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Elizabeth Blackburn, Nobel per la medicina: lo stress e la scienza dei telomeri (che ci fa restare in salute)

Articolo. La scienziata australiana ha scoperto la telomerasi , l’enzima che permette alle catene di DNA di non accorciarsi e alla nostra vita di essere più lunga e sana. Il 10 ottobre alle 17 l’incontro di BergamoScienza con Giorgio Gori e Nicola Quadri

Lettura 4 min.
Telomeri (la parte azzurra del cromosoma)

“F ai movimento e mangia tanta frutta e verdura!” Quante volte ce lo siamo sentiti dire? Eppure, questa è davvero la ricetta per vivere a lungo. Elizabeth Blackburn, Carol Greider e Jack Szostack hanno vinto il premio Nobel per la medicina nel 2009 per aver scoperto i telomeri e il meccanismo attraverso il quale proteggono i cromosomi dalla degradazione. I tre hanno dimostrato che condurre una vita sana impedisce e rallenta l’accorciamento dei telomeri, meccanismo che causa la vecchiaia e la malattia.

Dalla Tasmania all’America

Elizabeth Blackburn nasce a Hobart, in Tasmania il 26 novembre 1948. È la seconda di sette figli e i suoi genitori sono entrambi medici. Oggi non si stupisce di essere diventata una scienziata, come ha raccontato ai TED Talk del 2017: “Da piccola ero molto incuriosita da tutto ciò che era vivo. Cantavo alle meduse dal veleno mortale che raccoglievo. E così, all’inizio della mia carriera, ero molto curiosa riguardo i misteri fondamentali di ciò che è alla base della vita e avevo la fortuna di vivere in una società che valorizzava la curiosità”.

Dopo il diploma si iscrive all’University of Melbourne, dove consegue un bachelor’s degree e un master of science. Nel 1975 ottiene un dottorato di ricerca presso l’Università di Cambridge e pochi anni dopo inizia i suoi studi post laurea in biologia molecolare e cellulare, presso la Yale University. Nel 1978 si trasferisce in California, a Berkeley. Qui fonda un laboratorio dove le dottorande possano sentirsi a loro agio e lo stesso farà poi a San Francisco.

I casi della vita

È in questo contesto che il suo cammino si interseca con quello di Barbara McClintock, biologa statunitense e Nobel per la medicina nel 1983. È un incontro magnifico e fondamentale per Elizabeth, che in un’intervista racconta di come Barbara stimolò l’aver fiducia in sé stessa e nelle proprie intuizioni.

È proprio la McClintock, che aveva osservato del mais mutato e incapace di ripararsi i cromosomi, che le suggerisce di cercare il meccanismo che innesca la crescita dei telomeri e li mantiene efficienti. Nel 1984, quindi, Elizabeth Blackburn e la dottoranda Carol Greider, con la quale condividerà il Nobel nel 2009, iniziano a fare esperimenti sulle cellule.

L’alga

Come nelle favole, in cui l’eroe trova l’oggetto magico con cui sconfiggere l’antagonista, anche Elizabeth Blackburn ha avuto il suo. Non si tratta però di una spada o di una scarpetta di cristallo, bensì di un’alga. Precisamente, l’alga Tetrahymena , un organismo che vive in acqua dolce e che la studiosa ha trovato ideale per studiare i cromosomi e, in particolare, le loro estremità: i telomeri. Agli inizi della ricerca, tutto ciò che la scienza sapeva era questo: i telomeri aiutano a proteggere le estremità dei cromosomi. Ma Elizabeth voleva andare più a fondo della questione, per capire in cosa consistessero i telomeri. Ecco, quindi, che l’alga fa perfettamente al caso suo: “La cara piccola Tetrahymena ha molti cromosomi piccoli e lineari, circa 20.000, quindi, molti telomeri. E ho scoperto che i telomeri sono fatti di segmenti speciali di DNA non codificante proprio all’estremità dei cromosomi”.

