’antico oceano di Marte.
LB: In che modo?
JP: Questo «analogo terrestre» è un prodotto di correnti idro-termali che emergono da sotto la superficie marina, dove formano dei cristalli particolari, le saponiti. Ci sono dei microrganismi che vivono sostanzialmente della chimica di queste saponiti, non respirando ossigeno e non avendo bisogno della luce solare, ma praticando la chemiosintesi generano a loro volta dei minerali. Questi microrganismi potrebbero essere vissuti in un oceano marziano e quindi sarebbe possibile rispondere alla domanda se c’è stata vita su Marte. Anche sotto il ghiaccio antartico ci sono microrganismi che vivono in una sorta di analogo di Europa, la luna ghiacciata di Giove dove, sotto il ghiaccio, si nasconde uno degli oceani più estesi di tutto il Sistema solare. Insomma gli astrobiologi sono alla ricerca di «analoghi terrestri» e si sta scoprendo che c’è tutta una Vita che non dipende né dal sole né dall’ossigeno e che vive in altri ambiti chimici e chimicamente modifica la crosta terrestre.
LB: Possiamo dire che la «coevoluzione» è la prova definitiva del nostro rapporto interconnesso fra l’umano, il vivente e il non vivente? Un concetto chiave per affrontare la crisi climatica, il riscaldamento globale e tutti i problemi che abbiamo causato alla Terra in tempi recenti e non solo…
JP: Assolutamente sì. Noi stessi non ci saremmo se non ci fosse stata la «Grande Ossidazione» che poi ha consentito alla vita, in sintesi, di passare dal mare alla terra. L’uomo è in debito con tutta la Vita che lo ha preceduto e con come essa ha agito con la crosta terrestre. Il discorso dell’interconnessione fra noi e il sistema naturale è emerso in Occidente con la presa di coscienza del cambiamento climatico, ma questa interconnessione era già ben conscia prima dei tempi moderni. I popoli indigeni, ma anche gli aborigeni non solo australiani – ma asiatici, sudamericani, nordamericani e europei – conservano ancora molto stretta questa interconnessione che c’è stata durante tutta l’evoluzione dell’homo, sino al sapiens.
LB: Quindi i popoli che citi sono in qualche modo i «padri spirituali» della «coevoluzione»…
JP: Per questi popoli la connessione tra esseri umani e tutto il resto del vivente è sempre stata profonda e intima e appartiene loro tuttora. Sono gli ultimi che mantengono la coscienza di questa interconnessione, che forse si sta diffondendo sempre di più anche nella nostra società, dinanzi al disastro che continuiamo a provocare. Noi siamo parte di questa casa che si chiama Terra, ma di questa casa siamo un mattone non meno dei microbi che ci vivono. E siamo frutto della «coevoluzione».