D avid Quammen è un giornalista e divulgatore scientifico americano di Classe A: un anno fa venne a BergamoScienza a dirci, come aveva già scritto 7 anni prima nel suo best-seller “Spillover” (Adelphi), che dovevamo stare attenti ai virus in arrivo dall’Oriente: “Rischiamo epidemie devastanti. Se ci sarà una nuova pandemia, con milioni di morti, probabilmente sarà causata dalla variazione genetica di un virus con Rna ’a singola elica’, qualcosa tipo Sars, influenza o morbillo” disse (naturalmente inascoltato, da noi per primi) in una intervista al nostro giornale.
Cos’altro aggiungere? Giovedì alle 21 Quammen sarà “on air” su sito e social del festival bergamasco “digital edition”. “Sono molto felice – dice dagli Stati Uniti – di sentire che ora Bergamo sta meglio, in marzo ero molto preoccupato e triste vedendo che da voi le cose stavano andando così male. Non si poteva prevedere che l’Italia venisse colpita in quel modo, e ancora adesso non saprei dire esattamente il perché. L’Italia ha un buon Sistema sanitario, il vostro governo si è comportato certamente meglio del nostro di fronte all’emergenza . Quando ho visto che la Lombardia, e in particolare Bergamo venivano assalite dal virus sono rimasto molto sorpreso e ancora adesso vorrei davvero capire meglio questo mistero. So che c’era stata una partita di calcio dell’Atalanta contro il Valencia di cui si è tanto parlato, so che la vostra è una zona industrializzata e inquinata, con tanta gente con problemi all’apparato respiratorio, che nelle famiglie vivono assieme giovani e anziani... Probabilmente il virus è arrivato dalla Cina attraverso qualche aeroporto lombardo e ha circolato diverse settimane prima che fosse lanciato l’allarme. Potrebbe esserci stato qualche ‘super-untore’ – è un’ipotesi che sto studiando a livello mondiale – in grado di contagiare molto più del normale. Davvero, però, ancora non sappiamo esattamente cosa sia successo, neppure gli scienziati lo hanno capito. Sto lavorando a un libro sul Covid-19 e uno dei punti chiave sarà proprio ’il mistero dell’Italia settentrionale’”.
CD: Dunque, “Da dove vengono i virus?” – come recita il titolo del suo intervento. Lei in “Spillover” accreditava appunto l’idea di un salto di specie avvenuto in qualche mercato cinese, e lo ha scritto anni prima che il Covid-19 invadesse il mondo.
DQ: In questi giorni sto preparando un articolo per “The National Geographic” sull’origine ancestrale dei virus, e dove si collocano nell’albero genealogico dell’evoluzione. Giovedì mi concentrerò su come arrivano a infettare l’uomo. I virus possono vivere e replicarsi solo all’interno di altre creature dotate di struttura cellulare, come piante o animali – la gente di solito non sa che i virus non sono cellule, ma semplicemente involucri di materiale genetico. Noi siamo una specie relativamente giovane, abbiamo 200 o forse 300 mila anni: tutti i virus presenti nell’uomo arrivano da altre creature, da animali selvatici – soprattutto mammiferi come noi, nei quali si sono già adattati – oggetto della nostra attività di caccia. Tutti gli animali delle foreste tropicali hanno in corpo molte specie di virus, così ogni volta che entriamo in contatto ad esempio con un pipistrello o una scimmia c’è la possibilità di uno “spillover”, un salto di specie. Non sono tanto i virus che vengono a cercarci, siamo noi che li invitiamo nel nostro ambiente biologico catturando e uccidendo animali allo stato brado, cosa che facciamo da sempre.
CD: Ma questo “salto” accade oggi più che in passato?
DQ: Assolutamente. Un primo fattore fondamentale è la scala crescente della popolazione umana: quando cent’anni fa si scatenò la Spagnola, che uccise 20 milioni di persone, sulla Terra eravamo 2 miliardi, oggi siamo 8. Abbiamo dunque probabilmente quadruplicato anche i rischi, distruggendo oltretutto interi ecosistemi alla ricerca di nuove risorse, carburanti, minerali, cibo... Quando vivevamo in tribù di 20 o 50 persone il salto di specie già avveniva, ma rimaneva un fenomeno molto circoscritto. Oggi siamo infinitamente più numerosi e soprattutto interconnessi: lavoriamo, commerciamo, spostiamo merci incessantemente. Un virus ci mette poche ore a prendere l’aereo e diffondersi da Wuhan a Bergamo o a Los Angeles, portando malattia e morte.