Se i cromosomi si sfilacciano

Ogni volta che una cellula si divide, tutto il suo DNA deve essere copiato per poter essere trasmesso alle cellule figlie. I cromosomi si trovano all’interno del nucleo delle cellule e i telomeri, le estremità dei cromosomi, servono a proteggerle. Ma c’è un inghippo: ogni volta che il DNA è copiato, parte dello stesso si consuma e accorcia. Racconta, infatti, Elizabeth Blackburn: “Immaginate i telomeri come la fascia protettiva all’estremità delle stringhe, che evitano che la stringa o i cromosomi si sfilaccino. Quando questa punta diventa troppo corta cade, e il telomero consumato manda un segnale alle cellule: ‘Il DNA non è più protetto’. È ora di morire. Così, fine della storia”. E a questo punto, la domanda che le ha permesso di vincere il Nobel: “Non può essere la fine; la vita non è scomparsa dalla faccia della Terra. Mi incuriosiva: se questa usura è inevitabile, come fa Madre Natura ad assicurarsi che possiamo mantenere i cromosomi intatti?

Telomerasi

Ecco che arriva il momento per l’alga Tetrahymena di diventare protagonista della nostra storia: le sue cellule non invecchiano e non muoiono; i suoi telomeri non si accorciano nel corso del tempo. Elizabeth Blackburn e la sua studentessa Carol Greider, insieme a Jack Szostak, si mettono al lavoro, scoprendo ciò che hanno chiamato telomerasi. È un enzima che riesce a rifornire ed addirittura allungare i telomeri. È questa scoperta che il 5 ottobre 2009 gli permette di vincere il Premio Nobel per la medicina.

Man mano che l’età aumenta i telomeri si accorciano ed è proprio questa riduzione a causare l’invecchiamento. Elizabeth Blackburn descrive questo processo in un’intervista a The Guardian: “Durante la nostra vita i telomeri tendono a logorarsi e quando non sono in grado di proteggere i cromosomi in modo adeguato, le cellule non possono ricostituirsi e non funzionano correttamente. Questo determina cambiamenti fisiologici nell’organismo che aumentano i rischi delle principali condizioni e malattie dell’invecchiamento: malattie cardiovascolari, diabete, cancro, un sistema immunitario indebolito e altro ancora. Ma il processo è in qualche modo malleabile. L’invecchiamento sta accadendo in tutti noi a un certo ritmo, ma il ritmo può cambiare. Un enzima chiamato telomerasi può aggiungere DNA alle estremità dei cromosomi per rallentare, prevenire e parzialmente invertire l’accorciamento”.

Quindi possiamo non invecchiare?

No, purtroppo (o per fortuna) la scoperta del trio Blackburn, Greider, Szostack non è la ricetta dell’immortalità. Però è un passo avanti per capire come vivere meglio: per rallentare l’accorciamento dei telomeri dobbiamo migliorare il nostro stile di vita. “Non si tratta di estendere enormemente la durata della vita né dell’immortalità. Si tratta della durata della salute. Ovvero il numero di anni nella vita in cui non si hanno malattie, si è sani e produttivi, ci si gode la vita con entusiasmo. La durata della malattia, l’opposto del periodo di salute, è il tempo passato a sentirsi vecchi, malati e vicino alla morte”. Non serve essere maratoneti, racconta Elizabeth: gli studi mostrano che le persone che fanno un esercizio aerobico moderato per 45 minuti tre volte alla settimana hanno i telomeri lunghi all’incirca come i maratoneti.

Lo stress nemico dei telomeri

Più si è sotto stress cronico, più corti sono i telomeri. Più corti sono i telomeri, più possibilità si hanno di ammalarsi e di morire. È stata questa una scoperta sconcertante per Elizabeth Blackburn, che studiò le conseguenze dello stress cronico sui telomeri: “Diversi studi hanno confermato le nostre scoperte iniziali. E ora molti stanno rivelando che abbiamo più controllo sul processo di invecchiamento di quanto ci fossimo mai immaginati”. Ma c’è anche un aspetto positivo dello stress e in particolare del modo in cui lo viviamo: “Se di solito vedete qualcosa di stressante come una sfida da affrontare, allora il sangue scorre al cuore e al cervello e vivrete un breve ma energizzante picco di cortisolo. E grazie a quell’atteggiamento continuo di ‘fatti sotto!’ i telomeri stanno bene”.

Non abbiamo il controllo sul nostro futuro, ma possiamo in qualche modo dirigerlo e anticiparlo. Questo significa anche essere consapevoli che le scelte che facciamo condizionano non solo la nostra vita, ma anche quella degli altri. Persino una storia d’amore duratura e l’amicizia lunga una vita migliorano la manutenzione dei telomeri. È incredibile, eppure conferma ancora una volta il fatto che non siamo solo carne, ossa e muscoli, ma anche cuore e cervello. E dobbiamo prendercene cura.

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