Da Senigallia a Bergamo (o più precisamente a Dalmine) per trovare il modo di sbarazzarci ecologicamente delle mascherine usate. Come? Facendone asfalto rinforzato, più resistente e performante. Daniele Landi, classe 1985, è con Christian Spreafico uno dei ricercatori del gruppo di ricerca Virtualization and Knowledge (Dipartimento di Ingegneria Gestionale dell’Informazione e della Produzione dell’Università degli studi di Bergamo), coordinato dalla professoressa Caterina Rizzi. Il gruppo lavora insieme all’Università della Tuscia, con il coordinamento dal dottor Marco Marconi, al progetto SUPRA .
Dietro questa sigla, che sta per Single Use PPE Reinforced Asphalt (SUPRA), c’è il miglior progetto sulla attività di ricerca volta alla riduzione dei rifiuti prodotti da plastica monouso, finanziato dal “bando per le attività di ricerca volte alla riduzione dei rifiuti prodotti da plastica monouso – Edizione 2021” promosso dal Ministero della Transizione Ecologica.
MM: Raccontaci la tua storia, come sei finito a occuparti di asfalto e mascherine?
DL: Vengo da Senigallia, ho studiato Ingegneria meccanica al Politecnico di Ancona e sono un ricercatore all’Università di Bergamo dal gennaio 2021. Ho un dottorato in Ingegneria industriale, durante il quale ho studiato i metodi innovativi per aiutare i progettisti a realizzare prototipi virtuali. All’interno di questo ambito si usano strumenti per l’analisi di sostenibilità ambientale.
MM: Come capire le performance di un prodotto da un punto di vista ambientale?
DL: Ci sono metodologie standard della Comunità europea, primo fra tutti il “Life cycle assessment” che monitora l’impatto di un prodotto in tutto il suo ciclo di vita, dall’ideazione, allo sviluppo, al fine vita.
MM: Ed è lì che entra in gioco il riciclo?
DL: Sì, il mondo del “fine vita” è affascinante. Ho seguito progetti sul recupero delle fibre di pneumatici fuori uso, da usare ad esempio negli asfalti o in pannelli fonoassorbenti o per i pallet agricoli. Anche materiali compositi come lo scarto fibra di carbonio si possono riutilizzare, ad esempio nelle scarpe antiinfortunistiche.
MM: Perché riciclare i Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) a fine vita?
DL: Io e il mio collega Marco Marconi, anche lui di Senigallia, abbiamo visto che la fibra degli pneumatici funzionava molto bene, raddoppiando la vita dell’asfalto. Ci siamo quindi chiesti: perché non usare mascherine e DPI? Il loro destino è finire in discarica o bruciati, con tutti i problemi ambientali che ne conseguono, perché sono fatti di plastica e gomma (l’elastico). Abbiamo fatto prove preliminari e scritto il progetto, finanziato dal Ministero.
MM: L’idea di riciclare le mascherine nell’asfalto è interessante, ma è fattibile?
DL: I primi test di laboratorio, iniziati da un mese, danno risultati buoni. Ai limiti tecnici da superare penseremo noi come ingegneri. Ci sono poi limiti politici e normativi: stiamo studiando dove fare la sperimentazione e l’opzione potrebbe essere quella degli aeroporti che devono rifare le loro piste. Un altro problema è quello della sanificazione: valutiamo che tipo di processo occorre fare per sanificare i DPI, deve essere rapido e economico. L’ideale sarebbe sanificare e triturare insieme, per ridurre tempi e costi. Naturalmente studiamo la triturazione ottimale, nelle dimensioni e nelle temperature, per ottenere performance maggiori. Partendo dalle mascherine possiamo ottenere asfalto con performance migliori nella resistenza alla fatica e nel drenaggio.
MM: Non è troppo avveniristico come progetto?
DL: Le plastiche sono già fortemente utilizzate nell’asfalto, così come le fibre. C’è una letteratura scientifica nota su questo. E ci sono le mascherine. Perché utilizzare gomma vergine?
MM: Per una volta, mi sembra che i tempi della ricerca siano velocissimi, sbaglio?
DL: Abbiamo scritto il progetto a dicembre 2021, è stato valutato in due settimane e già avviato. Visto il tema bisogna essere veloci, o chissà che fine faranno le mascherine: al 90% vengono bruciate e il 10% finisce in discarica perché c’è il problema della contaminazione. Siamo in contatto con aziende e fiduciosi che riusciremo ad avere tratti di strada con asfalto rinforzato “alle mascherine”. Fra un anno potremmo avere un primo prototipo industriale con impianti costruttivi pilota.
MM: Hai mai pensato di lavorare in azienda, piuttosto che in Università?
DL: No perché l’Università permette una visione a 360 gradi, rivolta a tutti i settori industriali, mentre anche la più grande azienda tende a limitarti. Mi piace valutare tanti scenari e possibili applicazioni, che non rimangono sulla carta ma diventano reali a tutti gli effetti.
MM: Come ti trovi a Dalmine?
DL: Bene sia a livello lavorativo sia come qualità di vita, funzionano bene i servizi e l’Università offre tante possibilità di collaborazione anche internazionale. Spesso vengo a Bergamo nel tempo libero. Lavoro, faccio sport, corro e vado in bici. Ogni tanto torno a trovare la famiglia a Senigallia.