CD: Perché certe aree del mondo sono state più colpite e altre meno? The New York Times pubblica in tempo reale una bellissima mappa (una delle poche affidabili) che mostra la diffusione del virus nel mondo, e Africa, Cina, Giappone, Australia e Italia sembrano ben messe, a differenza del continente americano (Canada e Messico, chissà perché, esclusi).
DQ: Non sempre il salto di specie innesca una pandemia, fortunatamente: Ebola è rimasto circoscritto, perché non si trasmette come un’influenza o un coronavirus. Per una pandemia i luoghi più a rischio sono quelli con grande concentrazione di persone, le metropoli, e con sistemi sanitari carenti.
CD: In Africa però Sars Cov-2 ha colpito meno di quanto ci aspettassimo.
DQ: Ero preoccupato per la Repubblica democratica del Congo, conosco gente straordinaria in quel Paese, ottimi scienziati, ma il loro sistema sanitario è limitato: e invece mi sono sbagliato, è andata molto peggio in Italia e negli Stati Uniti. Questo è il “secondo mistero” del Sars Cov-2: perché l’Africa centrale, che ha anch’essa molti contatti con la Cina, non è stata colpita duramente? Perché lì la pandemia non è esplosa? Può darsi che ci siano anche dei fattori genetici che non conosciamo. Che la storia evolutiva dei popoli africani li abbia resi meno vulnerabili. Certo questo virus sta facendo cose che gli scienziati ancora non comprendono. Ci sono anche fenomeni random, quelli che loro chiamano “eventi stocastici”: fortuna e sfortuna, potremmo dire in un linguaggio più comune. Negli Stati Uniti credo che ci sia così tanto “business” e movimenti avanti e indietro per il mondo che il virus ha trovato terreno facile. Assieme a una pessima leadership: non si tratta solo di Donald Trump, non abbiamo un piano, una risposta organizzata. In America domina un individualismo brutale, l’ethos del cowboy: “Nessuno mi può dire ciò che devo fare”. Le preoccupazioni della comunità non possono restringere i diritti individuali. Questo certamente ha contribuito al disastro. In Giappone esiste un’etica che spinge l’individuo a sottomettersi agli interessi generali: e quel Paese ha controllato molto bene il virus.
CD: Crede anche lei che i rischi maggiori per il futuro verranno non dai virus ma dalle infezioni batteriche? Dalla loro crescente capacità di resistere ai nostri antibiotici?
DQ: Ne ho già scritto due anni fa ne “L’albero intricato”. Gli antibiotici ovviamente ci hanno aiutato molto in questi decenni, hanno salvato milioni di vite. Ma oggi tutte le volte che un bambino prende il raffreddore la mamma o il papà corrono dal medico e chiedono che gli prescriva antibiotici. “Non servono, ha un virus” protesta il pediatra, ma poi alla fine a volte glieli prescrive. Questo è un fattore di rischio. I batteri, come tutti gli esseri viventi, si evolvono e hanno imparato a trasferire interi pacchetti genetici e mutano ormai molto in fretta. Non è la classica selezione darwiniana, molto più lenta, a farli mutare, ma un sistema molto più rapido che stiamo iniziando a scoprire ora: più noi produciamo nuovi antibiotici, più i batteri si evolvono per evitarne l’effetto. E in luoghi come gli ospedali scambiano materiale genetico con altri batteri all’istante. Questo sta diventando un grosso problema.
CD: Lei ha già scritto dell’arrivo di un Sars Cov-3...
DQ: Sappiamo che ci sono centinaia di coronavirus in Cina e in altre parti del mondo, e anche molti tipi di influenza - che rimane un virus pericoloso. Ho immaginato un coronavirus che vive attualmente in Ruanda e che infetta un allevatore, raggiunge l’aeroporto e... Il pericolo del Sars Cov-2 non è passato, ma non è detto che questa storia si fermi lì. Nuovi virus credo che salteranno fuori costantemente nei prossimi anni. Dovremo essere meglio preparati per prevenire future pandemie.
CD: Peccato che quest’anno lei non possa venire a Bergamo di persona.
DQ: Io e mia moglie abbiamo passato momenti bellissimi un anno fa: sappiamo che splendida città è la vostra, e ci ha davvero addolorato sentire cosa stavate passando pochi mesi dopo la nostra visita. Vorrei mandare tramite “L’Eco” i miei sentimenti di affetto, preoccupazione, dispiacere per tutte le vostre famiglie che hanno perso qualcuno. Non c’è stato giorno, in questa pandemia, che io non abbia pensato all’Italia, è stato terribile assistere a ciò che stava accadendo. So che i bergamaschi sono gente forte, e intelligente. Spero che presto ne veniate completamente fuori, e che possiamo tornare a Bergamo di persona.